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TOBIN TAX: CONVEGNO INTERNAZIONALE
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  28/02/2008  17:35:39, in Tobin tax, letto 2470 volte
 ATTI CONVEGNO INTERNAZIONALE
30 Marzo 2007
CNEL
Tobin Tax e altri strumenti di tassazione internazionale
 
RIFORME ITALIANE ED EUROPEE PER UN MONDO PIU' EQUO
 
 
 
Prefazione tenuta dal prof. Paolo Leon
Ordinario Di Economia Pubblica presso Università degli studi Roma 3
Facoltà di Economia "Federico Cafè "
Poco dopo la conferenza, della quale si collazionano qui i contributi, si è prodotta una crisi finan­ziaria internazionale - ancora in corso - basata sulla debolezza dei prestiti di seconda istanza fatti da istituzioni finanziarie agli acquirenti di case negli USA. Poiché le rate dei mutui non sono che titoli di credito, si è creato un mercato: società finanziarie hanno acquistato le rate, le hanno messe insieme ad altre obbligazioni e azioni, producendo pacchetti "strutturati" (con titoli a diverso grado di rischio), vendendoli ad altre istituzioni finanziarie, che poi li hanno immessi nei portafogli delle famiglie, dei fondi pensione, nelle riserve delle società assicurative e delle banche, comprese quel­le che hanno fatto l'originale mutuo-casa. Qualcuno - comprese alcune banche centrali - ha soste­nuto che lì dove questo tipo di mutuo non aveva avuto corso (come in Europa), non vi sarebbe stato alcun rischio di crisi finanziaria. Si ignorava che l'impulso della crisi si trasmette istantaneamente su tutti i mercati dei capitali, perché ogni portafoglio (famiglie, aziende, società finanziarie, banche, perfino gli Stati) deve essere ristrutturato per ridurre il nuovo rischio. Ma proprio la facilità di spo­stamento di risorse da un mercato e da un settore all'altro, trasmette contemporaneamente anche la crisi. Così, se di fronte alla crisi, qualcuno valuta eccessivi i rischi di quei pacchetti finanziari e deci­de di trasformare i titoli in moneta (o in merci), allora si assisterà ad un'immediata riduzione di liquidità (la moneta - titoli - cattiva caccia la buona), e alla generalizzazione della crisi. Questi eventi non sono creati dalla grande facilità delle transazioni: ma la facilità di queste trasmet­te gli eventi anche dove non vi sarebbe alcuna ragione di crisi.
In verità, il problema esiste da quasi un quarto di secolo, e un rimedio è stato individuato: perché è così difficile creare le condizioni per applicare la Tobin tax, o qualsiasi altra forma che scoraggi la pura speculazione finanziaria e riduca il rischio di trasmissione delle crisi? La prima spiegazione, e la più semplice, è che i gruppi di pressione che si formano nel mondo finan­ziario, volti a ridurre ogni regola sui flussi di capitale, in generale, e intorno alle transazioni "istan­tanee" tra i diversi mercati, in particolare, esercitano pressioni sui singoli governi, e influenzano sia il comportamento dei regolatori sia la ricerca accademica. Tra i paesi più attivi, gli USA e il Regno Unito concentrano la massima parte delle transazioni finanziarie, e ciò procura loro diversi vantag­gi: dall'occupazione nelle società finanziarie e bancarie, ai profitti di queste società, all'emissione di liquidità espressa nelle loro monete (che rappresenta sempre un credito semigratuito da parte del resto del mondo), ad ingenti afflussi di capitali. In queste condizioni, e ricordando il lungo periodo di deindustrializzazione di ambedue i paesi, è sufficiente una "leggera" pressione delle lobby finan­ziarie per impedire qualsivoglia forma di ostacolo alla libera circolazione del denaro - nelle sue più diverse forme. Non è così importante il ruolo dei centri "off-shore", che pure facilitando l'evasione fiscale e regolativa, accentuano l'anarchia del mercato; tuttavia, anche questi centri fanno parte della rete istantanea e inevitabilmente trovano sui mercati americano e inglese l'inevitabile riscon­tro delle operazioni che essi stessi svolgono.
Questa è una spiegazione forte e razionale, ma non coglie tutto il problema. Proprio l'esistenza di una formidabile concentrazione di attività finanziarie in pochissimi centri, determina gli interessi che poi formano le lobby. Resta, dunque, da spiegare perché la concentrazio­ne è la regola di questa particolare industria. Va anche detto che con le non più così nuove tecnolo­gie informatiche, non sembra esservi una reale ragione per una localizzazione fisica "nazionale" (negli USA, nel Regno Unito, in Giappone, in Cina, ecc.): i flussi corrono alla velocità della luce e si depositano su un territorio fisico che potrebbe anche non esistere. Tuttavia, è proprio questa nuova tecnologia che spiega la concentrazione. In pratica, si lavora su un bene pubblico : ogni nuova transazione sulla rete è a costo zero, perché la rete stessa consente usi non rivali; ma la rete può facilmente escludere, attraverso i ben noti metodi di individuazione dell'utente, di diritti da riscuo­tere, di accessi riservati. Un bene pubblico non rivale, ma escludente, è la forma più estrema di monopolio e la più lontana da un qualsiasi concetto di concorrenza alla Pareto. E' bene anche ricor­dare come, quando opera in rete, la società di intermediazione finanziaria non sa nulla del proprio cliente che compra o vende titoli, derivati, e altre forme di strumenti finanziari; né deve conoscere quale sia il valore del sottostante: chi compra e chi vende, come cosa si compra e cosa si vende, sono entità impersonali. Così, l'accesso alla rete, poiché separa gli oggetti dai soggetti, accentua il rischio, fino a determinare più incertezza che rischio calcolabile, anche soltanto soggettivamente. Che la compravendita metta poi in moto multipli vertiginosi di transazioni anche di brevissima durata, se addirittura non istantanea, appare soltanto come una conseguenza della compravendita: un elemento necessario, tecnico, non rilevante ai fini delle scelte economiche degli operatori. Così, l'idea di tassare, anche marginalmente, quelli che nel settore finanziario sono considerati dei meri nastri trasportatori, un work-in-progress, è per chi vi opera, scandaloso e distorcente: per gli opera­tori finanziari, tassare le transazioni giornaliere e orarie è come tassare l'industria chimica per l'aria che utilizza. Il paragone è voluto per contestare questa impostazione: l'aria, infatti, non resta la stes­sa dopo l'uso chimico, e questo deve (dovrebbe) pagare il costo del suo disinquinamento. Allo stes­so modo, i flussi internazionali di capitali non sono più gli stessi, se sono formati, al medesimo tempo, da transazioni istantanee e da flussi di risparmio-investimento, perché il rischio e l'incertezza si cumulano nei flussi, e proprio per ridurre l'incertezza la parte istantanea dei flussi andrebbe tas­sata. Non vorrei che si confondesse la funzione economica della speculazione, dalla funzione di ren­dita. La prima è necessaria per qualsiasi mercato, perché è la speculazione che trasforma lo spazio in tempo e il tempo nello spazio. Ma questa trasformazione non determina necessariamente una ren­dita: al contrario, la speculazione serve a ridurre l'incertezza, non ad aumentarla, e proprio perché assegna un prezzo al tempo e allo spazio.
Se ora torniamo ad osservare i flussi istantanei di capitali, si capisce che hanno un effetto sull'equi­librio dei mercati dei capitali: Wall Street determina i mercati europei, questi determinano Wall Street, e i mercati asiatici determinano gli altri due; è in corso, in ogni momento, un'attività di spe­culazione che tende ad unificare i prezzi delle attività finanziarie tra i diversi mercati. Le gigante­sche transazioni servono dunque a questo scopo: ne dovremmo derivare che i grandi flussi hanno proprio lo scopo di generare equilibri sui diversi mercati. Tuttavia, è proprio qui il problema. Non c'è, infatti, alcuna ragione apparente che i mercati dei capitali siano tra loro in equilibrio, se le economie non lo sono - e le economie non sono in equilibrio. Così, sono proprio le diverse forme e velocità dello sviluppo nel mondo che creano la speculazione finanziaria che spinge i mercati finanziari a praticare prezzi uguali. Paradosso: la speculazione assicura che il tasso di crescita delle diverse economie sia diverso, pur con prezzi degli strumenti finanziari sostanzialmente uguali. Paradosso ulteriore: l'equilibrio tra i mercati dei capitali determina indifferenza per i "capitalisti" tra un mercato e l'altro, ma non garantisce che i "lavoratori" siano analogamente indifferenti al sala­rio che si percepisce nelle diverse aree monetarie e finanziarie del mondo. In altri termini, non sono i flussi di capitale che tendono ad eguagliare i tassi di crescita mondiali, e ciò è sufficiente per dedurne che non sono veri generatori di equilibrio.
Basta guardare al rapporto tra gli USA e il resto del mondo: l'enorme crescita del debito estero ame­ricano, che tiene in piedi quella economia, non fa bene alla crescita delle altre economie - e per anni, mentre i mercati oscillavano all'unisono, le economie presentavano diversi sentieri di cresci­ta. Da qualche anno, l'economia internazionale è dominata dal rapporto USA-Cina: la Cina espor­ta verso gli USA e investe negli USA il surplus dei propri conti con l'estero. Una parte delle tran­sazioni speculative di natura finanziaria nasce in questo ambiente, che non è certo di equilibrio: basta che gli USA acquistino una minore quantità di merci dalla Cina, perché questa riduca i propri surplus da inviare negli USA. Se questo accadesse, le transazioni istantanee si ridurrebbero, cam­bierebbero di direzione, e influenzerebbero in modi non anticipabili le quotazioni internazionali sia degli strumenti finanziari sia delle merci. Supponiamo di tassare i flussi istantanei - o qualsiasi flusso - non con una semplice imposta uguale per tutte le economie, ma con un'imposta che ciascuna economia decida essere quella che più fa corrispondere i flussi di capitale con la propria crescita economica. Immediatamente, il sottostante (l'economia reale, come si dice talvolta) si riavvicina al valore del titolo di credito che vi è stato costruito sopra e che per anni ha viaggiato in modo autonomo: la cosiddetta economia di carta si riduce, prevale il profitto sulla rendita, si ricostruisce la vera qualità dello sviluppo economico. Non succederà nulla, invece, fino a che il sistema è in grado di parare le crisi finanziarie mondiali, e cioè finché il resto del mondo continuerà ad accettare i dollari come moneta di riserva: ogni ridu­zione di liquidità, determinata da incertezza, viene in questo modo corretta stampando più dollari. Naturalmente, il successivo aumento di liquidità, ferme restando le cause della crisi, sparirà nel tesoreggiamento degli operatori o nell'acquisto di beni ritenuti più sicuri, come il petrolio e le mate­rie prime - un caso classico si stagflazione (chi ha dimenticato la causa finanziaria del primo aumento del petrolio negli anni 70?).
Di fronte alla cecità delle banche centrali e all'inerzia dei governi, non ci resta, per il momento, che osservare i fenomeni, interpretarli, renderli noti: per questa ragione, mentre proseguono gli sforzi per una legislazione europea sulla Tobin tax, sarebbe opportuno costruire un osservatorio sui flussi di capitale, sulle divaricazioni tra economia e finanza, sui costi economici e sociali dell'anarchia.
 
 
On. Giulio Santagata
Ministro per l'Attuazione del Programma di Governo
Mi scuso di non partecipare per intero ai lavori di questa giornata. Ma sono venuto volentieri a sanare un torto che Alfiero Grandi mi ha fatto pesantemente notare in queste settimane, dicendo: «Abbiamo fatto cadere dall'albero la foglia della Tobin Tax». In effetti ha ragione, nel senso che la Tobin Tax è presente in maniera chiara nel programma dell'Unione e, quando ne abbiamo fatto la sintesi grafica con "L'albero" la foglia Tobin Tax non c'è. E quindi sono venuto, come dice lui, «a riattaccare la foglia». La riattacco volentieri sperando che ci rimanga attaccata. Nel senso che - credo di non dire nulla di particolarmente sconosciuto - è una foglia delicata, da far germogliare. Una foglia il cui destino non dipende solo dalla volontà del governo, o dell'Italia, ma è uno di quei prodotti di una politica più complessiva, che si deve sviluppare. Io credo che si possa sviluppare a partire dall'Europa, ma si trasforma in realtà solo se riusciamo a farla diventare patrimonio di una pluralità ampia di Paesi. Credo che, aldilà dello strumento specifico Tobin Tax, il problema vero che abbiamo davanti è se e in quale misura riusciamo a rendere concreto il senso di quella parte del programma che puntava su una politica di cooperazione allo sviluppo più forte, più capace di incidere realmente. Siamo, anche qui, lontani dagli obiettivi che noi stessi ci eravamo dati, però mi sembra di poter dire che la direzione di marcia è quella giusta. Le difficoltà finanziarie sono ovvie, sono davanti a tutti. Però il fatto che di colpo abbiamo quasi raddoppiato la dotazione dei fondi destinati alla coopera­zione, mi sembra un segnale positivo.
Di più, mi sembra molto positivo il fatto che l'Italia abbia ripreso ad essere un Paese con una politica estera. Una politica estera con un buon livello di autonomia, ovviamente dentro alle alleanze, per for­tuna dentro l'Europa - saldamente dentro l'Europa - e io penso che quella politica estera, l'essere pre­senti in maniera chiara e con una propria identità sul terreno della politica internazionale, sia lo stru­mento indispensabile perché sia i fondi per la cooperazione, sia iniziative specifiche come quelle che oggi discutete possano avere una qualche possibilità di incidere davvero sui processi. Per cui io, scusandomi nuovamente, sono venuto a riattaccare la foglia, affidando anche al lavoro di oggi il fatto che questa fogliolina germogli rapidamente. Credo che ci siano le condizioni perché l'Italia si fac­cia capofila di una iniziativa che partendo da noi, dal nostro Parlamento, si allarghi rapidamente ad altri. Quindi, attendo fiducioso anche il vostro lavoro sapendo che appunto, Sentinelli, Grandi e altri lavo­reranno attivamente su questo terreno. Per quanto riguarda il mio ruolo di guardiano del Trattato, come ormai è diventato questo Programma, vi assicuro che non faremo più cadere la foglia. Grazie
 
 
Francesca Santoro - Consigliere CNEL
Presidente Commissione Internazionale e delle Politiche Comunitarie
E' prassi che un rappresentante del CNEL, in apertura di convegni ospitati, porti un saluto ai parte­cipanti e svolga alcune riflessioni di merito. E' quello che mi accingo a fare, ma, voglio sottoline­arlo, nel cordialissimo saluto di benvenuto che vi porgo non c'è alcun aspetto rituale, non solo per l'amicizia che mi lega a molti di voi, ma soprattutto per l'interesse oggettivo che i temi all'ordine del giorno della nostra discussione rivestono e su cui il CNEL è impegnato anche con altri Comitati Economici e Sociali a livello europeo e mondiale.
Le questioni di cui oggi ragioniamo, infatti, si inquadrano pienamente negli "Obiettivi del Millennio"; cioè quei traguardi che la comunità internazionale si è posta ai fini di una lotta incisi­va alla povertà e per promuovere e forzare la crescita economica e sociale dei Paesi in via di svi­luppo. La scadenza fissata per il raggiungimento di tali obiettivi è il 2015 e, come sappiamo, lo stato attuale delle risorse finanziarie disponibili non consente alcuna previsione ottimistica. Da qui l'importanza del rilancio del dibattito promosso dal Gruppo dei 46 (meglio conosciuto come il Gruppo Lula-Chirac) cui l'Italia ha aderito, finalizzato a individuare e proporre nuovi strumenti di tassazione internazionale per il reperimento di risorse aggiuntive. (Aggiuntive, lo ricordo, rispet­to a quello 0,7% del PIL destinato all'aiuto pubblico allo sviluppo che i governi dei Paesi avanzati, in larga misura inadempienti, si erano impegnati a destinare all'aiuto pubblico allo sviluppo). Anche da qui la rinnovata attenzione intorno alla tobin-tax.
L'obiettivo primario di Tobin, in verità, come lui stesso dichiarava, era quello di introdurre "un gra­nello di sabbia" per contribuire alla stabilizzazione dei mercati finanziari, attraverso una tassazione minima delle transazioni a breve, prevalentemente di natura speculativa.
A fronte del successo che la sua proposta ha incontrato nei movimenti no-global, in una intervista del 2001, che ho recentemente trovato, diceva: "... no, assolutamente niente in comune con questi ribelli anti-globalizzazione. Naturalmente sono compiaciuto, ma il plauso più forte sta arrivando dalla parte sbagliata. Guardi, io sono un economista e come molti economisti sostengo il libero scambio, sono a favore del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. La tassa sulle transazioni in valuta estera è conce­pita per armonizzare le fluttuazioni dei tassi di cambio". Non era, dunque, un pericoloso estremista il premio Nobel Tobin.
Le obiezioni tecniche, cioè di fattibilità, avanzate nei riguardi della tobin-tax, oggi, a giudizio dei più, sono cadute. Se si vuole si può. Restano, però, tutte le difficoltà di ordine meramente politico cui faceva riferimento anche il Ministro Santagata, non meno rilevanti di quelle di ordine "tecnico"; cioè la necessità che tale tassa, per avere esito positivo, debba trovare applicazione nell'area più ampia possibile, pena lo spostamento di capitali verso lidi più "accoglienti". Il disegno di legge presentato dal Governo opportunamente tiene conto di tale oggettiva realtà, pun­tando, in primo luogo, ad una condivisione almeno a livello europeo della tassa stessa. Naturalmente anche in questo caso non si tratta di percorrere una strada in discesa. I problemi che si prospettano sono assai seri: gli ostacoli che sistematicamente si frappongono ad un coordinamento e ad una armonizzazione delle politiche economiche e fiscali dei Paesi dell'Unione sono noti e si sono manifestati anche in occasione delle recenti celebrazioni del 50esimo anniversario del Trattato di Roma; conosciamo, inoltre gli orientamenti prevalenti nei Paesi dell'Est dell'Europa a 27, tendenti ad una forte detassazione che suscita non poche preoccu­pazioni di dumping fiscale e sociale. Per non parlare della posizione di netta contrarietà da parte degli Stati Uniti. La scommessa è quindi ardua.
E' comunque mia personale opinione che sia assai importante il segno forte che si è voluto dare con la presentazione del disegno di legge, sia sul versante di nuove forme di tassazione destinate allo sviluppo dei Paesi meno avanzati, sia in direzione di un freno alle turbolenze che si manifestano nei mercati finanziari. In tale ottica ritengo debba essere rafforzata l'iniziativa per la costruzione di forme innovative di regolazione del mercato globale che sappiano utilizzare gli strumenti di rego­lazione operanti nei sistemi nazionali e connetterli ad organismi sopranazionali, con cambiamenti profondi negli orientamenti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ma certa­mente, anche qui, la questione non è di natura tecnica, ma è tutta di natura politica. Permettetemi, per concludere, di accennare a due iniziative su cui stiamo lavorando come CNEL, non totalmente coincidenti con le tematiche odierne, ma comunque mirate ad un governo più equo dei processi di globalizzazione. La prima, è la predisposizione di un testo di osservazioni e propo­ste finalizzate al reperimento di risorse aggiuntive per la lotta alla povertà e lo sviluppo, che nasce da un documento promosso dal CNEL e approvato dall'Assemblea generale dell'AICESIS (Associazione Internazionale dei Comitati Economici e Sociali e Istituzioni Similari), e sul quale ci stiamo confrontando con il Ministero degli Esteri, in particolare con il settore della Cooperazione Internazionale e con la Viceministra Patrizia Sentinelli.
La seconda, cui teniamo particolarmente, nasce da una proposta del compianto Prof. Riccardo Faini, recentemente scomparso, che, nonostante i suoi numerosi impegni, ha collaborato con grande pas­sione e disponibilità con la Commissione Internazionale del CNEL. Tale iniziativa riguarda la formulazione di proposte che valorizzino il ruolo dell'OIL e dia forza e strumenti all'unica organizza­zione delle Nazioni Unite su base tripartita, finalizzata all'estensione ed alla crescita armoniosa dei diritti sociali e del lavoro nel mondo. Anche in questo caso la strada è in salita. Abbiamo la piena consapevolezza di dover acquisire alleanze, a partire dall'Europa, e auspichiamo di poter contare sul sostegno del Governo e del Parlamento italiani ai quali ci proponiamo di offrire una proposta valida e condivisa.
Vi ringrazio, vi rinnovo naturalmente il saluto e l'augurio di buon lavoro e passo la parola a Vittorio Lovera del Comitato tobin-tax.
 
 
Vittorio Lovera
Comitato Italiano Tobin Tax Europea-Attac Italia
Dopo aver sentito il Ministro Santagata ricordarci come nella stesura del programma prodiano l'Unione faticò fino all'ultimo istante per inserire i pochi capoversi legati alla Tobin Tax (grazie tra l'altro a non poche rimostranze/pressioni sia del Comitato Tobin e soprattutto al continuo lavoro ai fianchi svolto dagli On. Grandi e Gianni), fino a rimettere la "fogliolina" della Tobin Tax sull'albero del Programma e quindi auspicare che finalmente il vento non la faccia più rimuovere da lì;
dopo aver ripercorso e ripassato le lezioni, il pensiero e le proposte tecnico-operative che il Premio Nobel James Tobin fece nel formulare il postulato teorico che sottende alla proposta di legge di iniziativa popolare che prende il suo nome;
dopo aver infine riflettuto su come un importante capo di stato quale il francese Jacques Chirac, notoriamente uomo della destra conservatrice, sostenga con assoluta chiarezza posizioni favore­ voli all'adozione su scala mondiale della Tassa Tobin - considerata uno degli strumenti per fon­ dare nuovi modelli di equità ridistributiva e per combattere le povertà globali - e riesca a mettere assieme ben 43 nazioni che si consociano su questa strategia;
beh allora è più che evidente che la confusione è alta sotto il cielo della politica italiana, nono­ stante la preziosa rassicurazione del Ministro.
Attac Italia e con essa tutte le realtà di Movimento che idearono e sostennero la Campagna democratica di raccolta firme per una "Proposta di Legge di Iniziativa Popolare per l'Adozione della Tassa Tobin in Italia", erano consapevoli di proporre non uno strumento rivoluzionario bensì - come la storia del suo ideatore sottolinea - riformista e comunque sufficientemente moderato, che potesse però essere, per dirla alla Tobin, "un granello di sabbia" la cui operatività potesse dare il "la", nel tempo, a riflessioni concrete sulle Tasse globali (questo sì aspetto di vero inte­resse per il movimento altermondialista).
Pensavamo quindi che le quasi 200.000 firme raccolte - proprio come i tanto decantati dati numerici delle primarie uliviste - potessero incidere su scelte di democrazia reale, di giustizia ed equità sociale, ed invece stiamo incassando da un governo di centro-sinistra resistenze analoghe a quelle che incas­savamo dai fautori del mercato regola-tutto e del liberismo sfrenato del governo Berlusconi. Ora spe­riamo che anche grazie a questo Convegno si possa invertire con chiarezza una tendenza, riposizio­nare alcune volontà, e ottenere finalmente alcune decisioni, alcuni passaggi forti e marcati, ovvero l'adozione in Italia della Tobin Tax, anche a tasso zero in attesa di analoghe decisioni in Europa.
È un po' nel titolo che - come Attac Italia e Comitato Tobin abbiamo collaborato a dare - il tentati­vo di avvicinare istituzioni, movimenti, associazioni, sindacati, saperi per provare assieme a defini­re come rendere fattuale questo tipo di prospettiva. E nel sottotitolo siamo andati a identificare alcu­ni aspetti su cui vorremmo si potesse dare una spinta reale e concreta. Gli obiettivi sono evidente­mente una fiscalità più equa, il tentativo di tenere sotto controllo i mercati finanziari. Quando dicia­mo "sotto controllo" non lo diciamo ispirati da una lente "vessatrice", ma in un'ottica che vuole con­tribuire a interrompere le perverse dinamiche dei circuiti speculativi. Da tempo, in particolare nella fase sfrenata più del neoliberismo, cioè fra fine anni settanta e tutti gli anni ottanta, abbiamo visto la volontà/capacità dei mercati di generare veri e propri terremoti economici attraverso la specula­zione finanziaria (vedi Asia, Argentina). E' quindi necessario definire strumenti chiari, innovativi e diffusi per poter portare una maggiore equità, per ridare spazio, dignità, risorse alla cooperazione, alla solidarietà internazionali e, in ultimo, per cercare delle modalità più condivise a livello europeo per una redistribuzione delle ricchezze su scala internazionale. Sembra di dire cose ovvie, scontate. Fino ad oggi ci siamo però accorti come questi percorsi abbiano sempre avuto una serie quasi kaf­kiana di ricadute, di intoppi, di bisogno di ricominciare; a volte sembra di essere finiti in un gran­de gioco dell'oca, dove fatte benissimo due mosse, posizionato un consenso trasversale, un'unifor­mità di pensiero, poi, nuovi accadimenti di "opportunità politica", fanno ripartire da due o tre posi­zioni precedenti.
In questo percorso c'è stata, come ricordavamo, la raccolta di cento settantotto mila firme per la pro­posta di legge di iniziativa popolare; un percorso che ha richiesto una minuziosa auto-formazione dal basso. Oggi si usa tanto dire che i Movimenti si occupano di questioni locali, che la gente è egoi­sta, pensa in piccolo, vittima della sindrome del "not in my backyard". La prima raccolta firme, quella che lanciò la Tassa Tobin, si basava su un argomento assolutamente complesso, di natura tec­nico-economica, quello delle imposte globali in Europa, su cui il cittadino qualunque, come anche la persona impegnata e di movimento, hanno dovuto essere formati, aiutati, accompagnati a com­prendere con chiarezza di cosa si stava parlando. Abbiamo iniziato un percorso di democrazia, di vicinanza alle persone, di auto-formazione, in un periodo - è vero - in cui c'era un grande fermen­to, voglia di cambiamento, però era altrettanto vero che abbiamo affrontato un tema difficile e di portata globale. Forse questo è stato il punto che non abbiamo mai saputo veicolare sufficientemen­te bene, il fatto che non abbiamo mai parlato di un'imposta per l'Italia, ma anche nella strutturazio­ne del primo testo di legge di iniziativa popolare - con l'aiuto di Emiliano Brancaccio- si parlava di un'imposta europea per le transazioni valutarie. Da subito abbiamo avuto la visione che per essere veramente incisivi fosse necessario operare a livello europeo. Questo spirito lo abbiamo saputo trasmettere e, grazie anche al nostro lavoro, è stato ritrovato nell'impostazione che, con l'importante appoggio dell'onorevole Grandi, ha avuto il lavoro nelle Commissioni riunite Esteri e Finanza della XIV Legislatura. Perché oltre alle audizio­ni tradizionali di qualificati economisti, del Direttore Generale dell'Ufficio Cambi, dei tecnici ita­liani, siamo riusciti ad ottenere le audizioni di ben otto super-esperti esteri. Improvvisamente la sen­sazione è stata che quella Commissione fosse diventata un luogo di confronto non semplicemente locale, ma di respiro internazionale; non sembrava di essere a Roma per trattare del problema Tobin Tax Italia, ma di essere già a Bruxelles, e di trattare per l'applicazione della Tobin Tax in Europa; era come se cercassimo di prendere le esperienze, i contributi da nazioni dove la riflessione era stata da tempo più articolata e avesse già portato a dei risultati concreti. Questo è assolutamente un'ano­malia nella modalità di discussione rispetto agli altri paesi europei, dove questa è stata interna ai tecnici economico-giuridici di quella nazione. Quindi la proposta di una Tobin Tax in Italia si è pre­sentata sin da subito come innovativa: era una tassa che pensava all'Europa, non era un pezzettino di un'altra posizione per il mercato italiano, con il ruolo molto europeista che ha avuto la preceden­te Commissione. Adesso abbiamo investito su questa grossa intuizione che Patrizia Sentinelli, il Vice ministro per gli Affari Esteri e Alfiero Grandi hanno avuto di creare una Commissione di Studio interministeriale per guardare non più solo la Tassa Tobin in se, ma per iniziare a ragionare su uno scenario più ampio sulle tasse globali. Grazie al lavoro della Sentinelli l'Italia ha aderito al "gruppo dei quarantatre" (meglio noto come Lula-Chirac) e abbiamo finalmente superato quel gap direi vergognoso l'Italia era assente per precisa scelta del governo Berlusconi dal gruppo di nazio­ni che lavoravano sui temi legati alla cooperazione, alle tasse globali, ai problemi della giustizia sociale globale. Finalmente anche l'Italia, l'ultimo "gattino", è arrivato, così adesso siamo quaran-taquattro gatti e dovremmo finalmente marciare tutti spediti verso un orizzonte comune. Ci tengo a sottolineare ancora un aspetto, la capacità tattica del Movimento, in una fase in cui si era affievolita l'azione di mobilitazione su un tema difficile come quello finanziario. Ogni tanto ti chie-dono:"ma dov'è finita la legge", oppure adesso che hanno visto i manifesti del convegno interna­zionale dicono: "ah, ma la state portando avanti ancora, siete bravi, l'impegno c'è sempre", perché evidentemente è stato un tema che a un certo punto è stato sottratto dal dibattito frontale e parteci­pato ed è diventato un elemento più da commissioni ministeriali, di approfondimento. C'è stata comunque da parte del Comitato Tobin e di Attac Italia la capacità di non fossilizzarsi sullo strumento, e mi riferisco evidentemente all'aliquota da adottare (di quanti decimali in più o in meno dovesse trattarsi). Abbiamo saputo invece ragionare sull'obiettivo finale: l'obiettivo è che, certo, il granello di sabbia - immagine che usava James Tobin - possa inceppare l'ingranaggio di un liberimo sfrenato, ma abbiamo colto quello che potrebbe essere l'effetto volano, per andare a ripropor­re a livello europeo un altro paradigma di proposte, di leggi che facciano della Cooperazione, della solidarietà e dell'equità fiscale un cardine forte. In questo caso abbiamo saputo aspettare, abbiamo capito che c'erano altre priorità. Adesso crediamo che alcuni primi tasselli del governo dell'Unione siano andati faticosamente al loro posto, anche se questo governo deve ancora dimostrare di sape­re uscire compatto da alcuni passaggi cruciali (pensioni, finanziaria, guerra, etc.). Il ministro Santagata ci ha ricordato che la "fogliolina Tobin" è stata riposizionata, allora credo che da questo momento scatti il timing che riguarda anche la Tobin Tax. Come Attac abbiamo intenzione di chie­dere un incontro con il Presidente della Camera Fausto Bertinotti - che è sempre stato attento e favo­revole a questo tipo di proposta - proprio per definire assieme ai presentatori Benvenuto e Tolotti un calendario che sappia garantire e tutelare. Crediamo che ci debba essere ora la spinta per avere una possibile data, tenendo presente che non tutte le forze di questa maggioranza sono schierate a favore di questa legge. Tanto lavoro è stato fatto, la Commissione sta lavorando bene, abbiamo la fortuna di lavorare con una persona - Grandi - che su questa legge ha sempre creduto e dimostrato - lo dico in positivo - una forte cocciutaggine nel voler arrivare presto al traguardo. Da ultimo pensavo proprio che questo fosse il momento dove forse possiamo, parlando di strumen­ti innovativi, impostare un ragionamento per ottenere l'istituzione di un Osservatorio Permanente di monitoraggio, studio e proposta sulle tasse globali, che questo possa uscire dal gruppo di lavoro che in questo momento è rappresentato dalla Commissione interministeriale di cui facciamo parte come Comitato Tobin, Attac Italia e come CRBM. Credo inoltre - parlo naturalmente a nome di un'area allargata dal Comitato Tobin ad Attac - che è fondamentale per creare l'Osservatorio Permanente il ruolo che potrebbero svolgere alcune associazioni, dal ruolo istituzionale del CNEL, a quello di campagne come "Sbilanciamoci", alla "Campagna per la Riforma della Banca Mondiale", insieme all'esperienza dei Sindacati, per provare a strutturare un laboratorio che sia al contempo istituzio­nale ma con una certa dose di curiosità, di voglia di provare a guardare abbastanza più in là. Su suggerimento della Commissione e dell'Onorevole Grandi abbiamo dato la disponibilità di incontrare i Sindacati a maggio durante il Congresso dei Sindacati Europei, per provare a riposi­zionare in maniera forte in Europa questo tema; nel Seminario degli Attac Europei svoltosi a Catania nello scorso mese di novembre abbiamo avuto la disponibilità di tutti gli Attac Europei di portare il loro contributo di stimolo presso le loro delegazioni nazionali al Parlamento Europeo. I presupposti per andare all'attacco in questo momento li intravediamo e siamo disponibili a dare tutta la nostra energia e attenzione perché finalmente si superi questa prima fase con l'approvazio­ne della Tobin Tax al Parlamento Italiano. Crediamo che questo possa ridare un ruolo all'Italia a livello del Parlamento Europeo, sperando che saremo proprio noi a riaccendere il volano anche nella discussione di altri stati. Sempre che, come detto in premessa, questo Governo decida intanto di durare e in subordine di attuare con chiarezza almeno le proposte riformiste del suo programma elettorale che riguardano più che la politica interna, sempre problematica per gli attuali equilibri, quella Europea. Vi ringrazio
 
 
On. Alfiero Grandi
Sottosegretario Ministero Economia e Finanze
Per prima cosa, penso che dobbiamo essere grati a Giulio Santagata che come ministro per l'attua­zione del programma è venuto, con un atteggiamento di grande disponibilità, a confermare che nel programma de L'Unione, quindi del governo, c'è il punto relativo alla Tobin Tax e ad altri strumen­ti di tassazione internazionale. L'obiettivo era rintracciabile, ma era il momento giusto per ribadire questa scelta che credo sia importante perché abbiamo deciso di percorrere una strada nella quale bisogna che ognuno conosca bene non solo il punto di vista dell'altro, ma anche il ruolo che sta gio­cando. Poiché la scelta è caduta sul modello francese, vale a dire creare un gruppo di lavoro, che studi questi problemi, e di cui fanno parte da un lato il governo e i due ministeri più interessati e dall'altro le associazioni, utilizzando il meccanismo con cui è stato costruito il Rapporto Landau (l'idea poi viene da lì) per creare le condizioni affinchè tra le sedi istituzionali e la società, con le sue espressioni e le sue forme organizzate, ci sia un interagire positivo. Sapere, quindi, che il gover­no mantiene un impegno in questa direzione è una cosa importante.
Oggi, però, ci sono anche altre questioni importanti. La prima è che abbiamo, dal punto di vista par­lamentare, rimesso in moto il meccanismo, che si era interrotto per fine legislatura, e il cui filo, in questo caso, bisognava riprendere dall'inizio, sia al Senato sia alla Camera, dove sono depositati i due disegni di legge. Io ero presente mercoledì quando la Camera ha, come si dice in linguaggio tecnico, incardinato l'iter del disegno di legge nelle due Commissioni Esteri e Finanze della Camera.
Il progetto di legge riprende, quindi, il suo cammino dopo la presentazione, e Francesco Tolotti, che è il primo presentatore e relatore per la VI Commissione, (ci sarà anche il relatore per la III Commissione Esteri), ha già fatto mettere in calendario l'avvio della discussione. Abbiamo, così, un referente parlamentare, c'è, in sostanza, una sede parlamentare dove si affronta il problema. La sede parlamentare implica che il governo sia messo in grado di rispondere. Diventa, allora, importante che ci sia un chiarimento dei suoi orientamenti, come quello che questa mattina è venuto da Giulio Santagata, perché, ovviamente, anche il governo dovrà rispondere nelle sedi istituzionali per favorire il percorso del provvedimento di legge.
Vale la pena di ricordare le ragioni, sia pure per sommi capi. Vittorio Lovera ha già citato delle cose, e io non la voglio fare lunga. La prima ragione sta nel fatto che lo sviluppo di processi di natura finanziaria, rispetto ai processi veri e propri, ha creato un'economia di carta che finisce con l'ave­re non soltanto una vita propria, sostanzialmente indipendente da questa vita di carta, ma a far sì che da essa possano dipendere enormi ricchezze o enormi povertà, a seconda dei punti di vista. Si parla di un rapporto 6 a 1, io non so se sia un conto esatto, però anche se fosse meno, è una cosa che fa una certa impressione. E, contemporaneamente, questa parte, diciamo di economia, che poi di carta non è, essendo per larga parte economia informatica, è in grado di creare seri problemi allo sviluppo della vita delle persone, al diritto alla salute, al diritto a non essere poveri e ad avere una vita dignitosa. Sappiamo che i processi di globalizzazione insieme a qualche novità, hanno riserva­to anche qualche sorpresa. Però, sappiamo anche che, contemporaneamente, ci sono aree del mondo che continuano a dibattersi in una trappola mortale, purtroppo, qualche volta, anche, nel senso let­terale del termine.
Questo, evidentemente, è un grande, enorme, problema con cui ci dobbiamo misurare. Governare i processi, cercare di fare in modo che essi non siano abbandonati semplicemente a logiche di mer­cato, logiche di natura speculativa, che non pensiamo, neanche lontanamente, di vietare per legge, perché non sarebbe possibile né sotto il profilo nazionale, né europeo, né, tantomeno, mondiale: vie­tare no, regolare si. Per regolare bisogna prima di tutto conoscere, non si può regolare quello che non si conosce, o almeno conoscere gran parte di quello che accade. C'è stata tutta una fase nella quale si è fatta largo l'idea di poter conoscere i processi di natura finanziaria grazie anche ad un ele­mento "mitico": l'informatica. Perché nell'informatica c'è tutta una potenzialità di sviluppo, di mol­tiplicazione, di innovazione, fino ad arrivare, a un certo punto, al mito. Il mito dell'inafferrabilità, dell'impossibilità di mettere sotto controllo i processi. Dopodiché in questo Lovera ha ragione: i lavori che facemmo nell'altra legislatura, anche grazie all'aiuto di esperti italiani e stranieri, di espe­rienze e di punti di vista, ci ha permesso di dire, con una certa sicurezza, che non è vero che questi processi non abbiano almeno un "bit" nel quale ci sia un elemento riconoscibile; quel bit è fatto da qualcuno e a volte gli è attribuito un costo, anche se minimo. Può succedere che questo bit abbia un costo addirittura di pochi centesimi di euro, per carità questo è del tutto vero, in certi casi è effetti­vamente così, ma c'è un elemento di fisicità ridotto al minimo in cui gli elementi di transazione a livello internazionale sono tutto, fuorché sconosciuti.
Quello che sto dicendo è che, in dottrina, per così dire, lo avevamo già accertato, sulla base di cono­scenze che ci avevano dato i vari soggetti, di natura istituzionale o privata, che sono preposti, per i mercati mondiali, a queste segnalazioni. E, del resto, come si potrebbero spostare, semplicemente con un bit, cifre anche molto consistenti, per molte volte durante la giornata, se non ci fosse la sicu­rezza che chi li riceve è in grado, poi, di ottemperare al compito che gli viene dato e viceversa? Evidentemente c'è un elemento di regolazione che deve garantire, perché nessuno metterebbe attac­cati alle zampe di un piccione viaggiatore informatico, milioni di euro, miliardi di euro senza sapere bene che fine faranno. Quindi, è chiaro che c'è una fine certa di quello che succede. O almeno, si presuppone largamente certa. In questo ambito, poi, è cresciuto via, via, ed è un elemento che io penso dobbiamo valutare con grande attenzione, qualcosa che è nato dopo, non contemporaneamen­te ai processi di espansione dei processi finanziari dell'economia globale, ma, paradossalmente, dagli aspetti patologici della crescita dell'economia globale, cioè quegli elementi legati alla minac­cia del terrorismo crescente. Terrorismo, naturalmente, alimentato dalle politiche di guerra che conosciamo e che oggi, per la verità e per fortuna è un po' in crisi. Sappiamo, però, che da li è nato un grande problema.
Non più tardi di qualche giorno fa, sia Benvenuto, al Senato, come Presidente della Commissione, sia la Camera dei Deputati hanno dovuto dare un'opinione su un decreto legislativo del governo, che ha affrontato esattamente la situazione di un provvedimento di natura comunitaria riguardante proprio questi problemi: il controllo dei processi finanziari legati al terrorismo. Anche con provve­dimenti piuttosto forti, perché viene costituito un gruppo di lavoro, presso il nostro ministero dell'Economia, come fanno gli altri paesi europei sulla base della loro direttiva, che tra i suoi pote­ri ha quello di bloccare i fondi e, sulla base di una discussione che è stata fatta e anche di suggeri­menti che sono stati dati, il blocco diventa operativo anche se non c'è il rapporto con una zona di sospetto terrorismo: "Banca Irachena" non convince nessuno, difficile che Banca Irachena sia il tra­mite, più facile che sia una banca svizzera o italiana che sotto mentite spoglie - con un percorso anche qualche volta complicato - in realtà costituisce una delle modalità con cui viene finanziato il terrorismo. Recentemente la Guardia di Finanza ha messo un riflettore per cercare di capire meglio i meccanismi legati al trasferimento di moneta nelle aree da cui provengono una parte dei lavorato­ri immigrati, perché nell'ambito di questi flussi, secondo le indagini che si stanno facendo, ma non sono ancora concluse, sembra che anche filoni di finanziamento al terrorismo passino attraverso queste rimesse. Del resto in un cavo informatico può passare anche una cosa di questo tipo. Ecco perché "l'elemento conoscere" oggi non è più un elemento astratto di conoscenza, cioè un dibattito in cui ci si agita sulla base di opinioni, di interessi e di orientamenti politici e culturali. Siamo di fronte ad una cosa che ha qualche elemento di concretezza in più. Del resto, subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle, gli USA, di fronte al problema del tutto evidente che avevano di rea­gire, non sono andati tanto per il sottile intervenendo sia sulle transazioni internazionali, sia alla possibilità di mettere sotto tutela i "paradisi fiscali", perché, vi prego di credere che, a volte, sotto il manto dei cosiddetti "paradisi fiscali", comprese le Antille, in realtà passano dei "si dice" che non hanno una corrispondenza alla verità, in quanto i servizi anti-terrorismo americani hanno messo lar­gamente sotto controllo anche quello che succede con i cosiddetti "paradisi fiscali", la cui vita è del tutto effimera ove la si voglia rendere tale. Bisogna semplicemente volerlo. Abbiamo saputo recen­temente che una società belga, con una sede negli Stati Uniti, che ha la conoscenza informatica di tutte le transazioni, o di gran parte delle transazioni, per poter continuare ad operare dagli USA , quindi per continuare a lavorare ha ritenuto, secondo me sbagliando, tant'è che è sotto inchiesta per questa ragione, di "informare" il Tesoro americano e, di conseguenza, tutti gli organi di investiga­zione statunitensi, di tutte le transazioni concernenti qualunque tipo di rapporto, tra le due sponde dell'Atlantico, venendo meno ad ogni principio di tutela della privacy, sia in Italia sia in Europa, contraddicendo tutte le leggi nazionali europee. Ciò non toglie che il dato di fondo che ne deriva è che quando c'è un problema non si guarda tanto per il sottile. Improvvisamente, dette elucubrazio­ni, che hanno fino a quel momento impedito così, come un Molok, di poter andare avanti, crollano, e si scopre che ciò che fino a un minuto prima è stato negato si può fare tranquillamente. Quindi si può conoscere. Si può conoscere e, nel momento in cui si conosce, si può cominciare a ipotizzare una regolazione, e nella regolazione ci sono due aspetti che mi interessa richiamare: uno è il contributo con cui il Professor Spahn ha rielaborato la proposta Tobin, cioè un contributo con cui in sostanza oltre all'elemento di tassazione minimale, leggera, ordinaria nei confronti delle transa­zioni, che tende, però, a diventare cumulativa e, quindi, può essere di disincentivo, nel momento in cui l'elemento speculativo diventa molto frequente come transazione, prevede, contemporaneamen­te, però, anche l'aspetto molto rilevante delle turbative, di natura finanziaria, tra mercati finanziari con l'innalzamento di barriere di tutela delle aree monetarie in difficoltà.
In questo caso, ad esempio, potrebbe essere l'Europa ad attivarsi nei confronti di altre situazioni, quando questo diventi particolarmente rilevante. A me sembra che l'elaborazione di Spahn sopra il filone originario dell'idea di Tobin abbia costruito sia un'idea di regolazione, una capacità, cioè, di rispondere a due aspetti che tra loro non sono così immediatamente sovrapponibili: uno aspetto può esserci anche in assenza dell'altro.
Siamo in una fase di tranquillità, anche se non del tutto, perché in realtà movimenti di natura finan­ziaria a carattere speculativo sono tutt'ora presenti. Sappiamo che questa è una cosa che in genere si conosce un secondo dopo che la speculazione è partita; quando la speculazione parte è una "ola" che difficilmente si può fermare se non sono previsti degli strumenti; è vero che tra le banche cen­trali c'è una capacità di dialogo maggiore perché ammaestrate anche da esperienze negative, ma qualche elemento di questo tipo c'è. Siamo coscienti, però, che il funzionamento sarebbe bene che fosse codificato e regolato. Ecco perché, almeno a livello europeo, sarebbe molto importante poter arrivare all'approvazione di una normativa, sostanzialmente sul modello che Spahn ha elaborato, incrementando l'ipotesi originaria della Tobin, come un sistema che potrebbe, sulla base della conoscenza, regolare, tutelare, e difendere anche con barriere molto selettive. Però, io a Spahn aggiungo un secondo elemento che a me pare molto rilevante, oltre che, per certi aspetti, interessante. Proprio in vista del convegno di oggi mi sono riguardato gli atti dei lavori della XIV legislatura, che è una lettura molto interessante per tutti quelli che sono venuti, anche quelli contrari hanno potuto fare una scelta: quella di cercare di convincere e di portare degli argomenti, sempre molto importanti anche quando sono elementi a contrariis, cioè quando cercano di mettere in crisi un'ipotesi. Secondo me, una delle condizioni più interessanti e uno dei contributi più importanti è quello che venne dall'allora presidente della STMicroelectronics, nel corso della sua audizione: "Concorrenza tra le aziende", dicendo in sostanza questo: "nel mercato, oggi, è molto difficile distinguere e riu­scire a tutelarsi da una concorrenza che ha un carattere sleale, non produttivo, non di competitività reale. Nell'azienda, di cui era appunto il presidente, ha fatto della qualità un elemento di competi­tività, sforzandosi di raggiungere il più alto livello di competitività possibile, e in settori in cui, soprattutto, l'Est asiatico, ha una capacità fortissima di concorrenza sui livelli di consumo norma­le, su una produttività fondata su un lavoro non particolarmente qualificato, per riuscire a ottenere una concorrenza positiva, in cui misurarsi senza preoccupazioni. Avere un mercato regolato è, quin­di, un elemento importante".
Adesso, non vorrei interpretare male il pensiero dell'ingegner Pasquale Pistorio, ma a me pare che lui abbia trasportato l'idea del vero: è una concorrenza sleale all'interno di un paese come l'assen­za di regolazione, la possibilità di usare anche mezzi di concorrenza sleali sui mercati internaziona­li è anche un modo per attaccare la competitività positiva, cioè quella che si basa sull'intelligenza, sulla capacità dell'innovazione, su un lavoro degno di questo nome, eccetera, eccetera. Questo è molto importante perché alla fine Pistorio fu l'unico che nel corso delle audizioni fece anche i conti e disse: " mah, guardate, noi alla fine spontaneamente, come bilancio sociale dell'im­presa mettiamo una cifra pari, se non maggiore esattamente su quello che è il miglioramento socia­le in uno dei settori in cui noi siamo fondamentalmente inseriti: il "digital divide". Poiché noi abbia­mo bisogno di superare questo gap, noi mettiamo esattamente quella cifra, anzi un po' di più, negli interventi nei paesi in cui ci sono nostre aziende che hanno un gap rispetto alle aree fondamentali in cui siamo inseriti, che sono Italia e Francia". Quindi, per noi non è solo un problema, ma addi­rittura il superamento di contraddizioni con un utilizzo di questi fondi, per noi, tutto sommato, è una cosa che convince perché crea condizioni di mercato di grande interesse. Infatti, questo è il terzo elemento importante: conoscere, regolare; ovviamente regolazione significa potere attrarre delle risorse, e queste risorse potrebbero andare ad incrementare quell'obiettivo che è stato deciso nel 2000 e che dovrebbe essere realizzato nel 2015, anche se, per il momento, la sua realizzazione si vede ancora a una qualche distanza. L'obiettivo è quello di arrivare allo 0.7% del Pil dei paesi ric­chi nei confronti delle aree più povere del pianeta, a partire dai problemi che riguardano la salute, la vita, eccetera, eccetera, ma Patrizia Sentinelli dirà meglio per ciò che riguarda la nostra capacità di crescita dal livello bassissimo in cui siamo precipitati nel corso dei cinque anni passati, anche se è evidente che qui stiamo parlando di una cosa che non va a colmare le differenza, ma va ad aggiun­gersi. Qui non stiamo parlando di un qualche cosa che ci aiuti a arrivare, ad esempio, allo 0.7, ma di una cosa che va al di sopra: parliamo di una sede europea o mondiale di intervento, di risorse che debbono essere destinate a questi obiettivi, eccetera, eccetera.
Quindi, la possibilità di raccogliere risorse mi sembra l'altro punto molto importante su cui possia­mo e dobbiamo arrivare. Il quarto elemento su cui ragionare è sotto quale profilo affrontare il rap­porto, tra il nostro paese, l'Europa e la sede mondiale. Debbo dire che Attac, che si è fatta promo­trice per prima della proposta assieme ai movimenti che hanno sottoscritto l'iniziativa, ne tanto meno il punto di vista parlamentare, che ha in questi anni seguito la questione, ha mai pensato di poter fare un'iniziativa in un paese solo. Questa è la classica cosa che parla di relazioni internazio­nali tra grandi aree mondiali. Quindi l'iniziativa per una legge nazionale ha fondamentalmente l'obiettivo di arrivare a un'iniziativa, ad esempio, di livello europeo in grado di dare una risposta a questo problema. Sappiamo che abbiamo un orientamento della Bce che, mi permetto di dire, anche se forse non è del tutto istituzionale, trovo conservatore, perché sostanzialmente contrario. Mi ricor­do il giudizio molto negativo che la Banca centrale europea ha dato sulla legge approvata in Belgio, secondo me immeritatamente e in una certa misura anche inappropriatamente, perché la Bce dovrebbe attenersi al suo Statuto e questo è, invece, un compito tipicamente politico della Commissione e del Parlamento Europeo, del Consiglio d'Europa. Però, di questi tempi c'è una certa area di incertezza su cosa tocca a uno e cosa tocca l'altro in Europa. Io penso che a livello europeo abbiamo bisogno di arrivare a una normativa che riguarda tutti i paesi europei e credo che se a un certo punto si forma il gruppo di cooperazione rafforzata (l'idea è poi questa di un gruppo di paesi europei che è d'accordo di andare in questa direzione e che abbia un peso sufficiente), si può ragio­nevolmente sperare di arrivare a una legislazione europea in materia, perché in effetti l'area euro­pea potrebbe avere un ruolo sufficiente. D'altra parte siamo inondati di tabelle che ci illustrano in che modo sono ripartite le piazze finanziarie mondiali e sappiamo benissimo quali sono le aree di minima in cui è necessario arrivare per poter realizzare questi risultati. Anche se, ad esempio, ricor­do che Bellofiore in particolare ci ha rammentato che con un intervento che riguarda non la piazza in cui si fanno le transazioni, ma da dove parte l'ordine di transazione si potrebbe avere già nell'area euro il primo nucleo fondamentale che potrebbe azzardare un'iniziativa di questo tipo. Però a ripiegare c'è sempre tempo, poniamoci intanto l'obiettivo di un'area europea propriamente detta. Ovviamente, l'area europea, non la destinazione finale, l'obbiettivo è di arrivare ad un'iniziativa mondiale e qui c'è anche nel Rapporto Landau tutta una problematica, anche di natura istituziona­le, che ha cercato di costruire l'idea di un accordo sul modello di alcuni patti che per la verità non sempre hanno avuto una grandissima fortuna, ma sono pur sempre uno strumento di legislazione internazionale a cui aderiscono gradualmente aree del mondo fino a cercare di farlo diventare un problema su cui potrebbe esserci una vera e propria iniziativa a livello delle Nazioni Unite. Perché l'obbiettivo finale dovrebbe essere quello di definire una legislazione di questo tipo come uno degli strumenti di conoscenza e regolazione dei processi mondiali, nonché naturalmente di solidarietà e di riequilibrio, creando le condizioni perché questo venga discusso e deciso a livello mondiale e nello stesso tempo abbia anche una sede istituzionale attraverso la quale essere attuato. Pur essen­do aperto un dibattito su:"vale la pena di riformare quelli presenti, dal punto di vista delle istituzio­ni mondiali, o farne di nuove, o seguire nuovi percorsi", penso che al momento potremmo lasciar­lo sullo sfondo perché mi pare già un'impresa ardua riuscire ad arrivare al problema e quando ci arriveremo sono sicuro che troveremo la soluzione, però, abbiamo anche qui ampio materiale che ci dice come e in quali sedi potrebbe essere affrontata effettivamente la questione. Ecco la ragione per cui io penso che il riavvio legislativo, oggi nelle Commissioni Finanze ed Esteri della Camera, sia un'iniziativa molto importante che può produrre un certo grado di accelerazione anche se questi percorsi non sono mai brevi, perché la questione ritorni all'attenzione non solo per l'iniziativa del Comitato Governo - Soggetti Sociali, ma anche con l'interfaccia dell'iniziativa par­lamentare. Mi chiedo se dobbiamo anche cercare di prefigurare delle tappe intermedie. Mi sono posto la domanda perché in base all'esperienza fatta, anche nella scorsa legislatura, ho visto che quando i percorsi, soprattutto sotto il profilo istituzionale, magari sprofondano all'interno delle commissioni, di un lungo lavoro di esame di valutazione, poi si rischia di avere un lungo periodo di silenzio e di disattenzione. Alla fine, improvvisamente, viene fuori la bollicina, e tutti dicono:"beh! È ancora vivo il processo". Poichè gli addetti ai lavori, gli affezionati, i partecipanti sono sempre un numero piuttosto esiguo, sarebbe necessario tenere in vita il problema dal punto di vista di un'opi­nione più larga e con qualche maggiore cura, cosa che non sempre siamo riusciti a fare. Ecco per­ché mi pongo il problema di avere anche dei passaggi intermedi che segnano un po' le tappe di avvi­cinamento verso quello che continuo a considerare un obiettivo necessario: l'approvazione del provvedimento di legge e l'avvio in sede europea di una riflessione e di una decisione in questa dire­zione, che mi auguro anche i parlamentari europei riprendano con grande forza. Bisogna cercare di fare in modo che si parta tutti insieme perché c'è bisogno di tutti e non saremo mai abbastanza in questa iniziativa. Arrivare quindi alla legge nazionale e all'iniziativa a livello europea. Mi chiedo se per arrivare alla legge non si possa già cercare di avere delle tappe intermedie. Vi dico subito l'idea che ho, su cui ho fatto qualche sondaggio e penso che ci possiamo arrivare. Ad esempio, nel libretto che è stato distribuito oggi e che contiene un contributo molto importante di cui io sono grato alla Funzione Pubblica - CGIL che tra l'altro ha messo a disposizione anche le risorse per pro­durre la pubblicazione, in appendice c'è il testo del disegno di legge di cui attualmente si sta ragio­nando. Se guardate l'articolo 6, la sostanza potrebbe essere largamente anticipata, perché prevede che ci sia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un gruppo di lavoro che predispone sul piano nazionale ma soprattutto sotto il profilo dei rapporti europei il nucleo che deve lavorare per rilanciare a livello europeo l'iniziativa. Secondo me questa cosa è ragionevolmente possibile che possa esser fatta attraverso una mozione parlamentare che potrebbe impegnare il governo a costi­tuire il gruppo di lavoro presso la Presidenza del Consiglio anche prima che sia approvata la legge, spingendo ulteriormente in questa direzione. Non voglio anticipare nulla, ma la presenza di Santagata è un elemento di disponibilità anche in questa direzione. E'di qualche interesse avere un gruppo di lavoro che va oltre anche l'impegno del Ministero dell'Economia e del Ministero degli Esteri, ma costituisce un impegno del Governo nella sua collegialità; ovviamente sempre commis­sione mista, cioè istituzionale e movimenti, potrebbe essere un qualcosa che aiuta ad andare ulte­riormente avanti ad avere un dibattito parlamentare che è preliminare, prelude alla vera e propria discussione del progetto di legge. Naturalmente qui non ci sono limiti e non ci cono vincoli, la fan­tasia politica e sociale è benedetta, se ci sono altre ipotesi su come arricchire il calendario, per me va benissimo, purtroppo le idee non sempre vengono tutte in una volta. Quindi, sono perché insie­me proviamo a costruire un percorso che va appunto, con molta determinazione, in questa direzio­ne e io credo che oggi, ragionevolmente, ci siano le condizioni per sperare di riprendere il filo e arrivare a un esito positivo, sia pure con la coscienza che i tempi non saranno rapidissimi.
 
 
On. Patrizia Sentinelli
Viceministra Ministero degli Affari Esteri con delega alla cooperazione e all 'Africa sub-Sahariana
Vorrei in questa sede limitarmi a segnalare alcune delle motivazioni che mi hanno spinto - che ci hanno spinto - ad organizzare questo convegno, momento di approfondimento di un percorso di lavoro sul tema delle tassazioni internazionali avviato per merito del Sottosegretario all'Economia Alfiero Grandi.
Ringrazio, quindi, in apertura lo stesso Alfiero e il suo staff, che si sono generosamente adoperati per l'organizzazione di questo seminario ma anche, in maniera particolare, il CNEL, che ne ha con­sentito la realizzazione oltre a tutti coloro che hanno contribuito attivamente alle proposte che qui stiamo discutendo, in particolare Attac e il Comitato italiano per la Tobin Tax. Mi sembra che, seguendo i ragionamenti fatti nel gruppo di lavoro interministeriale, con la giorna­ta di oggi, oltre a sottolineare l'interesse politico sulla materia, si sia anche colta la necessità di pro­cedere con un approfondimento tecnico. Tale necessità si è evidenziata anche in passato tra chi è da tempo impegnato politicamente sul tema in questione e un importante contributo in questa direzio­ne è stato fornito, oltre che da Attac, recentemente anche dallo stesso CNEL. Quindi una giornata di studio, utile per fornire agli esponenti della società civile e delle organizzazioni e, in particolare, al Governo, delle ipotesi di lavoro su cui procedere.
Riprendo con piacere l'argomentazione di Alfiero Grandi sulla necessità di collocare questa nostra discussione, oltre che a livello del nostro Paese, ai livelli europeo e internazionale. Partirei quindi proprio da questo ultimo profilo, il più collegato alla mia attuale funzione di gover­no. Quando abbiamo iniziato a lavorare, infatti, era già in campo da tempo un gruppo di lavoro internazionale sulle tasse di solidarietà come forme innovative di finanziamento per lo sviluppo, chiamato il "Gruppo dei 44" e nato dall'iniziativa congiunta dei Presidenti Lula e Chirac. Oggi, que­sto gruppo di Stati si è ulteriormente ampliato e l'entrata dell'Italia, prima in qualità di osservato­re, poi come membro a pieno titolo del Gruppo, è stata tra le prime iniziative che abbiamo intrapre­so. Per parlarci con chiarezza e franchezza, il Gruppo ha diverse lentezze nell'ideare ed applicare nuove strategie né, d'altra parte, tutte le azioni in corso sono pienamente condivisibili; pur tuttavia le discussioni in atto consentono di fare utili passi in avanti per ragionare su fonti alternative ed aggiuntive di finanziamento dello sviluppo in un mondo globalizzato, dove anche le responsabilità debbono essere globali. Vorrei, prima di entrare nel merito, aggiornarvi su due azioni su cui il nostro Paese si sta fortemente impegnando nel settore della cooperazione. Il quadro nazionale presenta, infatti, a mio avviso due aspetti essenziali da migliorare. Da un lato, quello della disponibilità finanziaria, dunque un problema di incremento quantitativo delle risorse dedicate alla cooperazione, anche considerando che tra gli obiettivi del lavoro congiunto sulle tasse globali c'è quello di aumentare i fondi per la cooperazione internazionale. Dall'altro, c'è da migliorare e riformare il contesto generale della nostra cooperazione, vale a dire quello delle norme di riferimento e degli strumenti, perché vi è la necessità impellente di sviluppare l'efficacia dell'azione e la qualità degli interventi. Dunque, quantità e qualità.
Purtroppo non ho potuto seguire l'intervento di apertura del Ministro per l'attuazione del program­ma di governo Giulio Santagata, tuttavia mi hanno riferito come egli, oltre ad apprezzare l'iniziati­va, che del resto costituisce una applicazione del programma di governo dell'Unione, abbia richia­mato anche l'aumento dei fondi stanziati per la cooperazione per il 2007. Vorrei però ricordare a tutti noi in questa sede che, nonostante abbiamo ottenuto una apprezzabile inversione di tendenza, sulla quale mi sono impegnata al massimo, essa non sarà sufficiente per ottemperare agli impegni assunti a livello internazionale dal nostro Paese. C'è, piuttosto, la necessità di prevedere una cresci­ta esponenziale, almeno pari a quella del 2007, nelle leggi finanziarie per il 2008 e il 2009. Solo se tale trend di crescita - l'aumento delle risorse del Ministero degli Esteri nel 2007 è stato pari al +53% - si manterrà nei prossimi anni e si applicherà a tutti i soggetti che contribuiscono finanzia­riamente a formare l'APS, gli impegni internazionali potranno essere rispettati. Voglio ribadire que­sto concetto perché credo sia importante chiarire che il ragionamento che qui stiamo facendo deve essere considerato come aggiuntivo e slegato rispetto alla situazione di base. Accanto a questo, va ricordato però che in questi giorni si sta lavorando anche sulla copertura degli impegni presi per il Fondo Globale sulle pandemie, su cui alcuni di voi in particolare si sono espressi ed esposti nel Parlamento italiano ed Europeo e nella loro veste di associazioni della società civile. Proprio in Commissione Bilancio martedì prossimo vi sarà una riunione cui sono stata invitata per ragionare sulle poste e le voci di bilancio da utilizzare per coprire gli ingenti arretrati che l'Italia ha accumu­lato dal 2005 nei confronti del Fondo per la tubercolosi, l'AIDS e la malaria. Nella riunione pre­paratoria al G8 sui temi dello sviluppo in Africa, che abbiamo tenuto l'altro ieri a Berlino, tutti i membri hanno confermato pubblicamente la fiducia nel Fondo, la volontà di continuare a investire sul tema dell'AIDS, la volontà di utilizzare le flessibilità consentite dagli accordi sulla proprietà intellettuale per i farmaci, ma anche quella di sostenere lo sviluppo dei sistemi sanitari nazionali. Mi sembra a questo punto importante aggiornarvi sull'altro versante fondamentale di questo conte­sto: le prospettive sulla riforma della cooperazione internazionale italiana. Per lavorare sulla qualità, l'efficacia e l'efficienza dell'azione di cooperazione, infatti, assume un rilievo di primo piano la riforma della legge n. 49/87, per la quale stiamo finalizzando il testo del disegno di legge delega del Governo. Ieri, la Conferenza Stato-Regioni ha espresso all'unanimità parere favorevole sul testo, dopo che sono stati raccolti molti elementi proposti dalle Regioni e diretti a valorizzare il loro ruolo e operato. Questo ci consente di prevedere che presto depositeremo il disegno di legge in Parlamento, che spero venga al più presto incardinato nella discussione, vedremo se partendo dal Senato o dalla Camera. La riforma è importante proprio perché rimette in primo piano il dibattito su come concretamente il nostro Paese si predisponga ad incrementare l'efficacia dell'azione di cooperazione internazionale e a valorizzarla, anche e soprattutto attraverso il ruolo dei soggetti sociali: la società civile in generale e, nello specifico, quella organizzata.
Voglio però ritornare agli impegni internazionali cui ho fatto riferimento. Martedì e mercoledì pros­simi , si terrà a Parigi l'incontro ministeriale dell'OCSE-DAC dove torneremo a discutere di alcu­ni temi, tra i quali quello della cancellazione del debito nel conteggio dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo - sul quale io sono in generale contraria se implica una diminuzione delle risorse fresche dell'aiuto - ma anche quello della revisione delle attuali voci che compongono l'APS sui temi della sicurezza e delle operazioni di peacekeeping. Anche questo è un tema che ci vede contrari come Italia, lo abbiamo già espresso e torneremo ad esprimerlo in quella sede dove stiamo registrando la convergenza di altri Paesi donatori sull'ipotesi di un rinvio di una modifica peggiorativa. L'Italia oggi è tra i primi dieci donatori OCSE in volumi assoluti e ha raggiunto per il 2006 una percentua­le dello 0.29% nel rapporto APS/Prodotto Interno Lordo. Per il 2007, nonostante l'aumento dei fondi della cooperazione, la discesa di altre voci non consentirà di migliorare questo risultato. Per questo facevo riferimento alla necessità un incremento esponenziale per arrivare allo 0.7% nel 2015, con il livello intermedio per il 2010 pari allo 0.51% del rapporto APS/PIL. E' necessario, peraltro, discutere anche di come lavorare sulle tasse globali e sui meccanismi inno­vativi di finanziamento pubblico per lo sviluppo. Ne stiamo parlando da diverso tempo - ho anche precedentemente richiamato il "Gruppo dei 44", oggi dei "46" - per l'interesse e l'utilità di una tassa di solidarietà globale. Come sapete, la Francia ha istituito la tassa sui biglietti aerei sui tragit­ti internazionali. Credo dovremmo riprendere anche nel nostro Paese la riflessione sull'utilità di una tale iniziativa, dopo che questa era stata esclusa, soprattutto ora che i mutamenti climatici sono all'ordine del giorno del dibattito internazionale e vi è un grave incremento delle emissioni inqui­nanti. L'Italia è comunque entrata nel Gruppo da poco tempo e recentemente ad Oslo abbiamo con­tribuito ad aprire come tema di approfondimento e lavoro proprio quello dell'opportunità di un'im­posta sulle transazioni valutarie internazionali, informando gli Stati partecipanti del lavoro che si sta facendo insieme a tutti voi. Abbiamo ricordato - lo ha fatto ora Alfiero Grandi, ma anche Attac ne è consapevole - che c'è di certo una attenzione da parte di alcuni Paesi ma in un contesto di gene­rale tiepidezza degli Stati. E' quindi necessario lavorare ancora, sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Sempre nel "Gruppo dei 46" l'Italia aveva lavorato in passato su alcune operazioni per lo sviluppo di nuovi farmaci. Credo che questo tema vada affrontato da una diversa angolatura, quella dello sviluppo e sostegno alla produzione di farmaci - vedo Vittorio Agnoletto in platea e credo che il suo contributo sarà sicuramente interessante anche su questo tema - basati sull'assen­za di brevetto e sulla distribuzione il più possibile gratuita e garantita, in collegamento con i siste­mi pubblici sanitari nazionali dei Paesi partner della cooperazione. E' possibile? Ritengo di si. Di recente ho, infatti, avuto modo di apprezzare pubblicamente il lavoro di alcune associazioni (mi riferisco a DNDI) che stanno praticando questa linea insieme ad alcune industrie farmaceutiche e credo che i governi possano utilmente lavorare su questo versante.
Il reperimento di risorse aggiuntive e ulteriori per la cooperazione internazionale rimane comunque un tema importantissimo. Tra le opzioni di cui si è parlato pubblicamente vi è anche quella dell'uti­lizzo di lotterie. Su questo punto vorrei essere diretta e chiara: se, per un verso, l'idea è interessan­te, va però discusso con grande trasparenza se l'attivazione della raccolta di risorse per l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo sia da ritenersi opportuna per una istituzione o se, piuttosto, non si tratti di un intervento da lasciare prevalentemente all'iniziativa privata. Sul tema lotterie mi interesserebbe ragionare, piuttosto, al pari di quanto si fa, se non ricordo male, per i beni culturali, per la destina­zione di una parte dei rilevanti introiti che lo Stato deriva dal settore anche alla cooperazione allo sviluppo. Accanto a questo, mi sembrerebbe importante, ad esempio, se potessimo acquisire dei contributi attraverso l'emissione di francobolli, strumenti che già esistono ma che vengono utiliz­zati per finalità diverse dalla cooperazione internazionale.
A proposito delle azioni di sensibilizzazione, ci siamo fortemente impegnati, in questo periodo, nel sostegno alla Campagna delle Nazioni Unite per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, con la quale si potrebbe ragionare anche sulla possibilità di prendere parte anche al dibattito sulle questio­ni delle tasse globali, che oggi non sono ovviamente alla loro attenzione.
Rimane comunque il dato che, per l'incremento dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo, lo strumento della tassazione sulle transazioni valutarie internazionali sia una chiave di volta, senza mezzi termi­ni. Sono molto interessata a seguire gli approfondimenti tecnici che seguiranno dopo queste nostre brevi illustrazioni: ne parlammo già a suo tempo, quando abbiamo preparato l'argomento, nella sede del Ministero dell'Economia, e oggi questo è di nuovo il punto centrale. Ho citato una certa tiepidezza della comunità internazionale, la quale va coinvolta con energia. Credo che proprio l'istituzione di forme di tassazione internazionale in un mondo globalizzato - non parlo specificamente della Tobin tax, della quale sono comunque una sostenitrice - sia una formula su cui poter tornare a ragionare come fonte aggiuntiva di finanziamento dello sviluppo. In questo momento sono stati presentati in Parlamento due proposte di legge - una delle quali, mi si diceva, già incardinata - poste all'esame della Commissione Bilancio e della Commissione Esteri. Propongo di verificare e lavorare su questo: quindi una forma di tassazione delle transazioni valutarie le cui formule tecniche e modalità tecnico operative vadano approfondite e sostenute anche da parte del nostro Parlamento.
Infine, c'è da discutere tra di noi l'aspetto importante richiamato anche da Alfiero Grandi: è possi­bile far fare passi anche in Europa fin da subito? Io penso che possiamo prendere - e, da parte mia lo farò - un impegno a collocare la discussione anche nei rapporti internazionali che si stanno svi­luppando, compresi quelli all'interno dell'Unione europea.
Vorrei infine ricordare un tema cui non si è ancora accennato, quello delle rimesse dei migranti e delle loro connessioni con lo sviluppo. Anche questo può essere un profilo molto interessante per noi. Stiamo lavorando in questi giorni con alcune banche - penso alla Banca del Centro America, ma anche alla Banca di Sviluppo Africana - perché si possa mettere a tema un ragionamento per ren­dere possibile la collocazione del flusso delle rimesse nel circuito finanziario, a condizione però di una trasparenza e di una convenienza per i lavoratori, che debbono essere incentivati positivamen­te ma non tratti in inganno. Credo che questo si possa fare utilizzando strumenti come l'accordo, le convenzioni, l'aiuto e il contributo della società civile per mettere in campo azioni condivise. In queste parole, dunque, è racchiuso non solo il ragionamento generale su un interesse comune come quello della cooperazione internazionale ma anche elementi concreti del lavoro che stiamo portan­do avanti e che necessitano di essere sviluppati ulteriormente. Grazie a tutti, seguirò a questo scopo con estrema attenzione il dibattito e gli interventi di oggi.
 
 
Senatore Giorgio Benvenuto
Presidente Commissione Finanze Senato
Mi scuso con gli organizzatori di non potermi trattenere per l'intera durata del dibattito, ma come ben saprete al Senato ci sarà tra un' ora il voto di fiducia sul decreto sulle liberalizzazioni e non posso certo far mancare il mio voto dato i numeri ridotti della maggioranza. Data le brevità del tempo a mia disposizione cercherà di attenermi strettamente al tema a me asse­gnato: "la Tobin tax e il suo percorso parlamentare".
Posso affermare, senza timore di alcuna smentita, che il lavoro da svolgere nell'attuale legislatura fonda le sue radici su un terreno fertile frutto del grande lavoro svolto nella precedente legislatura presso la Commissione Finanze della Camera.
Tutto questo lavoro è stato attivato dalla raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare (redat­ta da Emiliano Brancaccio) per l'istituzione della Tobin in Italia; la campagna di raccolta delle firme lanciata dal comitato promotore ATTAC ha in breve tempo raccolto 178.000 firme ed ottenuto il sostegno di molte associazioni impegnate nel sociale.
Il disegno di legge scaturito non ha avuto vita facile; ha svolto il suo iter tra infinite difficoltà in un Parlamento segnato da una cultura politica e di governo tutto tesa a privilegiare le logiche di forza, gli interventi militari, rispetto all'attitudine al dialogo e alla comprensione sociale, all'azione poli­tica e diplomatica multilaterale che invece sarebbero state più opportune nel contesto politico del momento.
In quel quadro l'attività da noi svolta ha portato la Commissione Finanze e la Commissione Esteri, non solo ad incardinare il provvedimento , ma a concluderne il dibattito con l'elaborazione di quel testo che, non si poté poi esaminare in aula, ma che tuttavia ha avuto un grande significato ed un grande eco esterno, perché si è sviluppato con un lavoro di indagine minuzioso ed approfondito. Moltissime sono state le audizioni parlamentari di esperti italiani e stranieri, ricordiamo, tra tante quelle di Paul Bernd Spahn, Pasquale Pistorio, Dirk Van Der Maelen, Karine Lalieux, e del professor Bruno Jetin, e da ultimo, ma non ultimo per importanza dell'analisi contenuta la presenta­zione del rapporto del professor Jean Pierre Landeau.
Quel lavoro non è stato archiviato, quel lavoro è alla base in una situazione politica che si è modi­ficata nel nostro paese e di una situazione internazionale che offre oggi maggiori agganci e mag­giori opportunità e può riprendere con maggiore forza il suo cammino.
Grandi ha ricordato che quel testo è stato ripresentato alla Camera con il coinvolgimento delle Commissioni competenti; anche al Senato sono state presentate proposte identiche a quelle che si discuteranno tra poco alla Camera ed esiste un coordinamento tra l'attività che viene svolta a livel­lo parlamentare alla Camera e quella che dovrà poi essere fatta al Senato.
Quale contesto politico ci da maggiore forza e possibilità per arrivare a dei risultati? Questa volta - lo ha ricordato il Ministro Santagata - nel programma de L'Unione è specificatamente previsto l'impegno del Governo, nelle sedi comunitarie ed internazionali, per creare le condizioni per l'in­troduzione dellaTobin Tax. E il fatto che il Ministro Santagata oggi è venuto qui per riattaccare la fogliolina sull'albero del programma è di straordinaria importanza.
Abbiamo poi un governo che sul problema della cooperazione sta recuperato il tempo perduto e ha modificato il proprio atteggiamento. La Viceministra Patrizia Sentinelli ha ricordato che, nono­stante le difficoltà dell'ultima Legge Finanziaria, siamo tornati al livello di investimento del 2005 e si sta lavorando per incrementare questa capacità di intervento nel settore della cooperazione. Io penso che in questa sede, anche perché abbiamo esponenti importanti a livello di governo potremmo ragionare su alcune ipotesi che riguardano il nostro paese. Ne provo ad indicare una: le nostre leggi prevedono la possibilità di destinare una parte delle imposte pagata - l'Otto e il Cinque per Mille - che, su scelta individuale, hanno dato un buon risultato.
In relazione alle scelte effettuate per l' otto per Mille noi potremmo lavorare su un'ipotesi, che non comporta aggravio a livello finanziario, poiché i numeri ci dicono che solo il 45% degli Italiani effettua una scelta il rimanente 55% non esprime nessuna scelta.
Scegliere di destinare 8 per mille allo stato Italiano è molto debole perché di norma lo stato non indica preventivamente quale sarà la destinazione di questi soldi; negli ultimi anni questa destina­zione è stata spesso effettuata in modo più improprio; è stata utilizzata , ad esempio, anche per coprire il deficit dell'Alitalia. Io sono convinto che se tra le finalità dei fondi destinati allo stato si indicasse la cooperazione i cittadini sarebbero invogliati a fare questa scelta. Per quanto riguarda il problema di destinare una parte delle risorse provenienti dal gioco, riprendo alcuni spunti interessanti che venivano da parte della Sentinelli, noi abbiamo un precedente che ha funziona che è quello di destinare una parte dei proventi del lotto per finanziare il mantenimento ed il restauro dei beni culturali. A ciò nell'ultima legge finanziaria abbiamo inserito anche che parte delle risorse provenienti dai Monopoli di Stato vadano destinate in importanti progetti nel settore sanitario.
Le entrate derivanti dai giochi, anche a seguito di una grande battaglia contro le frodi e per la emer­sione dal gioco clandestino, sono notevolmente aumentate ed in tre anni si sono più che raddoppia­te, io credo che grazie a questo aumento potremmo indicare la cooperazione tra i settori da finan­ziare. Voglio qui sottolineare che questo servirà a coprire la differenza oggi esistente tra lo 0,7, che gli accordi internazionali prevedono che i bilanci dei paesi più ricchi debbano destinare a tali fina­lità ,e l'attuale 0.3 del nostro bilancio, e che dunque non si potrà superare il limite previsto. Avviandomi alla conclusione sottolineo che la proposta che avanziamo, ha un suo valore di cui io sono profondamente convinto perché è una proposta che non solo serve a trovare delle risorse a giu­ste esigenze, ma ha anche un forte elemento nel settore della trasparenza, dell'equità, oltre, ovvia­mente del controllo dei mercati in un sistema troppo deregolamentato.
 
 
Peter Wahl
direttore di WEED - World Economy, Ecology and Development, (Weltwirtschaft, Ökologie & Entwicklung), - ONG tedesca attiva su ricerche e campagne sui temi dell'economia e della finanza e dei loro rapporti con lo sviluppo.
Grazie mille, scusatemi se non parlo Italiano, almeno non abbastanza per poter intervenire sulla Tobin Tax nella vostra lingua.
Nella mia introduzione affronterò alcuni aspetti politici riguardanti la Tassa sulle transazioni finan­ziarie; infatti, è con l'espressione "tassa sulle transazioni finanziarie" piuttosto che "Tobin Tax" che preferiamo definire questo tipo di imposta.
Guardando al dibattito svoltosi su questo tipo di imposizione fiscale, si nota che nel corso degli anni si sono susseguiti congiunture e fatti politici diversi.
In una prima fase iniziale nel 1999 - 2000 è stata promossa una forte campagna di divulgazione durante la quale il movimento alter mondialista stava emergendo attraverso eventi come Seattle per fare un esempio; in tale periodo è nata l'associazione Attac come progetto internazionale. In quello stesso periodo anche molti governi e parlamentari erano pronti ad ascoltare, dialogare su queste questioni e farle proprie.
E' questo infatti il periodo in cui il Parlamento francese decise di sostenere la tassa e nel quale, anche Finlandia e Canada hanno avuto un atteggiamento favorevole adottando risoluzioni a suo sostegno. In questa prima fase l'intero progetto si è rafforzato e si è acceso un importante dibatti­to pubblico che ha trovato spazio nei media.
Sin dall'inizio infatti, la comunità finanziaria e parte di quella politica hanno avuto una reazione negativa, rigettando la proposta e contrastandola con argomentazioni tecniche ed economiche. A loro volta, i sostenitori (proponenti) della tassa hanno risposto a queste obiezioni. Contemporaneamente c'è stata una grande proliferazione di studi, uno dei quali è proprio lo "stu­dio Spahn", già menzionato questa mattina, condotto su richiesta del Ministro allo sviluppo tede­sco, in carica fino ad oggi, notoriamente favorevole alla tassa sulle transazioni valutarie. Negli anni a seguire 2003-2004, sono stati prodotti altri studi, anche se il peso politico della pro­posta fosse fortemente in calo e il forte sostegno iniziale alla Tobin Tax diminuito, arrivando a non costituire più una priorità nell'agenda politica (internazionale).
In seguito con la pubblicazione del "Rapporto Landau" la questione della tassazione internaziona­le e con essa la Tassa sulle transazioni finanziarie è stata riportata in agenda e il ruolo della Francia e degli altri paesi che hanno seguito il suo esempio nel potenziare (elaborare) la proposta, ha dato nuovo dinamismo al dibattito spostando di nuovo l'interesse sulla Tobin tax. Ora la questione della Tobin Tax ha di nuovo trovato spazio nel dibattito generale sulla tassazione internazionale, ma attraverso diverse proposte che singolarmente non riescono ad ottenere lo stes­so peso che aveva (la proposta unitaria) all'inizio di questo decennio.
Se analizziamo le motivazioni troveremo che una su tutte è chiaramente dominante: l'incontro di primavera del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale nel 2005 e, nello stesso contesto, l'incontro sullo sviluppo avevano sul tavolo (in discussione) un documento preparato dallo stesso staff della Banca Mondiale che prendeva in considerazione diverse proposte per creare meccanismi finanziari innovativi finalizzati allo sviluppo; tra questi c'era la Tobin Tax. In quella sede occorreva trovare un accordo comune sul documento, il quale benché non fosse pub­blico era conosciuto dagli interessati del settore che potevano chiederne copia; al termine dell'in­contro fu raggiunta un'intesa ("una matrice di accordo" "proposta di accordo") dove erano tenuti in considerazione i vari aspetti e le problematiche inerenti agli strumenti di innovazione finanzia­ria per lo sviluppo valutandone in particolare costi e questioni tecniche.
Il vero scoglio tuttavia è costituito dalla politica: gli esperti hanno studiato la Tobin Tax e, la cosa sorprendente è che praticamente sotto tutti gli aspetti tecnici questa tassa non solo ha superato ogni esame, ma risulta essere uno strumento molto efficace; a dispetto di tutto questo la politica non ha espresso gradimento e pertanto oppone il suo rifiuto a queste proposte.
Io posso affermare che il problema maggiore della tassa sulle transazioni monetarie non riguarda gli aspetti tecnici, in quanto è stato provato anche da chi è nella comunità finanziaria che dal punto di vista tecnico ha un funzionamento molto semplice e non richiede grandi spese di attuazione. Tutte le qualità indicate a suo sostegno sono state confermate.
Anche l'eventualità di una sua elusione è stata affrontata ed è risultato ben chiaro che fatta bene questa tassa lascia ben poco spazio all'elusione.
Assieme alle altre critiche di carattere economico che sono state avanzate e rigettate, abbiamo veri-ficato anche che non è vero che comporterebbe alti costi ai paesi in via di sviluppo che la adottas­sero, al contrario la tassa una volta introdotta renderebbe gli stessi mercati meno costosi perché la spesa per contrastare la volatilità dei tassi di cambio calerebbe. Quindi tutte le obiezioni di caratte­re tecnico ed economico che sono state poste sono state rigettate e il vero ostacolo per l'imposizio­ne della tassa sulle transazioni finanziarie resta l'ostilità del mondo politico. Se consideriamo la nostra strategia futura un po' più da vicino, per quanto riguarda il modo in cui affrontare la questio­ne politica, io credo che dovremo avere ben chiaro che la comunità finanziaria sta bloccando ogni iniziativa perché ha grandi interessi in ballo.
Considerato che i mercati finanziari sono delle grandi macchine per fare soldi, potete immaginare facilmente che quelli che ne traggono profitto non verranno convinti da nessun ragionamento, per quanto saggio e razionale, perché si tratta dei loro interessi diretti.
Per questo motivo credo che per trovare il sostegno necessario ad esercitare pressioni sulla classe politica, non dovremmo cercare di convincere della bontà della tassa coloro che traggono profitti dai mercati finanziari, in particolare dalle speculazioni finanziarie. Dovremmo invece cercare di ottenere il consenso di coloro, siano segmenti o settori di questo sistema, che già sono attenti, o potenzialmente interessati alle questioni riguardanti lo sviluppo.
E la seconda grande direzione alla quale dobbiamo guardare è l'opinione pubblica. Ora io mi adden­trerò molto brevemente in queste due aree e esaminerò come possiamo sviluppare delle strategie per accrescere il consenso politico in questi settori.
Prima di tutto guardiamo al settore politico. Io credo che il mondo politico potrebbe essere interes­sato, alcuni esempi sono stati illustrati ed è già il caso della Comunità addetta allo sviluppo, i mini­stri allo sviluppo e tutti i settori della società civile che hanno a che fare con le grandi lobby, le Agenzie, eccetera. Tutti coloro che hanno a che fare con questa materia sanno che gli obbiettivi del millennio non saranno raggiunti se non ci saranno fondi aggiuntivi e in merito, c'è un importante studio condotto dalle Nazioni Unite che tutti conosciamo anche se i politici evitano di menzionarlo in pubblico.
Quindi esiste un forte interesse da questa parte. Tuttavia c'è un problema particolare: molte perso­ne che operano nei vari settori addetti allo sviluppo, mi riferisco in particolare a coloro che opera­no in ambito sanitario, non si addentrano nell'analisi tecnica delle proposte, ma si limitano a veri-ficare se esse realmente possano produrre denaro da investire o se qualcuno prometta di stanziare fondi, ad esempio per la lotta all'AIDS.
Capisco che si tratta di un aspetto particolarmente interessante, ma è necessario aprire un confron­to con questi amici e spiegare loro che non tutte le proposte attualmente in discussione vanno indi­stintamente bene: alcune sono migliori di altre, ma personalmente, ritengo che certe strade non siano percorribili e non vadano prese in considerazione.
Vorrei prenderne in esame solo tre ed giudicarle brevemente. Una di esse è stata già menzionata sta­mattina e riguarda le lotterie (nazionali a premi). Quando parliamo di imposizione fiscale il punto fermo dovrebbe essere sempre la dimensione distributoria, ovvero chi le paga e quanto paga. Questo è un principio di base che comunque è già definito nella dichiarazione (universale) dei diritti umani e civili durante la Rivoluzione Francese nell'agosto 1789, al paragrafo 11, anche se forse a molti sfugge quanto sia rilevante che una tale questione entri di diritto nella dichiarazione (universale) dei diritti umani e civili. Verso la metà del paragrafo 11 si stabilisce che "le tasse debbono essere impo­ste in base al potenziale economico delle persone". Ovvero, (in base al principio dell'imposizione diretta) i ricchi devono pagare di più, mentre i poveri di meno.
Questo è il principio di base delle società civili dal tempo della Rivoluzione Francese ed è attesta­to come parte dei diritti umani e civili. Non dovremmo quindi, mai perdere di vista questo passag­gio, in particolare se abbiamo a che fare con i paesi in via di sviluppo. Ora, ritornando alla questione delle lotterie dobbiamo domandarci: chi gioca alle lotterie? E' noto che le classi sociali con reddito più basso giocano molto di più e quindi pagano le lotterie, quindi la proposta della lotteria, da un punto di vista redistributivo significa di fatto mettere le mani nelle loro tasche e prendere li i soldi.
Anche io credo che Il gioco d'azzardo vada tassato, ma dalla parte giusta: dovremmo tassare i casi­nò globali come li ha chiamati John Mainard Keynes e il casinò globale è la speculazione con ben due trilioni di dollari americani scambiati ogni giorno sulle piazze di cambio e sui mercati valutari. Questi due trilioni sono l' 80-90 % della speculazione, mentre il resto è composto dall'economia reale come il commercio e gli investimenti esteri. Quindi questo più che 1.7 o 1.8 trilioni di dolla­ri usa al giorno è il vero gioco d'azzardo, una macchina tremenda di produzione di soldi che porta molto denaro al di fuori del sistema distributivo ed è per questo motivo che possiamo dire che la Tassa sulle transazioni finanziarie prenderebbe i soldi dalla parte giusta, ricavarli invece dalle lot­terie (nazionali) non costituirebbero una misura emancipatoria a livello politico per la società civi­le.
Un'altra questione che è stata sollevata riguarda le rimesse, sulle quali c'è un grande scandalo: le banche fanno molto profitti extra sui costi delle transazioni, infatti un lavoratore proveniente ad esempio dello Sri Lanka che vive a Roma, per trasferire 1000 dollari verso il suo paese, deve paga­re a volte fino al 50 - 60 - 70 percento in più, tanto appunto è il costo di questa transazione. Questo è uno scandalo e io credo che si tratta di una materia molto facile da affrontare anche a livel­lo nazionale, creando una regolamentazione internazionale che obblighi le banche ad applicare un'aliquota non eccedente il 4% anche sulle transazioni monetarie di piccole entità sotto i mille o i diecimila dollari. Questa regola dovrebbe essere imposta per legge e le banche dovrebbero essere obbligate a rispet­tarla. Abbiamo un analogo dibattito all'interno dell'Unione Europea dove esiste lo stesso problema delle commissioni bancarie molto alte sulle transazioni in particolare dopo l'introduzione dell'eu­ro. Poiché tutte le transazioni vengono effettuate tramite terminale non c'è ragione per richiedere ai clienti provvigioni cosi alte come quelle che sono attualmente applicate.
Per fortuna la Comunità Europea sta già prendendo delle misure in questo settore e dovremmo con­siderare questo fatto come un esempio positivo.
Questo è tutto per quanto riguarda le rimesse dei lavoratori e non dovremmo dunque, considerare la sua tassazione come un sistema innovativo di finanziamento allo sviluppo. Da dove provengo­no questi soldi? Sono i soldi dei lavoratori e non dovrebbero essere considerati come un mezzo innovativo per finanziare lo sviluppo.
Il terzo elemento è il cosiddetto Impegno Finanziario Anticipato che è stato proposto dall'Italia presso il Gruppo Lula - Chirac nell'ultima conferenza a Oslo, questa è una proposta che è stata ela­borata dall'Amministrazione Berlusconi e come società civile non la approviamo. Se la si analizza attentamente il suo obiettivo primario è quello di creare sovvenzioni per l'indu­stria farmaceutica, che è una delle più ricche producendo alti profitti; in base a tale proposta i soldi, provenienti dall'erario verrebbero anticipati alle industrie farmaceutiche per occupare quote di mercato.
Quei fondi invece dovrebbero essere investiti meglio, ad esempio, nell'industria farmaceutica nei paesi in via di sviluppo raggiungendo allo stesso tempo due obiettivi:
a)        produrre medicinali generici a basso costo;
b)   favorire lo sviluppo di questi paesi senza arricchire ulteriormente le multinazionali farmaceuti­che.
Quindi per tornare alla questione generale, se al momento c'è un'attenzione che va giudicata favo­revolmente, dobbiamo anche stare attenti alle varie idee, proposte e ai meccanismi di finanziamen­to allo sviluppo che vengono posti in agenda, perché alcuni di essi hanno lo scopo di aggirare la discussione e distrarre l'attenzione sui progetti già da tempo in esame, come la tassa sulle transa­zioni finanziarie.
Quindi questo è un tipo di manovra tattica che dobbiamo avere ben chiara e sulla quale porre la massima attenzione.
Dovremmo infine, esercitare delle forti pressioni in favore di uno o due grandi progetti quali la tassa sulle transazioni finanziarie e la tassa ambientale sull'aviazione e non disperdere le nostre energie in tutti gli altri tipi di proposte.
Alla fine del tempo a mia disposizione che sta scorrendo velocemente arrivo ad alcuni importanti argomenti, o meglio, ho qualcosa di importante da sottolineare riguardo la classe politica alla quale dovremmo rivolgerci.
La tassa ambientale è uno strumento interessante ed è anche una leva politica che permette di raggiungere la comunità ambientalista. Sappiamo che l'ambiente sta tornando ad essere una questione molto importante e sentita, proporre uno strumento come questo potrebbe portare ad un'alleanza tra gli ambientalisti e i sostenitori di nuovi strumenti per lo sviluppo, sia nelle amministrazioni varie fino al livello governativo, sia nella società civile per accrescere la forza e il potere di questa proposta.
Sottolineo anche qualcosa che riguarda il modo in cui noi dovremmo porci nei confronti dell'opi­nione pubblica. Io credo che parlare della povertà e dello sviluppo non sia più sufficiente, secondo me non possiamo più parlare della povertà senza parlare del benessere.
Io direi che il mercato finanziario è una grande macchina per fare soldi e se guardate ad alcuni indica­tori riguardanti il benessere, mi riferisco specificamente al rapporto sul benessere mondiale edito ogni anno da Merrill Linch e Capgemini, l'ultimo del 2005 indica che gli ultra ricchi, i cosiddetti High Net Worth Individuals - HNWI, hanno aumentato l'assetto del loro capitale del 100% negli ultimi 10 anni. Chi altro ha raddoppiato il proprio reddito: operai o contadini? Se guardate all'ammontare che viene riportato nel rapporto esso è stato creato proprio attraverso i meccanismi di liberalizzazione e dere­golamentazione dei mercati finanziari; così noi avremmo un argomento molto forte verso l'opinio­ne pubblica per dire quali siano i veri i vincitori della globalizzazione, che essi non sono tassati per nulla, e che in particolare le transazioni monetarie sono una nuova fonte di profitto che fino ad ora non è mai stata tassata e nonostante tutto ciò appare come una cosa normale. Tutti i cittadini sareb­bero in grado di capire che la tassazione sulle transazioni monetarie di tipo speculativo non è una cosa complicata, piuttosto una questione molto semplice: un sacco di soldi vengono prodotti ed è normalissimo, naturale che questi soldi debbano essere tassati. Quindi, credo che questa sia una tesi molto efficace e che dovremmo presentarla direttamente ai politici ai quali dobbiamo chiedere di non aver paura di farla propria.
Sottolineo infine alcuni passi concreti da compiere e, se me lo permettete, alcuni consigli agli ita­liani su come procedere ad esempio su quest'ottima iniziativa della creazione di una Commissione sulla Tobin Tax.
Prima di tutto credo che dovrebbe essere creata una coalizione di volenterosi. La Francia il cui par­lamento ha approvato una risoluzione in favore della tassa è molto interessata. Poi c'è il Belgio che ha addirittura adottato una legge in materia. In terzo luogo c'è l'Austria che nell'ultimo anno duran­te la Presidenza di turno dell'Unione Europea ha ufficialmente aumentato il costo dei cambi, dal momento che è a favore della tassa sulle transazioni monetarie e anche il Parlamento austriaco ha adottato una risoluzione.
Quindi ora l'Italia dovrebbe, assieme alla Francia, il Belgio e l'Austria creare una sorta di coalizio­ne dei volenterosi in favore della Tobin Tax e prendere l'iniziativa dentro l'Unione Europea, ma anche in direzione altri paesi dell'Unione e dei grandi paesi emergenti sul mercato. Questo credo sia un importante punto per una strategia futura.
In secondo luogo l'Italia in occasione del prossimo incontro di Doha, dovrebbe magari assieme a questa coalizione dei volenterosi, compiere un grande sforzo per far rientrare la tassa nei meccani­smi finanziari di sviluppo previsti delle Nazioni Unite.
Credo che a questo punto questa coalizione dei volenterosi potrebbe giocare un ruolo importante. E da ultimo, ma non in ordine di importanza, nel Leading Group io gradirei molto se l'Italia contri­buisse molto attivamente affinché il dibattito sulla tassa sulle transazioni monetarie rimanga nel­l'agenda e che inoltre l'Italia consideri anche se sia il caso o meno di sostenere la proposta del Governo Berlusconi ad Oslo.
Noi, la società civile, vorremmo spingere il governo Italiano a riconsiderare la sua strategia nel Leading Group e a concentrarsi magari un po' più su proposte come la Tassa sulle transazioni mone­tarie piuttosto che su quella poco promettente degli Advanced Market Committments, peraltro non sostenuta da altri governi europei.
Quindi, grazie per la vostra attenzione, queste erano solo alcune idee per una discussione sulla stra­tegia futura.
 
 
Sony Kapoor
consulente sui temi della finanza, dello sviluppo e dell'ambiente collabora con diverse ONG (tra le quali Oxfam o Christian Aid), governi e istituzioni, incluse la Banca Mondiale e alcune agenzie dell'ONU. E' stato Direttore della sezione Policy e Advocacy per Stamp Out Povertà
addentrandoci nel 21° secolo ci confrontiamo con uno certo numero di ingranaggi e vorrei concen­trarmi su quattro di questi in particolare in quanto elementi rilevanti della discussione odierna. Il primo naturalmente che conosciamo, è che centinaia di milioni di persone vivono in condizioni di povertà, undici milioni di bambini muoiono ogni anno e gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, cosa che dobbiamo sempre ricordare, si propongono solo di dimezzare il problema, non di eliminarlo. Anche questi propositi seppur molto modesti non garantiscono di poter raggiungere il successo. Il secondo è che allo stesso tempo i fondi stanziati per soddisfare queste esigenze molto pressanti non sono rilevanti a fronte di un aumento senza precedenti nelle entrate globali. Abbiamo vincitori e perdenti della globalizzazione e i vincitori stanno diventando sempre e sempre più ricchi mentre i perdenti restano sempre più indietro: infatti ci sono persone nei paesi al di sotto della soglia del benessere come il Bangladesh che vedono peggiorare ulteriormente le loro condizioni. Il terzo ingranaggio rilevante è che la tassazione nazionale ed internazionale è sempre più lontana dal capitale peggiorando le condizioni dei lavoratori: i ricchi, i potenti mi riferisco sia a compagnie che a singoli individui, stanno sempre più sfuggendo al controllo attraverso l'evasione fiscale e lo spostamento di capitali in una scala senza precedenti e quindi sono le classi povere e medie che sono lasciate sole a sostenere il peso (sociale), sia nei paesi sviluppati che nei paesi poveri. E il quarto ingranaggio rilevante è che i mercati finanziari di ogni tipologia stanno tutti crescendo esponenzialmente e oggi sono così grandi e potenti in termini di potere lobbistico che la capacità dei governi nazionali di regolarli è seriamente messa in discussione. E abbiamo avuto un'instabili­tà della finanza con riduzioni di carta moneta circolante di alto livello, comportamenti irresponsa­bili e un tracollo dei legami con la vera economia.
Quindi, in questo contesto cosa possiamo fare? Parte della risposta risiede nel fatto che nonostante questi siano fenomeni complicati, la risposta non deve necessariamente essere altrettanto comples­sa. E infatti inquadrandoli, possiamo trovare alcune soluzioni abbastanza semplici che almeno pos­sano eliminare i peggiori eccessi di questi quattro ingranaggi e l'insieme delle soluzioni a cui mi riferisco sono chiamati collettivamente tasse sulle transazioni finanziarie, delle quali la Tobin Tax, la tassa valutaria è solo una, quanto meno la più conosciuta.
Lasciatemi introdurre ciò che dirò illustrandovi il fatto che prima lavoravo a Wall Street e nella City di Londra occupandomi di investimenti bancari, mentre lavoro nel campo dello sviluppo da solo tre anni e che è stato solo lavorando per le banche che per la prima volta ho visto quanto efficace ed efficiente possa essere una tassa sulle transazioni finanziarie. Nel Regno Unito ad esempio alla Borsa di Londra l'acquisto di un capitale azionario (share transaction) viene tassato dello 0.5%: ogni volta che si acquista un capitale azionario bisogna pagare lo 0.5% in tasse che è chiamato lo "Stamp Duty" (ital. "imposta di bollo"), che quest'ultimo anno ha raggiunto 8 miliardi di dollari, ovvero una somma di denaro significativa in base a qualsiasi standard. Questa somma è stata messa assieme con un sistema di riscossione molto efficiente che è costato 100 volte meno quello della riscossione delle tasse sui redditi, in quanto è stata raccolta automaticamente, elettronicamente per­ché i maggiori scambi finanziari attualmente sono gestiti elettronicamente e solo pochi si sono lamentati. La Borsa di Londra nonostante paghi annualmente una somma significativa di tasse con­tinua ad essere uno dei mercati finanziari più fluidi, efficienti e attraenti nel mondo. E infatti la tassa non l'ha fatta divenire meno attraente o meno competitiva. Questo genere di tasse non sono rare, paesi come il Regno Unito, la Francia, il Belgio, l'Irlanda, la Finlandia e la Grecia che sono nell'Unione Europea, ricavano entrate rilevanti senza alcun contraccolpo economico. Alcuni esem­pi di tasse sono quelle sulle transazioni di titoli (azioni, obbligazioni, stock transaction), le tasse sulle transazioni di obbligazioni (bond transaction), le tasse sui debiti bancari (bank debits), le tasse sugli assegni (cheque) o le tasse sulle transazioni sul cambio estero (foreign exchange transaction). Se guardiamo alla capacità attrattiva di queste tasse negli ultimi 5-10 anni, i governi latino ameri­cani hanno iniziato a renderle effettive un po' in tutto il continente: il Perù, la Colombia, l'Argentina, il Brasile, l'Ecuador hanno tutte introdotto queste tasse, o altre simili negli ultimi tempi. Ad esempio, nel 2003 il Perù ha introdotto l'0.1% di tasse sui debiti bancari e quando la tassa è stata introdotta c'è stato un grosso dibattito, ci fu molta paura e rabbia da parte del Fondo Monetario Internazionale, delle banche dicendo che questa tassa avrebbe prodotto danni economi­ci, che i depositi bancari sarebbero annegati, che avrebbe avuto conseguenze negative per la cresci­ta economica, ma nulla di questo è successo. Al contrario, dopo l'introduzione della tassa i depo­siti bancari crebbero con un andamento record, la disponibilità di credito nell'economia crebbe e la tassa ha permesso di raccogliere una somma sostanziale di entrate di circa il 2% del PIL. Che è una grossa somma di denaro.
In Brasile, il Ministro delle Finanze che ha recentemente parlato alla Conferenza di Tokyo ha spie­gato che una tassa simile che è stata introdotta ha aiutato ad identificare l'evasione fiscale relativa alle transazioni e ha permesso non solo di raccogliere una significativa somma di entrate, pari al 2% del PIL, ma ha anche aiutato a combattere l'evasione fiscale e la fuga di capitali (capital flight). Quindi, come è stato detto, c'è un beneficio che riguarda cosa sta accadendo, ovvero la trasparen­za e la capacità di essere in grado di identificare le transazioni che non dovrebbero avere luogo o che sono state utilizzate per evadere le tasse.
Il mercato del cambio estero che è il più grande mercato nel mondo, muove circa 500 trilioni di dollari ogni anno. Credo sia difficile visualizzare questa somma , ma permettetemi di spiegarvi. Immaginate di formare con tale somma una pila di biglietti da cento dollari uno sopra l'altro essa coprirà due volte la distanza tra la terra e la luna e ritorno, questa è la dimensione del mercato del cambio estero.
Ed è importante ricordare che i tassi d'imposta per raccogliere soldi da un mercato di tali dimensio­ni non devono essere elevati. Infatti, ciò che abbiamo proposto è una significativa modifica dell'ori­ginaria Tobin Tax, che si applica a un tasso che è solo la metà di un centesimo di un punto percen­tuale, quindi si tratta dello 0.0005% o lo 0.000005 e con questo tasso non c'è nessuno nel merca­to finanziario che abbia alcuna ragione per lamentarsi. Quindi è un porzione normale di rischio del mercato finanziario che si muove sopra e sotto tutto il tempo e questa tassa non verrebbe nemme­no avvertita.
È anche stato obiettato da molti che la tassa genererebbe un deterioramento degli scambi, della liquidità, eccetera e che non può essere posta in essere fino a quando tutti i paesi non la adotteran­no. Tutto ciò è sbagliato. Un tempo il mercato di cambio valuta estero operava in una maniera infor­male, perché era fatto attraverso il telefono, la gestione non era centralizzata, alcune transazioni erano organizzate in un posto, altre in un altro e non c'era un organismo in particolare che regolas­se questo mercato. Tutto ciò è cambiato e l'organizzazione del mercato delle transazioni estere, o almeno la gran parte, è oggi centralizzato in una nuova istituzione che è chiamata Continuous Link Settlement Bank. Così come c'è la Banca Centrale e il sistema di pagamento in Italia e in altri paesi, dove tutti i debiti bancari vengono determinati come alla Borsa c'è un sistema con il quale ogni acquisto in azioni viene determinato, c'è un sistema oggi con il quale ogni transazione in valuta estera viene gestito in un luogo ed è in questo luogo che è estremamente facile raccogliere la tassa e non c'è modo di evaderla. L'altra importante evoluzione è che la tassa può essere posta in atto uni­lateralmente, non c'è alcun bisogno che tutti i paesi del mondo la adottino assieme, ogni paese che abbia la propria valuta può adottare una tassa poiché la sua gestione avviene sotto la giurisdizione della Banca Centrale. Quindi il Regno Unito può adottare una tassa sulle transazioni in sterline, il Governo Norvegese può adottare una tassa sulla Corona Norvegese, con l'area Euro è un po' più complicato, ma non troppo in quanto tutti i paesi dell'area debbono adottare assieme la tassa e questo è il motivo per cui il suggerimento di Peter per creare una coalizione dei volenterosi è di estre­ma importanza, quando si ha un buon numero delle maggiori economie dell'area euro che si met­tono assieme per adottarla, questa tassa ha possibilità di essere accolta e può raccogliere tra 5 a 10 miliardi di euro in entrate ogni anno che è un'alta somma di denaro.
Mi ha fatto molto piacere ascoltare i punti della discussione odierna e i suggerimenti che sono stati avanzati. I quattro filoni di interesse sono stati un'Europa più equa dal punto fiscale che è estrema­mente importante: viviamo in un mondo in cui le tasse sulle aziende sono state fatte scendere con una media dell'8% dall'inizio del ventunesimo secolo a causa della competizione delle tasse, del potere delle lobby, per la tendenza delle multinazionali a ricollocare i tassi d'imposta aziendali in Europa. Il lavoro è stato tassato sempre di più, il capitalismo ha ottenuto un'impunità anche laddo­ve il benessere è sotto il precedente livello economico e questo è un problema particolarmente rile­vante che comporta un alto tasso di disoccupazione, c'è un profilo demografico in mutamento in cui una parte sempre più ridotta della forza lavoro dovrà sostenere le pensioni di sempre più lavorato­ri, quindi è inappropriato che il lavoro venga tassato con quote così alte. E questo esattamente ciò che sta avvenendo: i ricchi si stanno affrancando sempre di più (dalle tasse). Il secondo punto importante che stavo menzionando era quello di creare meccanismi innovativi per finanziare lo sviluppo; la tassa sulle transazioni finanziarie ha un ruolo molto forte da giocare in questo contesto raccogliendo una somma significativa di introiti. Io sostengo che non c'è nulla di innovativo su queste tasse, applicata giorno per giorno in molti paesi e non è qualcosa che noi dovremmo reinventare dobbiamo soltanto essere d'accordo e avere la volontà politica come popoli per sostenerle ed andare avanti fino alla doro emanazione.
Il terzo punto che stavo menzionando riguarda la ridistribuzione delle ricchezze a livello interna­zionale. Credo che questo sia una anno veramente critico: una tassa sulle transazioni valutarie o altre tasse sulle transazioni finanziarie sono sostanzialmente una famiglia di tasse che sono le più progressive in termini di incidenza, perché anche in paesi come l'Italia o il Regno Unito, come in altri, è la parte più ricca della popolazione, sono le grandi compagnie, le grandi banche i soggetti che hanno maggiore capacità di pagare e che muovono somme sproporzionate in transazioni finanziarie. Quindi ogni cosa che tassi queste transazioni finanziarie porterà il peso della tassazio­ne sulle persone più ricche e che maggiormente beneficiano dalla globalizzazione mondiale. E spe­cialmente quando si prendono soldi dai più ricchi nel mondo e poi li si investono per lo sviluppo, per finanziare il miglioramento delle condizioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, si compie un atto il più progressivo (nel senso di imposte) possibile. Prendendo i soldi dai più ricchi nel mondo, che più beneficiano dalla globalizzazione per darli a coloro che sono rimasti indietro, coloro che stanno morendo di HIV-AIDS, malaria o tubercolo­si. Quindi questo è il più efficiente dei sistemi di redistribuzione, sia a livello nazionale che inter­nazionale.
Il quarto punto riguardava il controllo e la regolazione del mercato finanziario. Avendo io stesso partecipato lavorando nel mercato finanziario non amo il controllo del lavoro, ma la regolazione è importante; le persone che dicono "i mercati, il libero mercato", ma i mercati non sono liberi. Se non ci fossero le regole, e i regolamenti degli stati andremmo in giro nudi mangiandoci l'un l'altro, i mercati esistono nel mondo laddove ci sono governi i regolamenti, le Borse e le banche. È la regola della legge che permette ai mercati di funzionare e i mercati debbono essere inseribili all'in­terno di questa regola della legge. Infatti, è interessante che in molti dei cosiddetti paesi di libero mercato nel mondo, gli Stati Uniti, le transazioni in alla Borsa di New York e al Nasdaq sono tas­sate e c'è qualcosa che si chiama "Tasse Sezione 31" (Section 31 Fees). Permettetemi di spiegare di cosa si tratta. Queste transazioni sono tassate e i soldi raccolti sono impiegati per finanziare la SEC che è l'organo regolatore della borsa statunitense e altri regolatori finanziari, quindi sostanzial­mente i partecipanti al mercato finanziario sono tassati per raccogliere i fondi che poi verranno impiegati per regolarli e questo è qualcosa che io credo è necessario fosse ripetuto in Europa. Quindi quel che posiamo avere è un sistema in cui alcune di queste tasse sulle transazioni finanzia­rie vengano esaminate e poste in atto sia singolarmente che assieme, le quali raccolgano una somma significativa di soldi. Parte di questi soldi può essere investita per affrontare il problema della cre­scente iniquità interna nei paesi come l'Italia, il Regno Unito, eccetera; parte dei soldi, invece, deve essere allocata per lo sviluppo dal momento che esiste un grande dislivello negli investimenti (in questo settore) ; e parte dei soldi potrebbe essere impiegato, ad esempio, per accrescere la forza e la capacità dei soggetti regolatori per controllare cosa avviene nell'economia finanziaria. E io non vedo questi come obiettivi esclusivi e quel che possiamo ottenere è che possiamo estende­re questa parte della coalizione politica perché alcune persone, in primo luogo quelle operanti nei paesi invia di sviluppo, altre che vogliono costruire ospedali, scuole nelle zone povere dell'Italia e alcune altre che vorrebbero vedere una stabilità finanziaria possono tutte essere portare a partecipa­re e lavorare assieme.
La questione della praticabilità di parte della tassa valutaria ha largamente trovato una risposta nelle mie considerazioni; permettetemi ora di ritornare al Tesoro del Regno Unito. Il Regno unito non ha un governo veramente di sinistra, come non ha un'economia finanziaria "di sinistra", ma questo è quel che il Tesoro del Regno Unito dice della Tassa sulle valute, sostiene: "tecnicamente è possi­bile applicare una tassa sulle transazioni monetarie unilaterale assieme alla Continous link Settlement Bank. Questa Banca gestisce quindici valute e facendo questo deve applicare leggi rile­vanti in ogni giurisdizione, includendo ad esempio, una tassa sulle transazioni monetarie. Potrebbe essere posta in essere relativamente facilmente e a poco prezzo impiegando le esistenti infrastruttu­re e reti del mercato, raggiungerebbe la gran parte delle transazioni condotte in una particolare valu­ta a livello globale non importa dove vengano fatte, e verrebbe posta in essere ad un livello suffi­cientemente basso (tasso basso), così da non nascondere e distorcere il mercato, senza portare a incentivi istituzionali per provvedere a fare una tassa mondiale". Quindi questo è ciò che il Regno Unito ha detto su questa legge e ancora ogni cosa riporta alla que­stione della volontà politica. Io vorrei dire ancora dell'altro ma sto esaurendo il tempo quindi lascia­temi concludere velocemente dicendo che abbiamo bisogno di contestualizzare questa discussione rispetto a cosa sta accadendo globalmente e ancora questi problemi riguardanti un aumento massic­cio della povertà e delle sofferenza, con l'aumento del riscaldamento globale abbiamo territori che sono state sommerse come il Bangladesh, siccità in Kenya, ci troviamo davanti a qualcosa che va fronteggiato urgentemente.
Il secondo punto coinvolge anche le questioni interne dentro l'Unione Europea, in Italia e in altri paesi ricchi: tutti stiamo affrontando problemi di ineguaglianza crescente, problemi che riguardano i ricchi che si affrancano sempre di più invece di pagare la loro parte alla società che, invece, è necessario che avvenga per avere uno stato sociale sostenibile. Abbiamo, quindi, problemi di obbli-gazioni private, hedge funds, ed un rafforzamento massiccio dalla parte della finanza globale che influenza la politica con un forte potere lobbistico, mentre dovrebbero essere più regolati. E il giu­sto dibattito, la discussione appropriata per trovare la soluzione di tutti questi problemi è quella di prendere in considerazione l'applicazione di tasse sulle transazioni monetarie nelle varie articola­zioni, sia a livello nazionale, in Italia ad esempio sulla Borsa di Milano che a livello dell'Unione Europea. Potreste, ad esempio, emanare una tassa sui debiti bancari in Italia, quindi se volete non avete bisogno di nessun altro. Ma c'è solo una necessità: individuare l'aspetto internazionale che è quello che la tassa sulle transazioni valutarie comporta una considerevole somma di introiti che diviene importante. Quindi c'è bisogno di guardare a queste che sono opzioni molto concrete, esi­stono in altri paesi e non c'è alcun problema tecnico se non che l'unico ostacolo riguarda la volon­tà politica. E c'è una buona opportunità per rispondere: ho aiutato i norvegesi ad organizzare la Conferenza di Oslo e alla fine della Conferenza c'è stata una chiamata ai paesi volontari per met­tere in piedi un gruppo di lavoro per attuare la tassa sulle transazioni valutarie come leva di svilup­po in avanti. Fino ad oggi nessun paese ha accettato di prendere il ruolo di guida di quel gruppo; è stato proposto un secondo gruppo sull'evasione fiscale e credo che nemmeno li sia stato individuato il paese che possa avere il ruolo di guida. Io dico che l'Italia potrebbe realisticamente svolgere questo compito e che otterremmo un buon risultato da quest'incontro se tra di voi trovate una volontà poli­tica comune, per prendere la guida di quel gruppo di lavoro che coinvolgerà i rappresentanti dei vari governi, banche centrali, e dal settore privato. Cosicché la prossima volta che ci riuniremo saremo due passi avanti per l'attuazione di qualcosa che sarebbe dovuta accadere tanto tempo fa.
 
Emiliano Brancaccio
Professore di Macroeconomia presso l'Università del Sannio ed estensore della proposta di legge di iniziativa popolare sulla Tobin tax, promossa da Attac Italia e consegnata in Parlamento nel luglio 2002.
Innanzitutto grazie per l'invito. Era da un po' di tempo, dai tempi lieti - e col senno di poi agevoli - del movimento di Porto Alegre che non mi capitava di partecipare così da vicino alla campagna politica a favore della Tobin Tax. Naturalmente, essendo stato incaricato nel lontano 2002 alla ela­borazione del testo della famosa proposta di iniziativa popolare, ho sempre cercato per quanto pos­sibile di documentarmi sul dibattito che ne è seguito. E dati i vincoli di quella che a mio avviso è una funesta contingenza politica, ho apprezzato l'ostinazione di chi ha fatto in modo che l'idea della Tobin tax non deragliasse dal binario dell'iter parlamentare. Inoltre, mi fa anche personalmente pia­cere rilevare che la proposta di legge Tolotti, sulla quale mi pare stia concentrandosi la vostra azio­ne, riprenda per intero alcuni passi importanti della originaria proposta di iniziativa popolare. Tuttavia - e lo qui dico con spirito assolutamente costruttivo - leggendo la proposta di Tolotti e i vari interventi, le varie considerazioni che sono state riportate anche in questa sede, a me pare che stiano affiorando degli elementi di ambiguità intorno al significato da attribuire alla Tobin tax, anche rispetto all'ispirazione originaria della legge di iniziativa popolare. In particolare io rilevo sostanzialmente due rischi di scivolamento rispetto alle ispirazioni originarie di Tobin e alla legge di iniziativa popolare. In primo luogo ho la sensazione che la priorità della Tobin Tax sia in qual­che modo ribaltata. L'obiettivo prioritario che era quello del controllo dei movimenti di capitale rischia infatti di essere erroneamente subordinato all'obiettivo del gettito. Ora, mi rendo conto che esistono forti interessi finalizzati a valorizzare l'aspetto del gettito, ma cercherò di chiarire perché invece si debba tenere sempre la priorità sul versante del controllo dei capitali. Il secondo elemen­to di rischio su cui vorrei soffermarmi è quello relativo alla logica dell'iniziativa politica. La legge di iniziativa popolare era fondata sull'obiettivo di partire dal livello nazionale per sollecitare un dibattito a livello europeo: provando prima a sollevare la questione in seno al Consiglio europeo, e poi, in caso di insuccesso, applicando direttamente una tassa nazionale con aliquota maggiore di zero. A me pareva una strategia vincente, al tempo stesso conflittuale ma anche costruttiva e coo­perativa. Ebbene, guardando le ipotesi di legge più recenti, sotto questo aspetto politico rischiamo forse un depotenziamento rispetto a quello che era l'impianto originario della legge di iniziativa popolare. Allora, proverò in questa sede a fornire alcune indicazioni che spero possano costituire, nella fase
di stesura del testo definitivo, una possibile bussola per l'orientamento. Possiamo dire, per farla breve, che esistono essenzialmente due diversi caratteri, due diverse declinazioni, due versioni chia­ve della Tobin Tax. Da un lato abbiamo la versione che potremmo definire moderata, la versione che personalmente ho definito "compatibilista". E' la versione della tassa cosiddetta "Robin Hood", della tassa che toglie ai ricchi speculatori per dare ai poveri. È questa la versione oggi più in voga. Essa incorpora anche le varianti più recenti, come ad esempio la stessa variante Spahn, che, in linea di massima ha scopi ridistributivi e che poi accenna solo marginalmente alla possibilità di elevare la tassa per contrastare eventuali "turbolenze" dei mercati (una possibilità sulla quale in ambito accademico si nutrono forti dubbi). Ebbene, mi pare chiaro che questa versione "compatibilista" è emersa prioritariamente negli atti, nelle discussioni, negli interventi degli ultimi anni, e in buona misura anche in quelli di stamattina. Ora, qual è la caratteristica di fondo di questa versione mode­rata? La caratteristica di fondo è che in generale salvo casi eccezionali l'aliquota deve essere molto, molto bassa. E questo per un motivo semplice: perché se io voglio ricavare gettito fiscale dagli scambi speculativi di valuta, ebbene io dovrò fare in modo che gli scambi di valuta si veri-fichino. Se invece aumento l'aliquota, al punto da scoraggiare lo scambio speculativo, è chiaro che gli scambi si riducono e quindi anche l'imponibile si riduce. Insomma, per intenderci, nella ver­sione detta "Robin Hood" - che è una bella espressione, ma che in realtà è la versione moderata, compatibilista - la tassa può essere vista come una specie di piccolo pedaggio autostradale. Si dice allo speculatore: caro speculatore, tu scorazza pure nell'autostrada della globalizzazione, ubriaca pure il sistema e, soprattutto vai pure a caccia dei paesi che offrono i tassi di interesse più alti; l'im­portante è che tu accetti di pagare un piccolo pedaggio, l'importante è che tu renda tutti noi un bri­ciolo partecipi del gigantesco processo di virtuale e devastante valorizzazione del capitale che stai ponendo in atto.
Perché definisco questa versione compatibilista: perché questa non crea grossi problemi alla mec­canica del sistema, perché non crea problemi grossi alla speculazione. Dunque, per quanto possa sorprenderci e dispiacerci, proprio la "versione Robin Hood" non è la più adeguata all'obiettivo ori­ginario di Tobin. La versione più vicina alle indicazioni originarie di Tobin è quella che io defini­sco "conflittualista". Si tratta della versione della Tobin tax che punta ad un'aliquota della tassa­zione relativamente alta. Infatti nelle intenzioni di Tobin la tassa non doveva prioritariamente ser­vire a fare gettito, non doveva semplicemente rappresentare un pedaggio da far pagare agli specu­latori. Tobin diceva che quello del gettito, quello del pedaggio era un effetto beninteso lieto, nobi­le, lodevole, era poteva al massimo trattarsi di un effetto collaterale, un effetto lieto ma secondario. Per Tobin la tassa doveva essere relativamente alta perché l'obiettivo principale doveva essere quello di scoraggiare gli scambi speculativi. Scoraggiarli. Questo evidentemente significa che una tassa sufficientemente alta riduce il volume di scambi e quindi non ci darà un grosso imponibile, quanto meno ci darà entrate minori rispetto all'ipotesi di aliquota bassa. Ma questo avviene proprio perché la tassa è finalizzata a scoraggiare le scorribande del capitale finanziario sui mercati internazionali. Insomma, qui dobbiamo essere chiari: l'obiettivo prioritario l'obiettivo della Tobin Tax deve esse­re quello di riaprire un dibattito sul controllo dei movimenti di capitale. Io credo che noi dovrem­mo cercare in qualche modo di far emergere questo obiettivo, anche nella funesta contingenza, come minimo inserendolo espressamente nei testi di premessa e di accompagnamento degli atti legislativi. E possibilmente rendendo coerenti questi atti con la possibilità di concentrarsi sull'obiet­tivo del controllo dei capitali non appena se ne presenti l'occasione politica. Perché vedete, qui si parla tanto di crisi della politica, si parla di perdita della sovranità politica, ma noi sappiamo che la perdita della sovranità politica non è altro che l'immagine speculare della piena, totale sovranità di un capitale che è libero di scorazzare nel mondo. Pertanto, noi dovremmo sempre cercare di ribadi­re che solo reintroducendo forme di controllo dei movimenti di capitale - di cui peraltro la Tobin Tax rappresenta una delle forme più blande - noi saremo in grado di creare nuovamente un margi­ne di manovra politica sul livello, sulla composizione e sulla distribuzione del prodotto sociale. E quindi sulle condizioni di sfruttamento del lavoro. Perché, intendiamoci bene, nelle attuali condi­zioni di libera circolazione dei capitali il profitto è quella che tecnicamente si definisce una varia­bile esogena: cioè il profitto sta appeso per aria, è alto, è sempre più alto e nessuno nelle attuali con­dizioni può sperare seriamente di intaccarlo.
Naturalmente, mi potreste qui obiettare: caro Brancaccio, noi qui saremmo anche ben disposti, tut­tavia vedi di rassegnarti, prendi atto che i tempi sono quelli che sono, che la fase politica è delle più difficili. Noi caro Brancaccio, abbiamo già un sacco di problemi nel tentare di far passare una ver­sione un po' più moderata e compatibilista della Tobin Tax, quella che serve a fare gettito essenzial­mente per fare cose buone e degne. Come pensi tu di venire a ricordarci la ratio originaria della Tobin Tax, quella conflittualista, che punta a ripristinare controllo politico dei capitali?. Ebbene, io di fronte ad una obiezione come questa ribatterei nel seguente modo. A me sembra ormai chiaro che la versione moderata ha fatto il suo tempo. A tentare di introdurre la versione moderata con aggiusti, accomodamenti, alleanze improbabili, ci si è provato a lungo, in vari paesi. E non ha funzionato. Chiedo allora se non sia giunto il tempo di recuperare l'istanza originaria. Cerchiamo cioè di usare la Tobin tax per rilanciare il tema del controllo dei movimenti di capitali. Io credo che in prospettiva questo spostamento nell'asse degli obiettivi possa rivelarsi fecondo. La ragione è che a livello mondiale gli squilibri di bilancia dei pagamenti sono sempre più ampi, i centri tendono ad accumulare capitali mentre le periferie vengono depauperate. Questi crescenti squilibri stanno ad indicare che i meccanismi neoliberisti di riequilibrio attualmente vigenti (che sono quelli della deflazione salariale, delle politiche restrittive, delle migrazioni di persone e di capitali) incontrano tuttora delle forti resistenze sociali, e quindi risultano inefficaci. E alla lunga questa inefficacia potrebbe dar luogo ad una crisi generale, e quindi all'esigenza di rilanciare il tema del controllo dei capitali.
Insomma, io credo che noi dovremmo fare attenzione alla possibilità che in un futuro non troppo remoto in una situazione speriamo, di resistenza agli attuali meccanismi neoliberisti di equilibrio e quindi in una situazione di squilibri crescenti della bilancia dei pagamenti e di crisi sempre più dif­fuse e profonde, possa venirsi a costituire qualche blocco di interessi a favore del controllo dei capi­tali. Un blocco che possa realmente fronteggiare l'attuale grandissimo potere d'influenza sulle deci­sioni governative della comunità finanziaria, la quale evidentemente, vede invece tutti i controlli come fumo negli occhi. I dati ci dicono che una crisi nei rapporti internazionali è un'eventualità pro­babile. Cerchiamo allora di essere preparati a questa eventualità. Che si valorizzi pure l'aspetto "Robin Hood" della tassa, ma non dimentichiamo mai che quello è solo un lieto effetto collaterale e che l'obiettivo principale della tassa deve essere quello di riaprire una discussione sul controllo della dinamica dei capitali.
Un'ultima cosa che mi è stata sollecitata dall'intervento di Santagata. Lui giustamente dice che quella della tassa è una questione europea. E noi siamo tutti d'accordo, assolutamente. Segnalo però che nella legge di iniziativa popolare esisteva una procedura a mio avviso efficace: nella proposta di legge di iniziativa popolare si proponeva prima la tassa al Consiglio Europeo, poi se questo non assumeva l'iniziativa entro un certo arco di tempo allora si proponeva all'Italia di fare da battistra­da, di applicare cioè subito e autonomamente la Tobin tax. Tolotti nel suo testo segue passo passo questa mia indicazione originaria. Tuttavia, in caso di applicazione nazionale, propone di introdur­re una tassa con aliquota nulla. Nella proposta di iniziativa noi avevamo invece inserito una picco­la aliquota maggiore di zero. Anche solo un pelo maggiore di zero. Ecco io direi che la proposta di legge definitiva che porterete in Parlamento dovrebbe recuperare in qualche misura l'ipotesi del­l'aliquota maggiore di zero. L'iniziativa nazionale deve infatti esser tale da sollecitare effettivamen­te l'Europa. Dopotutto, questo è l'unico criterio che oggi funziona. Sappiamo bene infatti che sol­tanto da shock nazionali si è riusciti fino ad oggi ad avviare dibattiti minimamente democratici sul­l'assetto dell'Unione europea. E' stato così per le violazioni di Francia e Germania al Trattato, è stato così per i referendum francese e olandese, è stato così per la battaglia dei polacchi contro la disciplina europea degli aiuti di stato e secondo me sarà così ancora per un bel pezzo.
Dunque, i miei suggerimenti sono essenzialmente due. In primo luogo, fare in modo che il testo definitivo renda chiaro che il legislatore attribuisce la massima priorità all'obiettivo del controllo dei capitali e che pone invece in subordine il pur degno obiettivo di fare gettito. In secondo luogo, nel caso si debba introdurre la tassa a livello nazionale, fissare un'aliquota non pari a zero ma mag­giore di zero, in modo da creare l'evento simbolico necessario a stimolare un reale confronto costruttivo in seno all'Unione europea.
 
 
John Evans
Segretario Trade Union Advisory Commitee Press OCSC
Credo che oggi molti argomenti che ho ascoltato molto attentamente, siano stati posti sul tavolo. Io rappresento il punto di vista dei sindacati nella Commissione di Consiglio dell'OECD (il TUAC) e vorrei ragionare in questa discussione nell'ottica di come questo dibattito possa attirare l'attenzio­ne all'interno di un confronto nel sindacato ad un livello europeo e internazionale allo scopo, come diceva Peter, di costruire alleanze. Direi che, tra tre settimane ci sarà l'incontro di primavera del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale e c'è un comunicato congiunto dei sinda­cati al livello globale che menziona la tassa sulle transazioni valutarie - ed altro - come la propria posizione politica. Tra sei settimane ci sarà l'incontro con Angela Merkel e ancora si parlerà molto credo, prima del G8, della regolazione dei mercati finanziari - in qualche modo se ne parlerà anche nel corso del Congresso della Confederazione Sindacale Europea in maggio a Siviglia dove ci sarà una grande discussione sui mercati finanziari. Ma la domanda che pongo è: sarà possibile esercita­re una pressione sui lavori in quest'agenda?
Alcune delle questioni che vorrei affrontare oggi brevemente, le introdurrò ad esempio tentando di definire una mappa della discussione che abbiamo avuta negli ultimi dieci o quindici anni nei sin­dacati sull'argomento. Dodici anni fa abbiamo organizzato al TUAC un seminario prima di un incontro del G8, credo fosse quello di Halifax, durante il quale abbiamo invitato James Tobin a par­tecipare e illustrare con esattezza i meriti della tassa. Per alcuni è sembrata una follia che un'assem­blea sindacale discutesse di questioni inerenti ai mercati finanziari mentre avremmo dovuto occu­parci esclusivamente di lavoro. Oggi credo che quelle obiezioni siano cadute in quanto Tobin disse all'incontro una cosa molto interessante: ogni volta, nel giro di pochi anni, che il mercato valutario sembra solo creare confusione qualcuno dovrebbe inventarsi altre tasse. C'è un certa verità in que­sto. Poi è arrivata la crisi finanziaria asiatica: abbiamo visto i tassi di disoccupazione che, così come avevano raggiunto virtuali livelli di piena occupazione, sono risaliti fino al 20% in diversi paesi asiatici; abbiamo visto i reali standard di vita crollare, duecento milioni di persone rigettate all'im­provviso in povertà, anche se c'è stato qualcosa di simile ad un recupero in paesi come la Corea; abbiamo visto lavoratori spinti verso il lavoro nero, che ancora rimane un problema chiave nel mer­cato del lavoro di oggi, dieci anni dopo. Quindi il costo sociale, il costo economico della croce dei mercati finanziari è stato ancora caricato sui lavoratori, sul lavoro, sugli standard di vita. Il movimento, che ovviamente è nato con la questione della tassa al quale Peter e altri si riferisco­no - la creazione di Attac da parte di Ramonet e altri negli ultimi anni novanta - indubbiamente ha guadagnato molto potere. Ma da parte del sindacato abbiamo originariamente guardato molto alla questione sotto il punto di vista: può una tassa stabilirsi ad un livello relativamente alto per inizia­re realmente a stabilizzare gli effetti del mercato del cambio valutario? E quando ci incontrammo con Tobin nel 1995 lui disse:" beh, ci sono due soluzioni: o ci muoviamo verso l'unificazione delle valute, oppure verso la creazione di una tassa. L'unificazione è una strada molto lunga, quindi puntiamo ad una tassa". Ma in effetti però, in Europa è stato creato l'Euro il quale ha ben presto estinto la discussione al suo interno, sottraendo tutta questa parte del dibattito dall'attenzione della politica.
Il Segretario di Stato tedesco del tempo, che ha lavorato per Oskar Lafontaine e oggi è uno dei mag­giori economisti, disse che con la creazione dell'euro, in un colpo solo i più grandi casinò del mondo sarebbero stati aboliti; ma i mercati di cambio sono ancora presenti. Quindi poi l'attenzione si è molto allontanata dalla questione di provare a vedere se una tassa possa gestire queste fluttuazioni monetarie che danneggiano il lavoro e anzi, tuttora, l'interesse è posto tra gli squilibri e il rischio potenziale di shock più grandi tra il dollaro, lo yen e l'euro; l'attenzione non sta tornando sulla discussione iniziale, ma si concentra solamente sugli squilibri intesi come dise­guaglianze di cambio tra le diverse valute correnti più importanti. Dunque il punto focale è stato poi analizzato soltanto tornando alla questione originaria. Quando il Rapporto Landau fu scritto noi abbiamo presentato degli elementi dal punto di vista sindacale su come provare a individuare un modo per trovare più finanziamenti per lo sviluppo, che sono stati esposti. Il focus ancora una volta da parte dei sindacati si è discostato dal guardare i relativamente alti livelli della tassa: Tobin par­lava di questo 0.5% circa, per intaccare il meccanismo raccogliendo circa 200 miliardi di dollari, non 10 miliardi di dollari; oggi, qui si è parlato di una tassa molto più piccola di questa che potreb­be raccogliere comunque una somma significativa i soldi. Ora io credo che il punto sia su quale base trainante lavorare, qual'è l'opzione.
Io pongo tre questioni sul tavolo dal momento che credo che la sostanza del momento politico sia centrale.
Ho condiviso certamente che - rincorrendo tutto quel che è stato esposto stamattina - la questione di trovare più fondi per lo sviluppo estero debba rimanere una base essenziale del programma per stimolare un movimento in avanti su questa discussione. Al Summit di Gleneagle i paesi del G8 si sono trovati d'accordo sul raddoppio degli aiuti all'Africa, c'è adesso un periodo di due anni e mezzo fino al 2010, anno in cui in cui si presume che l'impegno venga assolto. Non c'è sicurezza, alcuna assicurazione su come quest'impegno sarà rispettato. Come ci si arriverà? Quindi il percorso di porre all'attenzione la questione della raccolta di fondi internazionali al centro del tavolo accanto - mi sono trovato d'accordo con Peter - a un numero molto limitato di altre forme di finanziamento che possano avvicinarsi a un punto di accordo, mi sembra sia essenziale. Il secondo punto programmatico essenziale affrontato oggi è collegato alla questione che è stata svi­luppata riguardante l'erosione delle basi imponibili. E io pongo sul tavolo anche il problema cen­trale che stiamo vedendo oggi che non è solo la riduzione delle tasse sul capitale e la concentrazio-ne delle tasse sul lavoro. Riguarda quei processi che si sono accompagnati ad una grande riduzione in tutto il mondo nella quota afferente al lavoro nel reddito nazionale. Io credo che uno degli effet­ti del fatto che le compagnie possono ora uscire da ogni singolo paese ha prodotto che gli attuali sindacati paralleli sono stati indeboliti in molti casi, il lavoro parallelo anche è stato indebolito. E quel che è accaduto è stata una riduzione della quota afferente al lavoro nel reddito nazionale pari a circa il 10 punti percentuale. Non solo negli Stati Uniti dove era un fatto atteso, ma anche in Europa e in Giappone. Quindi, in aggiunta al fatto di dire che la quota di reddito si sposta dai sala­ri al capitale, diciamo anche che l'attuale tassazione, che di norma prova a ridistribuire alcuni di questi fattori, anch'essa peggiora piuttosto che modificare la situazione.
Quindi la questione della tassazione sulle aziende, la questione di come ottenere nuove basi impo­nibili è stata sottratta all'attenzione principale.
Ma credo che il terzo tema che dobbiamo porre sul tavolo è anche la questione della crescita del fenomeno nei nuovi investitori: il ruolo dei fondi non bancari, la crescita negli ultimi 3 o 4 anni degli hedge funds e dei private equity funds (in particolare quelli del tipo leverage buy-out) sono diventati una seria preoccupazione. Abbiamo organizzato una conferenza in TUAC un paio di set­timane in cui fa una o due persone in questa sala hanno vi preso parte. Ciò che chiaramente vedia­mo è che la parte riguardante le transazioni internazionali è rilevante, significativa, ma la crescita dell'eguaglianza globale e anche la crescita del mercato del prestito in un paese per finanziare una transazione in un altro, cosa che poi porta il profitto da un'altra parte, ha al momento il maggior impatto sul funzionamento delle nostre aziende. E abbiamo visto modelli di business introdotti con i private equity che portano le aziende fuori dalla partecipazione statale (public ownership), ristrut­turandole attraverso pesanti debiti finanziari e processi di indennizzo, per poi rivenderle dopo due o tre anni traendone importanti aumenti di capitale.
Ieri il partito socialista europeo ha presentato un importante rapporto su come iniziare a guardare ad una regolamentazione sia dei private equity funds sia degli hegde funds. Credo che la questione di come uscire da questa visione a corto raggio che abbiamo oggi e che distrugge il lavoro e la qua­lità del lavoro, sollevi ancora la preoccupazione principale di come possiamo trovare forme di rego­lamentazione e di come possiamo trovare forme di tassazione sia al livello nazionale (che includano nelle basi imponibili anche i tassi di interesse) che al livello internazionale per cominciare a gestire la situazione esistente.
Credo che sia significativo che anche il Presidente della Banca Centrale Europa, Jean Claud Trichet, in uno dei suoi discorsi recentemente ha detto che oggi c'è questa grande scatola nera al centro del mercato europeo del capitale, della quale conosciamo molto poco e sulla quale non ci sono infor­mazioni che riguardano cosa stiano facendo gli investitori. Io credo che aprire quella scatola, ini­ziare a vedere quale possa essere la forma adatta di regolamentazione e in che modo si possa inter­venire con la tassazione, sia un momento cruciale della questione.
Concludo guardando ai collegamenti con ciò che è già stato detto. Uno dei punti che ha una forza trainante sugli altri, quindi diviene un vero snodo centrale della soluzione, riguarda la questione della ridistribuzione, che è stata affrontata qui oggi in direzione dei problemi di queste nuove forme di capitalismo che debbono essere messe in discussione.
In pratica bisogna provare a muoversi verso un accordo internazionale e alcune delle idee presen­tate debbono essere valorizzate.
Ho anche menzionato alcune date di incontri internazionali nei quali alcuni paesi in particolare vi partecipano. L'Italia avrà la presidenza al G8 del 2007.
Ho messo sul tavolo alcune delle questioni qui discusse. Sarà otto anni dopo il Summit di Genova. Sarà credo a distanza di due anni il momento in cui avremo forse la possibilità di costruire alcune di queste coalizioni. E credo che questo debba essere l'obiettivo principale sul quale lavorare, quan­do prenderete un'iniziativa al G8 che possa realmente portare avanti fino al livello internazionale alcune azioni coerenti.
Mi fermo per ascoltare la discussione e alcuni dei punti che saranno riproposti al dibattito che si terrà tra poche settimane a Siviglia.
 
 
TAVOLA ROTONDA
1° moderatore - Claudio Jampaglia
II molo dei moderatori della discussione di solito è di intervenire sui temi della giornata, il tema però, come abbiamo capito dalle vostre relazioni, è molto vasto e offre molti spunti e soprattutto molte domande. Pur sapendo che la maggioranza dei relatori sono venuti soprattutto per fare delle proposte, per presentare argomenti già ragionati, nel rispettivo lavoro parlamentare, governativo, associativo, sindacale, non rinunceremo all'occasione e proveremo a fare il nostro mestiere di gior­nalisti..
In particolare visto che si parla essenzialmente di Tobin Tax e di strumenti di tassazione internazio­nale e conosciamo le diverse esperienze internazionali che hanno provato a rilanciarla, vorremmo provare a capire con voi quali chance reali abbiamo di vedere realizzate misure simili alla Tobin Tax. E qual è lo stato di proposta e attuazione di una serie di provvedimenti, diciamo, propedeuti­ci.
2° moderatore - Andrea Di Stefano
Più che domande cattive cercare di intrecciare il tema Tobin Tax con argomenti generali, adesso mi sembrava un po' valido il dibattito che abbiamo fatto fin'ora però mi veniva spontaneo chiedere ad Alfonso Gianni, ma anche ad altri quanto si intreccia un tema come quello della Tobin Tax con tutte le sue complessità di natura tecnica con un problema, un altro tema che era sul tavolo che era la riforma delle rendite finanziarie che sembra salato. Allora diventa difficile sostenere la discussione e anche alcune provocazioni che ha fatto Emiliano Brancaccio quando poi uno dei Pilastri del pro­gramma de L'Unione, di questa maggioranza
Alfonso Gianni
Il tema della riforma delle rendite finanziarie è uno dei punti discriminanti per il programma del­l'Unione, diventato poi il programma di governo con il voto dell'8 e 9 aprile. La riforma, consisten­te nell'introduzione di un'aliquota unica, con un aumento cioè dal 12,5% al 20% sui redditi da capitale ed una contestuale riduzione di quella sui conti correnti bancari dal 27 al 20% dovrebbe esse­re, a mio giudizio, immediatamente affrontata anche se sembra che la questione per il momento sia stata se non accantonata, posticipata.
Sul piano interno, la riforma fiscale introdotta dal vice-ministro titolare delle finanze Vincenzo Visco, con la modificazione delle aliquote, avrebbe acquisito ed acquisirà tuttaltro aspetto se accompagnata da misure relative alla tassazione delle rendite finanziarie Vale a dire che la relati­va, modesta e timida, ma già significativa, modificazione del peso fiscale sul lavoro dipendente sarebbe molto potenziata, assumendo un significato assai più dirompente, se accanto ad essa si inse­risse un aumento della tassazione sul capitale nella sua forma finanziaria e speculativa. Sul piano internazionale, in merito alla proposta di legge sull'imposta sulle transazioni valutarie internazionali che trae spunto dalla Tobin Tax, il testo presentato in Parlamento che ha come primo firmatario l'On. Tolotti ha il pregio fondamentale di incorporare sostanzialmente i risultati del lavo­ro di audizione promosso da Grandi e da altri durato diversi mesi, che ha visto anche protagonisti di livello internazionale misurarsi su questo tema ed ha quindi il valore di essere un testo condivi­so, in parte già metabolizzato dalle forze politiche che lo fanno proprio, rappresentando pertanto un testo di iniziativa politica parlamentare in senso forte.
Da un lato essa si basa sulla spinta di una proposta popolare, dall'altro si basa su un lavoro di discussione nella sede legislativa propria che è il parlamento. Tali elementi non vanno sottovaluta­ti, rappresentando una sorta di valore aggiunto di questa proposta che quindi le forze che compon­gono il Governo devono sostenere e portare avanti con molto accanimento. Nel merito del suo significato, secondo me dal punto di vista pratico è molto più sottile di quanto si creda la differenza fra l'adozione di un provvedimento fondato sulla logica che la tassa rappre­senti un modo per aumentare il gettito e un altro che la veda invece come strumento di dissuasione dei movimenti speculativi di capitale. La differenza tra, diciamo così, la tassa come gettito e la tassa come strumento finalizzato a scoraggiare il capitale speculativo, così come evidenziato nella formu­la originaria del pensiero di Tobin nel 1972 prima ancora del 1976, non è così grande, perché anche nel secondo caso siamo di fronte ad una classica ipotesi di tipo riformista e non di tipo, diciamo così, conflittuale trasformativo. L'obiettivo perseguito con l'introduzione di uno strumento del tipo della Tobin Tax non è quello di scoraggiare gli investimenti di capitale tout court ma è quello di sco­raggiare quelli di tipo prettamente e squisitamente speculativo, nel tentativo di riorientare i movi­menti di capitale a livello internazionale verso scopi produttivi distogliendoli da scopi meramente ed esclusivamente speculativi a breve. Tant'è vero che l'ipotesi della tassa è, diciamo così, commi­surata anche alla velocità con cui questi movimenti di capitale avvengono. Più il periodo in cui si fermano è breve maggiore è ovviamente la loro vocazione di tipo puramente e squisitamente spe­culativa. Quindi siamo comunque di fronte a una attuazione di quello che io chiamerei un riformi­smo forte e soprattutto proiettato in una dimensione globale e francamente di quello già mi accon­tenterei.
Piuttosto un'altra è forse la considerazione che si può fare. Parlare delle due versioni, come detto non necessariamente distanti tra di loro ma comunque con alcune differenze, significa alludere, a mio modesto avviso, ad un problema ben più complesso, vale a dire al problema della creazione di una nuova Bretton Woods. Ovvero quello che mi pare si ponga con molta evidenza è se debba esi­stere e quale sia la sede mondiale che deve regolare il sistema monetario internazionale. Il secolo scorso ha vanificato il pensiero di Keynes da questo punto di vista cioè quello della mone­ta universale. Il fondo monetario internazionale ha semplicemente detto che le monete internazionali sono quelle che già sono internazionali con un ragionamento puramente tautologico (si tratta dello yen, del dol­laro, della sterlina e dell'euro).
In realtà la moneta non esiste più. Quando parlava Sony Kapoor veniva da sorridere per la sua immagine in base alla quale se noi materializzassimo il volume delle transazioni internazionali otterremmo una scala che dalla terra va alla luna, cioè che implementa i sogni di Jules Verne. Ma in realtà il sistema degli scambi è ormai un sistema di crediti e debiti sostanzialmente inesigibili, sempre più simile a quella geniale previsione del grande storico francese Marc Bloch che il capita­lismo è quell'unico sistema nel quale i crediti non sono mai riscuotibili. Infatti se uno tirasse una riga, esigesse cioè l'effettivo pagamento dei debiti, crollerebbe il sistema mondiale. Allora qui il grande problema che noi abbiamo e sul quale occorre prendere decisioni è se ci si muove in questa direzione. Certo se uno sceglie la strada della moltitudine e dell'esodo dalla sovranità, il modello alla Toni Negri della fuga degli ebrei dall'Egitto, il problema che io sto ponendo non ce l'ha, dicia­mo così, lo respinge dal suo pensiero. Ma chi non sceglie quella strada ha un altro problema, che è anche quello della pace e della convivenza tra i popoli e della solidarietà, che è il problema di una sorta di nuova Bretton Woods cioè di un'istituzione chiamata a regolare il sistema monetario inter­nazionale, rispetto al quale è funzionale la Tobin Tax. Che di fatti è pensata proprio come strumen­to di stabilizzazione negli scambi e di regolazione monetaria internazionale prima di ogni altra cosa. Per cui, considerato che siamo dentro la modernità e dentro le esigenze e nel pieno delle contraddi­zioni di questa fase della globalizzazione capitalistica, la Tobin Tax è effettivamente un granello di sabbia negli ingranaggi non del capitalismo in astratto ma di questo capitalismo globalizzato, quel­lo che abbiamo di fronte agli occhi nostri.
 
 
Claudio Jampaglia
La proposta Tobin Tax è approdata in Italia grazie alla spinta di Attac, il movimento nato oltralpe proprio per sostenere la Tobin. Allora chiediamo a Marco Bersani, uno dei suoi esponenti, se una volta raccolte le firme per una legge d'iniziativa popolare, passati alla fase diciamo istituzionale della realizzazione di una proposta di tassazione, quale sia l'apporto dei movimenti. Cioè se esiste una inevitabile delega al lavoro legislativo e qual è l'apporto dei movimenti. E poi, già che ci siamo, una riflessione aperta sullo stato dei movimenti "altermondialisti" che molto avevano ragionato sulla cosiddetta finanziarizzazione dell'economia e oggi sembrano più concentrati sulla pace e sulla guerra. Tanto per capirci: Alfonso Gianni diceva, poco fa che ci dovremmo chiedere e promuovere una nuova Bretton Woods. I movimenti organizzano Forum sociali mondiali da anni, ma non hanno mai detto qualcosa del genere. Mentre un esponente di governo lo fa. Si ribaltano le parti?
Marco Bersani
Io sarò meno pretenzioso in merito alla richiesta che mi viene rivolta, in quanto non credo di poter, in questa sede, delineare complessivamente quale sia lo stato dei movimenti in Italia, sia perché argomento complesso, sia per motivi di tempo e di attinenza al tema del convegno. Credo che la domanda sia azzeccata, credo che il problema sia un po' quello di uscire da una dicotomia, che in parte anche oggi emerge, ovvero l'antitesi tra il tutto possibile e l'esistente. A me sembra che sui processi di finanziarizzazione dell'economia, così come sulla questione "Tobin Tax" l'obiettivo fondamentale debba essere quello di fare un passo che ne fa fare un altro. Quindi non un passo che in realtà procuri successiva immobilità, e neanche un salto che sia puramente testimoniale. Lo dico perché sono molto d'accordo con uno dei passaggi dell'intervento di Emiliano Brancaccio. Volevo anche tranquillizzarlo sul fatto che non siamo di fronte ad una sorta di "tutto il mondo contro Brancaccio" bensì ad una dialettica per fortuna più ampia, in cui la posizione di Attac è stata e con­tinua ad essere inequivocabile. Attac pensa alla Tobin Tax come ad un grimaldello formidabile con­tro le politiche liberiste. E il fatto che provochi il ritorno del primato della politica sull'economia è per noi talmente importante che la discussione sull'aliquota da definire è, a questo punto, secon­daria rispetto alla sua approvazione come segnale politico fondamentale. Perché l'agire politico è fatto anche di simboli, e l'approvazione della Tobin Tax costituirebbe un passo che apre altri passi. Penso che l'obiettivo fondamentale di tutte le democrazie debba essere il controllo dei capitali finanziari, ma questo è un percorso complesso, la cui risoluzione non può esse­re affidata ad una sola proposta, né a quella possa essere richiesta. Mi interessa l'approvazione della Tobin Tax perché apre il fronte della lotta alla finanziarizzazione dell'economia, non perché da sola lo risolve. Anche perché se l'obiettivo fosse invece quello di controllare immediatamente i capitali noi dovremmo fare un' aliquota altissima, non solo un'aliquota un po' più alta, perché anche que­st'ultima non sarebbe commisurata all'obiettivo. Io credo che l'obiettivo sia ora l'approvazione politica della Tobin Tax. E per non tranquillizzare troppo il governo, al Ministro Santagata, che oggi, a proposito della Tobin Tax, ha detto "abbiamo rimesso la foglia sull'albero del programma dell'Unione" vorrei dire che, secondo i ritmi biologici, le foglie cadono d'inverno e a primavera cre­scono da sole. Quell'albero le foglie ce le ha. Il problema è se quell'albero è solido, perché dovremo scuoterlo. E con una forte energia da parte dei movimenti. Perché è vero che i movimenti rispetto alla Tobin Tax hanno aperto il fronte. Tra l'altro, sottolineava Lovera nel suo intervento d'apertura, facendo una cosa non facilmente ripetibile. Ovvero, il fatto che la prima vera battaglia di movimento con con­notazioni di massa - la Tobin Tax, appunto - sia stata su un tema complessissimo come la finanzia­rizzazione dell'economia e su una dimensione europea. Oggi le lotte che emergono sono quelle che hanno un territorio preciso e che su quello evocano un interesse generale. Allora, abbiamo aperto una vertenza in parte percepibile come "astratta", eppure siamo riusciti a raccogliere 180mila firme su un tema che non era di immediata sensibilità delle persone. E questo è un dato importante, che tuttavia procura inevitabili difficoltà nella seconda fase. Perché esaurita quella stagione di pro­tagonismo sociale, è chiaro come, all'avvio dell'iter parlamentare, corrisponda un rallentamento delle capacità di attenzione quotidiana, di mobilitazione, di messa in campo delle energie necessa-rie a scuotere l'albero di cui parliamo. Io credo che "un di più" adesso debba essere ricercato su que­sto. Perché oggi noi ci troviamo di fronte ad una coalizione di governo diversa dalla precedente. Una coalizione con culture al suo interno differenti tra loro, rispetto alle quali è necessario aprire nuove contraddizioni, e farlo a partire dall'iniziativa autonoma dei movimenti. Il recente "inciden­te" politico sul DDL Bersani, in seguito al quale è stata tolta l'aliquota unica sulle rendite finanzia­rie, non credo sia un bel segnale. Al contrario. Credo che su questo la compagine, variegata e dia­lettica, fatta di movimenti, sindacati, associazioni, pezzi di forze politiche, parti di istituzioni che pensano ad una democrazia possibile solo a patto che il primato della politica possa essere riaffer­mato, debbano far sentire alta la loro voce. La voce dei movimenti, ma anche quella dei diversi sog­getti che hanno quanto meno contribuito in questo paese a portare la discussione al punto a cui siamo arrivati. C'è un'oggettiva difficoltà su questo punto. Oggi è difficile chiamare i movimenti a mobilitarsi su una questione che continua ad apparire in qualche modo "astratta". Per questo occor­re una nuova stagione di educazione popolare orientata all'azione. Perché diventi chiaro ai più che quello che qui stiamo dibattendo , altro non è se non la sostanza della democrazia. Permettetemi di chiudere con un ultimo accenno ad una questione oggi non toccata, ma decisamente centrale. Riguarda l'Europa e le sue politiche monetarie. Io credo - e chiudo- che se non mettiamo in agen­da la ridiscussione dei parametri di Maastricht e l'assurdo principio dell'indipendenza della Banca Centrale Europea, non potremo discutere di politiche fiscali, né di welfare e di servizi pubblici. Non potremo, cioè, rifondare il contratto sociale che tiene assieme le persone e le comunità, ovvero la cartina di tornasole che delinea l'esistenza di una democrazia o di una dittatura dei mercati finan­ziari, nodo che dovrà essere ripreso a più livelli.
Andrea Di Stefano
Visto che giustamente Marco Bersani sottolineava l'importanza di arrivare a un voto per la propo­sta di legge d'iniziativa popolare per una legge "tipo Tobin", chiederemmo all'onorevole Francesco Tolotti, motore della discussione con Alfiero Grandi, a quel punto si trova l'iter, se il provvedimen­to può considerarsi calendarizzato, e che cosa dobbiamo aspettarci dal dibattito parlamentare?
Francesco Tolotti
intanto vi ringrazio di questo invito. C'è una novità positiva rispetto al quadro conosciuto fino alla vigilia di questo convegno. Fino a qualche giorno fa noi eravamo nella posizione che il progetto di legge, che è identico nella versione presentata da me alla Camera e da Giorgio Benvenuto al Senato, era assegnato in entrambe le camere alle commissioni di pertinenza ma non era stato ancora, dicia­mo, calendarizzato, o come si dice in gergo tecnico incardinato. Nell'ultimo ufficio di presidenza di commissione finanze che abbiamo avuto questa settimana abbiamo deciso per la calendarizzazione e quindi per l'incardinamento della proposta di legge subi­to dopo Pasqua.
Non abbiamo ancora la data precisa ma la decisione è stata assunta e quindi l'iter parlamentale può considerarsi avviato. Non ho molto da aggiungere alle considerazioni che sono venute fin qui; mi pare che siamo in una situazione certamente difficile, ma che offre delle opportunità. Ho ascoltato con attenzione le osservazioni fatte da Brancaccio.
Ritengo opportuno il richiamo da lui fatto in relazione alla mancanza nel testo di legge di una quan­tificazione, sia pur minima, dell'imposta. In realtà noi diciamo che l'imposta è introdotta inizial­mente a valore zero; in caso di adesione di almeno sei paesi membri UE si passa allo 0,1. Però è vero che la scelta è stata quella di riproporre il testo unificato a cui si era pervenuti nella scorsa legislatura,per-ché si tratta di un testo che incorpora comunque la proposta d'iniziativa di legge popolare, ricono­scendone i criteri costitutivi e gli elementi fondamentali e poi perché, come diceva giustamente Alfonso Gianni, fa tesoro di una serie di contributi che erano venuti dalle audizioni. Audizioni che si tennero ad un livello francamente ottimo dal punto di vista della qualità, non solo politica ma anche scientifica, degli auditi. Condivido la valutazione che debba essere tenuto aperto un approccio multilaterale a questa que­stione. Questa è certamente una questione parlamentare, ma non può ridursi ad essere solo una questione parlamentare. Non vedo assolutamente alcuna dicotomia o contraddizione tra ruolo dei movimenti, sindacati etc. ed ambito istituzionale; penso anzi che anche il percorso parlamentare potrà essere più facile se sarà sostenuto da un livello di attenzione adeguato nel Paese e quindi questa dialettica deve a mio parere continuare. Un' unica precisazione vorrei fare in coda, anche in relazione ad alcune considerazioni che ho sentito negli ultimi interventi circa i diversi approcci culturali che sono pre­senti all'interno della coalizione di governo.
Di solito, si dice con uno stereotipo che la diversità degli approcci culturali è ricchezza, ma la ric­chezza poi alla prova dei fatti si traduce anche in una qualche difficoltà. Questo certamente, non va negato, ha riguardato anche alcuni passaggi che sono stati citati. Vorrei però precisare che in tema di rendite finanziarie e di armonizzazione delle aliquote non è, non siamo al punto per cui quella questione è stata accantonata per non essere ripresa. Siamo ad un livello di equilibrio e di media­zione che al momento ha consigliato non l'abbandono, ma un approfondimento sul tema della armonizzazione delle aliquote perché alcuni problemi riguardano non soltanto i grandi attori finan­ziari ma anche i piccoli risparmiatori, le famiglie a basso reddito, pensionati etc. Tra gli impegni che l'Unione aveva assunto in campagna elettorale c'era anche quello di non intervenire variando le regole del gioco per quanto riguarda l'imposizione sui titoli di stato che, come è noto, sono, sia pure in quota minoritaria, detenuti da famiglie e pensionati. Credo che su questo punto ritorneremo; ma io le diversità culturali le ricondurrei dentro un deno­minatore comune che ci riguarda come coalizione che è quello che veniva evocato anche nell'inter­vento di Marco Bersani, nel quale mi riconosco.
Chi mi conosce sa che non sono esattamente un esponente della sinistra radicale e però sono il primo firmatario di questa proposta di legge perché ci credo e perché sono convinto che, se non almeno un primato della politica sull'economia, debba essere ricostituito un ruolo della politica e la politica non possa rassegnarsi a descrivere i cambiamenti delle trasformazioni economiche ma debba coltivare l'ambizione di orientare e dare prospettive al paese.
Andrea Di Stefano
Alla Viceministra agli Affari Esteri, Patrizia Sentinelli, volevamo riproporre alcune delle molte domande formulate dai nostri relatori, che proviamo a sintetizzare. Sony Kapoor voleva conoscere l'interesse dell'Italia a partecipare, anche come capofila, al gruppo dei Paesi che lavorano sui mec­canismi di finanziamento innovativi. John Evans ci ricordava la presidenza italiana del G8 nel 2009 cogliendovi una possibile occasione per portare il tema del controllo e della regolazione dei movi­menti finanziari all'interno dell'agenda. C'è anche chi, come l'onorevole Benvenuto, ha sollevato il ruolo del nostro Paese sul medesimo tema, come membro temporaneo in Consiglio di Sicurezza, per porre anche in quella sede, così come avvenuto per la proposta di moratoria sulla pena di morte, il tema del controllo dei mercati delle transazioni e avviare un dibattito. Come possiamo sostenere le curiosità dei nostri relatori?
Patrizia Sentinelli
Proverò a dare delle indicazioni sui temi che sono stati sollecitati, ovviamente non tutti di mia esclu­siva competenza. Sulla prima questione, relativa all'ultima riunione svolta ad Oslo dal gruppo sulle tasse di solidarietà come fonti innovative di finanziamento per lo sviluppo, la risposta è indubbia­mente sì. L'Italia è interessata al lavoro che il Gruppo sta facendo a livello internazionale. Pertanto, dall'avvio dell'azione di Governo abbiamo compiuto dei passi formali. E' un tema sul quale, tra l'altro, appena ricevuta questa delega alla cooperazione internazionale, ero stata anche sollecitata da alcune espressioni del movimento. Al primo appuntamento del gruppo internazionale che si èsvolto a Brasilia abbiamo partecipato come osservatori, mentre oggi l'Italia ha aderito formalmen-te, caricandoci di un compito importante da svolgere di studio e di istruttoria, e poi di proposta anche, ma non solo, sul tema della tassazione delle transazioni valutarie come fonte di finanziamen­to per lo sviluppo. Per quanto riguarda la seconda domanda, sono assolutamente d'accordo con le considerazioni fatte sul ruolo che la politica deve saper giocare sui temi della regolazione e della trasparenza dei mer­cati finanziari internazionali, ricordato anche da Marco Bersani. Anche su altri temi abbiamo riba­dito come la politica debba tornare a svolgere il ruolo di regista dei fenomeni, come accaduto sul tema dell'acqua, durante una circostanza molto particolare quella dell'assemblea degli eletti e dei cittadini sull'acqua svolta di recente a Bruxelles. La politica non solo non può essere auto-referen-ziale ma deve guardare attentamente ai grandi temi della internazionalizzazione e delle dinamiche dettate dalle istituzioni finanziarie internazionali, e su questa strada non può procedere senza rimet­tere in moto i processi sociali.
Quindi il G8, tema che mi piacerebbe ridiscutere nel Governo, e anche con molti altri con cui ero a Genova nel 2001. L'aver partecipato l'altro ieri alla preparazione del prossimo vertice del G8 nella sessione relativa allo sviluppo, in particolare sui temi dell'Africa, certamente mi pone degli inter­rogativi. Sarebbe positivo discuterne ulteriormente con voi ed altri per prepararci a svolgere un ruolo positivo anche all'interno di quei meccanismi. In particolare le problematiche legate alle tran­sazioni valutarie potrebbero essere un tema da agire e sul quale confesso di non essermi ancora mossa. All'interno della medesima sessione sviluppo del G8 mi sono espressa, invece, con delle cri­tiche aperte sul tema dei mutamenti climatici, che rischia - anche se positivamente accolto e propo­sto dalla presidenza tedesca del G8 e dell'Unione europea - di essere una trappola. Se è vero che è necessaria la discussione sulla capacità di adattamento dei Paesi più deboli e più a rischio è altret­tanto indispensabile che si realizzino dei passi in avanti anche sui punti capaci di incidere concre­tamente sul fenomeno dei mutamenti climatici: efficienza e risparmio energetico, che dovrebbero essere prioritari - e mi sono sembrati anche nelle corde della Germania - ma anche sul discorso rela­tivo alle energie rinnovabili, dove le volontà purtroppo non sono altrettanto forti. La discussione nella sua attuale impostazione genera, piuttosto, azioni concrete e veloci - come il caso dei bio-car­buranti - le cui conseguenze negative sui Paesi e sulle economie locali non sono state valutate atten­tamente e concretamente.
Per quanto riguarda il Consiglio di sicurezza richiamato da Giorgio Benvenuto, ciascuno di noi deve fare la sua parte e mi riferisco all'intera e più ampia compagine governativa. In maniera unitaria, ad esempio, ci stiamo muovendo con il Ministero degli esteri perché l'acqua perché venga riconosciuta come diritto umano e bene comune presso le Nazioni Unite ed il Consiglio dei diritti umani. Vorrei chiudere con una osservazione. Io sono qui perché stiamo lavorando con Alfiero Grandi per il buon esito della cosiddetta Tobin tax, quindi per verificare quali contributi ci possono essere e costruire una proposta e uno spazio di manovra reale, anche a livello internazionale. A livello par­lamentare, nella Commissione competente dove il progetto italiano è incardinato, avremo modo di discutere nel dettaglio della legge che è stata presentata e sulla quale ho da muovere alcune osser­vazioni migliorative che andranno opportunamente riprese in una nuova discussione.
Andrea Di Stefano
Sul tavolo oggi sono state messe all'attenzione molti aspetti del rapporto tra finanza, globalizzazio­ne e ricadute sulla vita reale dei Paesi e dei cittadini. Tra i diversi temi, uno in particolare, può sem­brare più distante, ma da tempo ricopre il ruolo di cartina di tornasole del rapporto tra grandi con-centrazioni internazionali e resto del mondo: la questione dei farmaci. All'euro-parlamentare Vittorio Agnoletto che da moltissimi anni si occupa di questo tema, in sedi internazionali, chiedia­mo come si intreccia al tema alla questione più generale e a che punto è il dibattito al Parlamento di Strasburgo sulla tassazione delle transazioni finanziarie
Vittorio Agnoletto
La premessa a questo mio intervento è una doverosa informazione, seppur veloce, su quanto stia­mo cercando di fare al Parlamento europeo sul tema della tassazione delle transazioni valutarie. Il gruppo di lavoro che si era costituito nella scorsa legislatura e che aveva così bene operato, tanto da sfiorare l'approvazione in plenaria, mancata per sei miseri voti, langue. E ciò è un dato di fatto. Non si riesce ad andare oltre le mere dichiarazioni di interesse da parte dei colleghi. Il nostro impegno - mio e di Musacchio nella fattispecie - è quello di cercare di rivitalizzare questo gruppo e, una volta riavviati i percorsi, di arrivare a una nuova risoluzione dell'aula di Strasburgo sulla Tobin Tax europea. Ciò, seppur considerabile dalla Commissione e dal Consiglio come un semplice orientamento, avrebbe una portata politica considerevole. Di questo ne siamo tutti consa­pevoli e quindi siamo tutti chiamati a fare la nostra parte.
Sulla questione "ridistribuzione e controllo", vi risparmio i dettagli ma dico solo che, grazie al coin­volgimento di Libera di Don Ciotti, abbiamo aperto un altro percorso dentro il Parlamento europeo. Quello sul controllo dei capitali illegali e sulle transazioni finanziarie illegali. L'obiettivo è quello di giungere a una direttiva comunitarie in grado di ricalcare una normativa italiana che, una volta tanto, è all'avanguardia.
Venendo invece al punto centrale che mi è stato posto, lo dico con il cuore in mano ai qui presenti, a Gianni, a Grandi, a tutti. Sono tra quelli che apprezzano moltissimo il lavoro che voi fate. Il pro­blema è che poi agli incontri delle istituzioni internazionali non ci vanno quei 102-103 che com­pongono la squadra di governo e quindi il tutto assume una direzione diversa. Sarà forse il frutto di una crescita di sviluppo critico rispetto alla mia educazione cattolica, però ho sempre pensato che prima degli aiuti, della carità, ecc, occorra implementare un meccanismo di giu­stizia. Impegnarsi sulla Tobin Tax va bene, ma se poi in sede europea non riusciamo a vincere su altre questioni, tutto diventa vano sul sentiero di "un altro mondo possibile", per citare uno slogan un po' inflazionato ma sempre valido. E ne cito tre delle più significative. La prima è intrinsecamente legata all'Africa, di cui si parlava pocanzi. Mi riferisco agli Epa, gli accordi di partenariato economico, che l'Unione Europea sta negoziando con gli Stati Acp (Africa, Caraibi e Pacifico). Firma prevista per il 31 dicembre 2007. Tutti qui conosciamo l'impatto che que­sti accordi iper-liberisti potrebbero avere sulle già fragili economie dei Paesi invia di sviluppo e dei Paesi poveri coinvolti e - in particolare - sulle loro entrate fiscali a seguito dell'azzeramento delle tariffe doganali. Ma ci rendiamo conto allora che, considerando che alcuni Paesi africani traggono fino al 40% del loro Pil da questo genere di redditi, l'entrata in vigore degli Epa annullerebbe in partenza ogni effetto ridistributivo di una ipotetica Tobin Tax europea? Qui rischiamo di vincere finalmente sulla "Tobin" e trovarci un deserto intorno!
Seconda questione, il Doha round del Wto. I negoziati sono bloccati su una questione teoricamente anti-storica: i sussidi agli agricoltori di Europa e Stati Uniti, ormai da decenni dichiarate economie ter­ziarie, della conoscenza, dei servizi. L'ipocrisia e il cinismo del commissario Mandelson arriva addi­rittura a rimettere in discussione l'unico risultato buono della conferenza ministeriale di Hong Kong del 2005.I tagli promessi per il 2013 sono infatti ritornati in soffitta in attesa di un accordo comples­sivo. A pagare non saranno ovviamente i Paesi ricchi ma le centinaia di milioni di contadini del Sud del mondo che da altrettanti decenni vengono soffocati dalle politiche di dumping esercitate dal Nord. La terza questione mi tocca sul vivo, vista la mia quasi ventennale militanza come attivista per i diritti delle persone sieropositive: l'accesso ai farmaci essenziali e gli accordi internazionali sui bre­vetti farmaceutici!
Chiedere al governo Prodi di rispettare gli impegni di finanziamento del Fondo globale per la lotta contro l'Aids, la tubercolosi e la malaria, seppur sacrosanto e doveroso, rischia di farci perdere di vista l'iniquità e l'ingiustizia del sistema previsto dal Wto. Un sistema che regala alle multinazio­nali farmaceutiche un monopolio di vent'anni (durata minima di un brevetto) è immorale. Sono infatti loro stesse (le grandi aziende farmaceutiche, intendo) a dichiarare ai quattro eventi, per attirare nuovi azionisti, di rientrare in soli sei mesi dei presunti investimenti milionari in ricerca e sviluppo. Un fatto immorale tanto quanto il comportamento del Ministero del Commercio america­no che scheda gli Stati partner non allineati sulla protezione della proprietà intellettuale e poi li minaccia di ritorsioni commerciali. Immorale quanto la Commissione europea che in sede Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ostacola una risoluzione presentata da Brasile e Kenia per un nuovo sistema di ricerca farmaceutica sulle malattie dimenticate del Sud del mondo, ispirato più ai bisogni dei pazienti che non ai rendimenti di borsa.
Ciò che voglio dire è che il percorso che abbiamo davanti sulla Tobin Tax o si inserisce in un qua­dro di inversione di marcia delle politiche estere europee o perde di qualsiasi significato. Ovviamente ne siamo tutti consapevoli a questo tavolo. Ma è bene ribadirlo. Una Tobin Tax euro­pea, con tutti i limiti che sono stati oggi illustrati, è qualcosa che può intervenire a un livello strut­turale, proponendo, non dico la rivincita, ma quantomeno una piccola rimonta della politica rispet­to alla autonomizzazione della finanza.
Quanto questo concretamente possa intervenire sugli Obiettivi del millennio non saprei proprio. Non sono molto ottimista, però. Mi sembrano discorsi da tenere distinti perché in termini di tempi e di quantità le differenze di impatto sono tali che è difficile pensare a una convergenza virtuosa. La riflessione strategica che invece mi sento di condividere con voi è quella che riguarda il dibatti­to su questi temi dentro la compagine di governo e dentro il centro-sinistra. Aprire lì dentro il con­flitto, far emergere pubblicamente le divergenze di opinioni sulle politiche di commercio estero e diritti fondamentali, sulla finanza transnazionale e la precarizzazione del lavoro, significherebbe arrivare al grande pubblico e rafforzare quella battaglia culturale di cui ci sentiamo protagonisti. Lo so che non è semplice ma dobbiamo almeno provarci.
 
 
Claudio Jampaglia
grazie all'Euro parlamentare Vittorio Agnoletto ed io mi devo scusare però, non conosco di perso­na perché appunto non abbiamo fatto pausa e siamo stati scaraventati, non conosco Simona Ricci che era prevista tra i relatori. Che era molto interessante perché era un dirigente dell'ABI per cui ci interessava particolarmente chiederle un paio di cose. Va bene è andata via, perfetto. Allora per dovere sempre di alternanza di genere noi chiederemmo a Rosa Pavanelli che interviene per la fun­zione pubblica CGIL. Siccome ci sono una serie anche qui di proposte, non soltanto abbiamo sen­tito da Jhon Evans stamani ci ha offerto una ricostruzione del percorso del dibattito interno ai sin­dacati europei sul tema della tassazione finanziari. Ne conosciamo la presa di coscienza, ma anche la lentezza nell'affrontare la questione, non essendo al cuore delle molte trasformazioni in corso nel mondo del lavoro. Per questo a Rosa Pavanelli, che interviene per la funzione pubblica della CGIL, vorremmo chiedere cosa è maturato nel dibattito sulla Tobin Tax in Italia tra i sindacati e poi vor­remmo lanciarle una provocazione. Cosa pensa della proposta, anche qui rilanciata da alcuni poli­tici, di conferire ai segretari confederali la presidenza di un rinnovato comitato "Tobin" e un man­dato a tenere alta la bandiera della sfida per ottenere una tassa nel nostro Paese? La funzione pub­blica della CGIL ha fatto passi molto più netti in materia, ma vale anche per CGIL-CISL-UIL in generale?
Rosa Pavanelli:
La risposta è complicata e, rappresentando io una delle categorie che fin dall'inizio è stata coinvol­ta nella costruzione della proposta della Tobin Tax, posso dare risposte relativamente alla nostra esperienza e fare alcune considerazioni di carattere generale. Ora, sul fatto che si dovesse andare verso l'adozione di un provvedimento con una tassa alla Tobin, a partire dalle iniziative nel nostro paese, la CGIL è impegnata da tempo: fu nel congresso del 2002 che la CGIL assunse questa deci­sione approvando una propria risoluzione, e mantenendo l'impegno con la partecipazione diretta e propositiva a questo movimento, contribuendo in tutte le fasi di sensibilizzazione e di costruzione della proposta in compagnia, anche se non ovunque, della CISL. Tuttavia, è onesto dire che quel­l'esperienza non realizzò, nel sindacato, un movimento vastamente unitario o, in maniera consoli­data, la condivisione unitaria del percorso. Credo però che vi sia un livello di discussione e di maturità del movimento sindacale Italiano che
permette di riprendere l'iniziativa su questo tema. Infatti, c'è una lettura comune dei processi di globalizzazione e degli effetti che essi producono sul lavoro e sulle economie locali;
c'è un lavoro cospicuo e significativo che CGIL, CISL e UIL hanno fatto in questi mesi per emendare i docu­menti preparatori del congresso prossimo della Confederazione Europea dei Sindacati sui temi della pace e dello sviluppo e sul ruolo che l'Unione Europea può esercitare. La ripresa a livello unitario di un confronto sull'adozione di una legge alla Tobin in Italia, perciò, può essere un elemento che aiuta a far avanzare la discussione sindacale anche a livello europeo, ma può servire anche a rinno­vare un adeguato grado di attenzione dei livelli sociali, dei movimenti, a partire dal movimento dei
lavoratori, quale componente importante della nostra società, attorno ad un obiettivo qualificante come quello di una rapida approvazione di una proposta di legge per l'introduzione di una tassa sulle transazioni valutarie. Non occorre che mi dilunghi nell'argomentare perché il sindacato non può che essere favorevole a questa legge, ma vi sono almeno due ragioni di fondo che voglio esplicitare. La prima: vi è un debito, morale oltre che materiale, che i paesi industrializzati hanno contratto con quelli in via di sviluppo e l'avvio di una politica di "restituzione" risponderebbe all'esigenza di sanare, o almeno temperare, l'enorme ingiustizia che la globalizzazione dei mercati ha prodotto e che non intende riconoscere, mentre noi sappiamo essere all'origine di tante altre tragedie del nostro tempo, guerre e terrorismo compresi. E quando dico "politica di restituzione" penso non già ad azio­ni risarcitorie, ma ad un ruolo dei governi, degli organismi internazionali, della cooperazione, capa­ce di indirizzare lo sviluppo verso una nuova qualità ambientale e sociale. La seconda: l'adozione di una legge sulla tassazione delle transazioni finanziarie rappresenterebbe i1 rovesciamento del paradigma liberista, la riaffermazione del primato della politica sull'economia
di cui si avverte tutta l'urgenza, certamente in Italia, ma ancora di più a livello internazionale in
ragione della dimensione globale dei processi indotti dalla finanziarizzazione dell'economia. Sono soddisfatta della comunicazione che Tolotti ci ha fatto questa mattina, informandoci che il provvedimento è incardinato in commissione e che quindi presto si avrà anche un calendario dei lavori della Camera su questo tema.
Penso però che per dar corpo e sostegno alla celere approvazione della legge in parlamento, ed anche per poter aver un interlocuzione con il parlamento, con la commissione che ci permetta di portare avanti questi lavori, è utile riprendere l'idea che Benvenuto ha avanzato, per altro anticipan­dola nel forum pubblicato nei Quaderni di "Quale Stato" distribuito stamattina, di rilanciare quello che fu il comitato per la Tobin Tax. Aggiornato, rivisto, con le finalità che assieme decideremo di dargli per sostenere la fase nuova, ma, a mio avviso, con il compito di sollecitare e accompagnare i lavori parlamentari, da un canto, e dall'altro operare anche per tornare a sviluppare la discussione nella società, tra i lavoratori, con i movimenti etc. Per ridestare quell'attenzione che negli ultimi anni è andata scemando su questo argomento.
Inoltre, questo comitato potrebbe anche proporsi il compito di stabilire un rapporto, e possibilmen­te una alleanza, con i parlamentari europei per stabilire qual'è il giusto collegamento tra l'iniziati­va legislativa nazionale e le proposte che i parlamentari europei dell'Unione possono far marciare a livello europeo.
In questo contesto mi sembra buona l'idea di affidare la presidenza onoraria del Comitato ai segre-tari generali delle confederazioni sindacali. Si tratterebbe di un atto simbolico altamente significa­tivo perché consegnerebbe la rappresentanza visiva della nostra campagna al movimento sindacale, al soggetto che rappresenta il mondo del lavoro, che rappresenta la parte, permettetemi di dirlo così, ancora più sana della società, quella del lavoro produttivo che intende contrastare i guasti prodotti dall'arricchimento improduttivo determinato dalle transazioni finanziarie speculative. Io credo, però, che la coerenza necessaria a sostenere i lavori del parlamento sul disegno di legge, le osser­vazioni e le valutazioni, le iniziative che il Comitato riterrà di proporre saranno credibili solo se ci sarà analoga coerenza nell'azione della maggioranza di Governo in materia di tassazione, come altri interventi questa mattina hanno richiamato.
In questi giorni abbiamo letto che il Governo ha deciso di abbandonare la proposta di una tassazio­ne al 20% delle rendite: non è un bel segnale ed io penso che sia poco credibile una iniziativa par­lamentare per l'introduzione di una tassazione sulle transazioni valutarie se continuerà, all'interno della maggioranza e all'interno del governo, il dibattito su quanto ed a chi taglieremo le tasse nel prossimo anno. Io penso che questo sia un elemento di grande incoerenza, di scarsa chiarezza poli­tica, perché proporre un diverso modello di consumi, un diverso modello di sviluppo, un diverso modello di produzione che diventi eco-compatibile, che sia anche veicolo per omogeneizzare ed armonizzare le grandi differenze prodotte dalla globalizzazione mercatista significa anche dire che non è oggi possibile pensare ad una diminuzione dell' imposizione, pena una riduzione della difesa dei beni comuni, del sistema di welfare di cui ancora, stentatamente, si riesce a beneficiare. Tanto più in Italia, dove la vera anomalia del sistema fiscale continua ad essere un livello inaccettabile dell'evasione fiscale.
Vorrei fare un'osservazione sulle questioni europee ad integrazione delle cose che stamattina ho sentito e che ritengo condivisibili. Io penso necessario che il movimento sindacale si impegni per sostenere la proposta di una legge alla Tobin nelle sedi sindacali europee e per richiedere un forte impegno da parte della CES e delle sue federazioni di categoria in questa direzione. Credo necessario che l'argomento venga ripreso anche a livello del parlamento europeo e del con­siglio dei ministri europei con l' attenzione, e la preoccupazione, che la semplice adozione di un provvedimento della UE può non essere sufficiente. Nei prossimi mesi riprenderà la discussione sul Trattato Costituzionale Europeo, assieme io credo necessario riprendere anche il dibattito sul ruolo che il Trattato, la costituzione europea, riconosce alla Banca Centrale Europea. Perché se il com­pito della Banca Centrale Europea, così com' è oggi stabilito nel trattato, è quello della difesa della moneta neppure un provvedimento del parlamento, che dovesse sostenere una tassa sulle transazio­ni valutarie, potrebbe essere accettato dalla Corte di Giustizia perché richiederebbe una modifica dei trattati costituzionali, non essendo compreso fra i compiti della banca centrale quello di soste­nere interventi di redistribuzione della ricchezza a favore di Paesi terzi, né la limitazione delle liber­tà economiche.
Infine un' ultima riflessione. Non so se sono dell'area minimalista, conflittualista, compatibilista, io credo però, si debba essere realisti: sono passati tanti anni dalla proposta di Tobin , tanti eventi che hanno cambiato il mondo sono accaduti da quando lanciò questa ipotesi. Oggi occorre ragiona­re di che cosa è possibile fare, di che cosa è possibile fare in tempi brevi, per frenare l'accelerazio­ne che il liberismo imprime al degrado economico, sociale nei paesi in via di sviluppo e, più in generale, al degrado ecologico del pianeta. Io credo che, pur senza rinunciare allo spirito e alla fina­lità sulla quale si fondava l'idea della Tobin Tax, l'allarme oggi annunciato sulla catastrofe ecolo­gica ,sul riscaldamento del pianeta, sulla desertificazione, etc., possa essere uno degli elementi sui quali agiamo pensando alla destinazione di queste possibili risorse, per suscitare ulteriori consensi e scuotere nuove simpatie, per ampliare le alleanza in vista di questa nuova fase. Non mi pare che l'idea di destinare parte delle risorse alla salvaguardia del pianeta possa contrasta­re con le finalità originarie della Tobin tax, perché se l'obiettivo è quello di utilizzare il gettito della tassazione delle transazioni valutarie per combattere la povertà, investire su un modello di svilup­po eco-sostenibile, eco-compatibile, che contrasti, ad esempio, la siccità e la desertificazione, che si preoccupi di garantire il libero accesso all'acqua per ogni persona, significa anche rimuovere una delle cause primarie della povertà.
 
 
Andrea Di Stefano
L'ultima parte dell'intervento di Rosa Pavanelli è un assist perfetto per Roberto Musacchio, parla­mentale europeo, capogruppo del raggruppamento Prc-Se a Strasburgo, per collegare il tema cen­trale del convegno con quello dei beni comuni, della pubblicizzazione dell'acqua e dei servizi
Roberto Musacchio
Grazie. L'intervento di Rosa Ravanelli mi è utilissimo per dire che siamo dentro ad una specie di paradosso, nel senso che in Europa la situazione in questa fase è tale per cui si tenta di rilanciare il processo costituente europeo senza risolvere le contraddizioni a causa delle quali questo processo si è arenato. Io sono per procedere in forma innovativa, cioè muovendosi dalla soggettività di quan­ti stanno cercando di costruire una nuova costituzione europea piuttosto che da formule funzionali-stiche. In primo luogo non mi convince la formula che si sta determinando in queste settimane di un rilancio tutto intorno alla pratica inter-governativa. Colgo l'occasione per dire che, anche rispet­to all'oggetto del nostro incontro qui oggi, siamo di fronte al massimo del paradosso: si tenta di con­centrare il potere sui Governi quasi come antidoto ai problemi della politica, mentre uno dei temi fondamentali del potere dei Governi, cioè il controllo della moneta, viene del tutto demandato a strutture che non c'entrano nulla con i Governi stessi. Forse è proprio lì il paradosso in cui siamo, un paradosso che riguarda l'assetto democratico. Io penso che noi dobbiamo cercare altre vie. Guardando alle origini delle contraddizioni esistenti. Ad esempio, noi chiediamo di fare la direttiva quadro sui servizi sociali e rischiamo di essere impediti da un testo dei trattati, compreso il testo costituzionale così come era, che è tutto orientato verso la costituzionalizzazione del commercio! O ancora. In materia di lavoro, proviamo a dire che invece della flexicurity bisogna costruire condi­zioni di lavoro normale, stabile, contrattualizzato e sindacalizzato (impegno sottoscritto nel Programma dell'Unione) e tuttavia nello stesso testo costituzionale troviamo affermato non il dirit­to al lavoro ma il diritto a lavorare e quindi a opzioni individuali anche in deroga agli accordi col­lettivi.
E allora sull'insieme di queste questioni io penserei che dobbiamo ripartire direttamente dai sogget­ti. Ivi compreso il tema dell'economia reale versus monetarismo, versus finanziarizzazione, cercan­do però di vederne le potenzialità di movimento. L'unica questione che mi permetto di sottolineare al mio amico Alfonso Gianni, che mentre su altri terreni il movimento reale si vede su questo ter­reno, purtroppo, il movimento reale non si vede. Quindi il tema che noi abbiamo è come questa que­stione, che è sicuramente fondamentale perché riguarda il paradigma in cui ci muoviamo, si incro­cia, diciamo così, con i soggetti reali. Questo è il tema. E come accennavo prima, dobbiamo legare questo tema alle lotte che ci sono, che sono fatte dai soggetti che subiscono le conseguenze del monetarismo, che funziona precisamente, come abbiamo detto più volte, come frusta. Sono i sog­getti che stanno facendo la lotta su questo terreno anche a livello europeo. La lotta sulla Bolkestein forse è stata la prima grande lotta costituente europea. Io penso che sulla flexicurity possiamo costruire altrettanto. E che la lotta per la direttiva quadro sui beni comuni continua quella sulla Bolkestein. E credo che ci sono lotte che possiamo pensare ed immaginare sul tema della finanzia­rizzazione. Penso a tutta la lotta sull'acqua. Chi ha in mano adesso l'acqua? In realtà è uno dei ter­reni sul quale la finanziarizzazione si misura, cioè l'idea di fare dell'acqua il nuovo oro blu dove intervengono i grandi capitali finanziari. E penso anche a operazioni che si fanno sul versante che dovrebbe essere politically correct delle economie ambientali che invece a volte va in una direzio­ne opposta. Qui vorrei esplicitare di più di quanto ha fatto Patrizia Sentinelli. Io penso che sia sba­gliata una operazione, se ho ben capito, avallata dallo stesso Governo, di un accordo in Brasile sul bio-diesel, che però non si ferma in Brasile, dove già non sarebbe molto positivo, ma va a incidere sulle risorse dell'Africa e che considero del tutto sbagliato in quella forma. Perché se noi trasfor­miamo anche il bio-diesel in un nuovo cartello, sul modello OPEC, che lo gestisce magari attraver­so le produzioni geneticamente modificate in Africa ed usando l'acqua, già scarsa, per l'irrigazione per fare la benzina per l'occidente, francamente siamo davanti ad una operazione in cui non si può parlare di economia nel rispetto dell'ambiente. Però voglio dire anche una cosa in positivo e con­cludo rapidamente. Su tutta la partita del clima l'Europa sta facendo un salto di qualità vero anche perché gode di una base giuridica appropriata che viene dal Protocollo di Kyoto. Grande accordo multilaterale, che sta facendo anche dei passi in avanti nel doversi porre l'obiettivo di andare oltre il 2012 per il quale sta mettendo al centro questioni fondamentali come il trasferimento tecnologi­co e la cooperazione. E' sulla base di Kyoto che possiamo, ad esempio, decidere che bisogna ridur­re le emissioni del 20%, che bisogna fare risparmio energetico e sviluppare le fonti alternative. Novità di queste ore è che il Parlamento europeo ha votato l'istituzione di una commissione specia­le per l'attuazione di Kyoto. Una commissione parlamentare clima, il cui presidente probabilmente sarà un Italiano e alla quale con grande probabilità parteciperò anch'io. Uno strumento che avrà come compito quello di lavorare con i Parlamenti nazionali, oltre che con il Parlamento europeo, per arrivare alla firma del dopo Kyoto. Su cosa si gioca il dopo Kyoto? Su un tema centrale, quello del trasferimento delle tecnologie. Preso atto che tutto il sistema della compravendita di emissio­ni non ha dato grandi risultati, bisogna passare invece ad un sistema in cui la politica abbia più ruolo nell'orientare il trasferimento tecnologico. A Nairobi si è messa la prima firma per arrivare al dopo 2012 e si è decisa la creazione di un fondo autonomo non più gestito dalla Banca Mondiale ma diret­tamente dalla Conferenza delle Parti. Potrebbe essere una buona idea quella di utilizzare per alimen­tare questo fondo anche la tobin tax.
Andrea Di Stefano
Nel ringraziare il consigliere del Cnel, Giorgio Macciotta , insieme alla dottoressa Santoro che sta-mani ha aperto i lavori, volevamo chiedergli di astrarsi per un attimo, di essere completamente super partes, neutro. Un po' di anni fa discutere di controllo dei capitali, era parlare di cose specia-listiche riservate a un settore ancora più specialistico degli economisti. Una specie di casta di geniet-ti dei numeri e maghi della speculazione che poco sembravano avere a che fare ai più con la politi­ca economica delle decisioni reali che governano identicamente l'economia del lavoro, i mercati di beni di consumo, i tassi di sconto e d'interesse. Oggi è cambiato qualcosa? Questi dibattiti siano ancora per pochi o il tema esiste. E dal punto di vista di una istituzione come il CNEL quali sono gli strumenti di cui ci possiamo dotare per provare a continuare un ragionamento aperto, plurale, trasversale e ovviamente non solo tecnico-economico sul peso della cosiddetta finanziarizzazione dell'economia sulla produzione di scelte pubbliche e private?
Giorgio Macciotta
Vorrei partire proprio da questo. Quando a metà degli anni trenta due consulenti di Roosvelt, quindi non due rivoluzionari sanguinari, scrissero che, se non si ripristinava il predominio della politica, le multinazionali sarebbero diventate "Chiesa e Impero" si trattava di una intuizione che coinvolgeva veramente poche persone. Oggi la globalizzazione che è avvenuta rende più chiaro a tutti come le multinazionali siano divenute "Chiesa e Impero". Se guardiamo al campo delle libe­ralizzazioni possibili, rileviamo una liberalizzazione massima del mercato dei capitali, molti più condizionamenti sul mercato delle merci. Si muovono più facilmente quelle che interessano i paesi del "Primo mondo" e si muovono meno facilmente, con molti ostacoli, quelle che interesserebbero il Terzo e il Quarto mondo: pensiamo solo alla vexata quaestio delle produzioni agricole che è stata qui ricordata, ai premi alle produzioni agricole nei paesi occidentali. Per non parlare ai vincoli al trasferimento delle persone. Pensiamo anche qui alle polemiche sulle migrazioni che si svolgono nel nostro paese. L'Italia dalla liberalizzazione massima del mercato dei capitali ha avuto, inizial­mente qualche danno. Se vogliamo fotografare la situazione in Italia, in termini di peso sul prodot­to interno lordo del costo del debito pubblico a metà degli anni '90 lo Stato pagava l' 11,5% del PIL per remunerare il debito pubblico in essere.
Per questo io sono un sostenitore non pentito dei parametri, rozzissimi, di Maastricht, perché ci hanno consentito di mettere in piedi un processo che, pur nell'impossibilità di arrivare subito ad una politica economica comune in Europa, ci hanno comunque fatto superare la principale anomalia Italiana in tema di finanza pubblica: un peso del costo del debito del tutto anomalo (oltre il doppio della media europea). Se alla fine del 2005 il costo del debito riportato al PIL non era più l'11,5% ma era il 4,5% con una riduzione di 7 punti, se il differenziale tra noi e l'Europa non era più di 5,9 punti in rapporto al PIL ma di 1 punto e mezzo, ciò deriva dal fatto che i parametri rozzi di Maastricht e l'essere andati nel primo gruppo dell'euro hanno fornito un qualche contributo. Vorrei dire che, sempre per guardare al versante Italiano in quel 1995 il 90,5% dei pagamenti per interes­si sul mercato interno erano versati a risparmiatori del Centro Nord e solo il 9,5% erano corrisposti nel Mezzogiorno, la sola Lombardia riceveva il 30% dei pagamenti per interessi a carico del bilan­cio dello Stato. L'operazione redistributiva che un inizio di governo della politica di Governo ha comportato non è stato senza significato.
Come si può però restaurare per davvero un governo della politica sull'economia non lasciando campo alle scorrerie delle multinazionali? Da questo punto di vista non vi è dubbio che la Tobin Tax ha quegli obiettivi che sono stati detti dal professor Brancaccio. La Tobin Tax è utile se riesce a diminuire la finanziariazzazione. Io mi domando, però, siccome l'ottimo è sempre nemico del bene, se la versione compatibilista, la versione Robin, non sia utile per far avanzare verso il sommo bene? Io penso che la versione Robin sia indispensabile per una serie di motivi. Il primo perché non c'è dub­bio che sono di fronte a tutti noi gli squilibri drammatici tra il nord ed il sud del mondo. L'Italia fa la sua parte in negativo. Io potrei ricordare che, ormai nella preistoria, quando giovanissimo mi affacciai alle soglie del Parlamento, nel 1976, mi trovai coinvolto, dall'allora responsabile della cooperazione internazionale del PCI Umberto Cardia, sulla questione della copertura della legge per la cooperazio­ne e lo sviluppo che puntava al mitico 0,7% del PIL da trasferire ai paesi del terzo mondo attraverso fondi di cooperazione per lo sviluppo. Siamo arrivati faticosamente a toccare lo 0.4 e poi con il Governo Berlusconi siamo riprecipitati allo 0.15 e adesso ricominciamo faticosamente a salire. Però davanti a tutti noi, grazie al fatto che oggi i mezzi di comunicazione ci consentono di passa­re dalle immagini sui danni per la siccità a quelle sui danni dello Tsunami, c'è, chiaro e drammati­co, quel che succede nel mondo. Occorre allora domandarsi se non abbia un effetto puntare a uno strumento che riduca questi squi­libri mettendo a disposizione risorse che, in funzione Robin, ridistribuiscano le tasse? Io penso che abbia un effetto. Certo tenendo presente, come mi pare bene faccia la proposta di legge che questi strumenti non devono essere sostitutivi, ma devono essere aggiuntivi, come d'altra parte è eviden­te perché una cosa sono le risorse per lo sviluppo, una cosa sono le risorse di contrasto alle pover­tà. Quindi sono due strade sulle quali, come dice il Rapporto che, in sede di Commissione CNEL, ha presentato il Professor Pinzani, è oggi centrata l'attività della Commissione CNEL, come Francesca Santoro ricordava. Io penso però che la versione Robin sia funzionale a mettere in pista uno strumento che poi può anche giocare nella versione non compatibilista ma conflittualista. Ma c'è un altro vantaggio della versione Robin, il vantaggio che proprio avendo attenzione al gettito, ma al gettito possibile con le aliquote possibili, tale versione può permettere anche una praticabilità dello strumento con aliquo­te bassissime, praticabili persino in un solo paese, perché, con aliquote bassissime, la praticabilità in un solo paese è possibile, con aliquote altissime sarebbe ovviamente impraticabile. Infine io vorrei chiudere invitando a non sottovalutare le difficoltà e a considerare che qualsiasi passo avanti è importantissimo. Voglio riferirmi alla difficoltà che esiste a utilizzare risorse in fun­zione globale. Tutti dicono globalizzazione, tutti parlano dell'esigenza che l'Europa imposti politi­che reali per ridurre le differenze, poi guardiamo a cosa succede quando parliamo di finanziaria e bilancio dell'Europa. Il bilancio dell'Europa non riesce a disincagliarsi dalle secche dello 1.08 dei PIL nazionali da utilizzare e non è mai riuscito nel concreto a superare, nella spesa concreta, una dimensione del proprio bilancio corrispondente all'1% dei PIL nazionali. L'1,08 utilizzabile, sem­pre meno dell' 1% del PIL europeo utilizzato. Questo ci deve far capire le difficoltà da superare e per questo io sono - sarò minimalista, riformista e compatibilista - favorevole ad una versione Robin attenuata, che comunque ci consenta di fare passi avanti (però mi fa piacere trovarmi con il mio amico Alfonso Gianni in questa versione riformista minimalista).
 
 
Claudio Jampaglia
Vorrei soltanto tentare di superare questa dicotomia di scuola, che ho adoperato volutamente e deli­beratamente sul piano politico e domando nuovamente se non ci sia margine per un tentativo di sin­tesi. Non ho capito quale sia l'iter operativo della legge, lo chiedo ad Alfiero Grandi e Alfonso Gianni, ma mi domando se sia possibile mettere un po' mano alla premessa di Tolotti, per dare maggiore coerenza all'intervento. Voglio dire una cosa anche riguardo all'esponente della CGIL, che giusta­mente fa riferimento alla Banca Centrale Europea proponendo una visione compatibilista: se noi intervenissimo sulla premessa, ricordandoci del fatto che la BCE dichiara la sua impotenza nei con­fronti della FED e muoviamo la Tobin Tax in quella direzione, forse apriamo un varco anche sulla questione della Costituzione Europa. Io personalmente vorrei capire pure se è meglio stralciare la Parte Terza piuttosto che metterci le mani.
Chiedo ad Alfiero Grandi, che sollecita i movimenti a rimanere attiviti sulla discussione, perchè non prevediamo la creazione di osservatorio che mantenga viva la discussione convolgendo anche esperti internazionali come abbiamo già fatto, credo in modo egregio, negli ultimi tre anni?
Alfiero Grandi
 
Le conclusioni le faccio scherzosamente perché, a quest'ora, anche per invogliare il pranzo mi sem­bra il modo migliore. C'è un chiaro tentativo attraverso la definizione "sinistra radicale" di invo­gliare qualcuno a farsi mettere nel recinto ed io, che pure sono al limite, consiglio di non farsi rin­chiudere, anche perché in genere buttano via la chiave. Per prima cosa, pur comprendendo le cate­gorie che ci aiutano sempre a capire e a interpretare la realtà, eviterei di andare oltre certi livelli di schematizzazione, altrimenti ho paura che non ne usciamo. Altra cosa: ho sentito una battuta di Vittorio Lovera sulle lotterie. Intanto, se il convegno oggi l'abbiamo potuto fare come Governo, perché è promosso dal Governo assieme ad ATTAC, lo dobbiamo ad una lotteria. Siamo sponsoriz­zati da una delle grandi società che, nel nostro Paese, si occupano di gioco ed è grazie a loro che siamo riusciti invitare, per questa iniziativa, degli ospiti graditissimi. Ospiti che, oltre a ringraziare, sono particolarmente contento di conoscere, perché alcuni di loro non li ho potuti "agguantare" durante le audizioni, e me ne dispiaccio perché altrimenti avremmo, già, i loro importanti contribu­ti agli atti. Senza la sponsorizzazione, infine, non potremmo neanche pagarvi il pranzo.
Per le conclusioni sono costretto a partite a contrariis, dicendo che ringrazio Lottomatica, ringrazio il CNEL, ringrazio tutti quelli che ci hanno reso possibile un convegno come quello di oggi, estre­mamente utile, perché anche se il nostro gruppo di lavoro è formato da Governo e soggetti sociali è pur sempre un gruppo di lavoro che non ha un euro e, per poter lavorare, deve andare a cercarsi i finanziamenti. So che qualche collega si era illuso di poter avere, facilmente, sponsorizzazioni di natura istituzionale, ma, alla fine, dovendo fare il convegno, siamo andati dagli unici che sono in grado di aiutarci a realizzare iniziative di questo tipo. Quindi, anche da questo punto di vista, evi­terei eccessi di schematizzazione.
La ripresa del tema Tobin, oggi, la dobbiamo al fatto che nella scorsa legislatura, con un gruppo di persone, parlamentari convinti dell'iniziativa e compagni e compagne che di questa operazione, politica, economica e sociale, è del tutto convinta, ha insistito in questa direzione rendendo possi­bile che dal Governo, pur con tutte le difficoltà e i problemi che ci possono essere, abbiamo ripre­so il filo dell'iniziativa. Quindi, anche se oggi sono stato citato più io, voglio ricordare che Alfonso Gianni è stato un partner importante, come altri, per andare avanti.
Personalmente, quando c'è stato il problema delle deleghe ho fatto un discorso di cui poi mi sono pentito, perché ho detto:"fate quello che volete, ma voglio la Tobin Tax!". Mi hanno dato la Tobin Tax, ma quello che ho pagato è un'enormità perché mi devo occupare di cose di cui mai avrei volu­to occuparmi. Pazienza,
Patrizia Sentinelli, che ha una delega molto più ampia e molto più importante della mia, si può occu­pare dell'altro versante, e questo ha costituito un nucleo di iniziativa del Governo. Fin qui, però, stia­mo ancora alla discussione, alla riflessione. La cosa importante, anche se un po' sottovalutata, è che Francesco Tolotti e Giorgio Benvenuto hanno ripreso il disegno di legge, non tanto per il gusto di riprenderlo, per il gusto di farlo vivere, ma perché è la conclusione unitaria della Commissione nella passata legislatura. Dopodiché, nella vita si può sempre migliorare e, tra l'altro, capita che la situa­zione esterna ci obblighi a volte a fare delle evoluzioni, non è un testo da prendere o lasciare, ci man­cherebbe altro, ma è largamente figlio dell'iniziativa di Attac e del contributo del professor Spahn. Mi permetto, per un istante, di fare una affermazione drastica: perché l'iniziativa di Attac era una proposta di legge Tobin classica, con il contributo di Spahn abbiamo modificato il taglio mettendo la barriera alta nei casi di fluttuazione internazionale particolarmente importante. Il resto è sostanzial­mente quello,con aggiustamenti e modifiche.
Il fatto che il Parlamento abbia avuto i due disegni di legge e che cominci il cammino alla Camera nelle due Commissioni Finanze ed Esteri significa che il progetto di legge ricomincia, ma questa mattina voi avete avuto un'altra cosa di grande valore, ed è la presenza di Giulio Santagata, perché la presenza di alcuni sottosegretari che hanno delega ad affrontare i problemi, per quanto importan­te sia, non stava a significare che c'era, anche, la collegialità del Governo. Che Santagata abbia ricordato che ci sono dieci righe nel Programma de L'Unione, che quel Programma significa trasla­re nell'atteggiamento del Governo quella scelta politica e il fatto che stamattina il ministro Santagata l'abbia affermato, costituisce la conferma che il Governo, nel momento in cui comince­rà l'iter parlamentare avrà un atteggiamento positivo, e potrà, di conseguenza, curare le modifiche e gli aggiustamenti che sono necessari per andare avanti con l'iter. Quindi, la risposta che io do a Emiliano Brancaccio è positiva, non c'è nessun problema a riguardare, sistemare, migliorare, però, bisogna rendersi conto che, a un certo punto, e per questo concordo con Giorgio Macciotta, dobbiamo andare avanti, bisogna arrivare all'approvazione. Perché un conto è la legislatura precedente nella quale il massimo che si poteva ottenere era che Landi Di Chiavenna relatore di AN per la Commissione Esteri anziché dire:"per ragioni puramente tecniche, avendo fatto un buon lavoro, vi consento di far vivere il progetto di legge", riconoscesse che, se non altro che per ragioni di serietà, pur non essendo d'accordo su nulla dicesse:"facciamolo vivere". Ma, questa legislatura è di centro sinistra, e da qual­che parte dobbiamo cercare di arrivare. Credo che dobbiamo puntare all'approvazione della legge. Poiché l'approvazione di una legge come questa in un Paese come il nostro che, pur con i suoi pro­blemi, è pur sempre uno dei paesi fondatori del processo che porta oggi all'Unione a 27, sarebbe straordinario. E sarebbe straordinario che a livello europeo non ci fosse, in particolare dal gruppo italiano dei parlamentari europei e soprattutto da quella galassia Tobin, che l'altra volta non ce l'ha fatta per poco, un'iniziativa in gradi di spingere la Commissione ad andare avanti. Perché qui la situazione curiosa è che ci potremmo trovare, come nell'ultimo libro di Stiglitz, ad avere Davos in cui entrano temi che 10 anni fa mai sarebbero entrati. Naturalmente come entrano? Entrano alla Davos. Mica posso pretendere che da lì venga fuori un orientamento di sinistra radicale! Allora, Porto Alegre può darsi che abbia qualche ottano in meno nel motore, però resta il fatto che c'è un patrimonio di elaborazione, di cultura, eccetera... che dobbiamo portare avanti, perché abbiamo possibilità di governo, appoggio di parlamentari e di movimento, e se lavoriamo bene ripartiamo in Italia, contribuendo a rimettere in moto l'Europa. Io così la leggo. La vedo come un percorso che ha qualche ambizione e, tra l'altro, mi piacerebbe tantissimo poter dire che ha ragione chi ha pro­posto, mi pare che fosse stato Alfonso Gianni, che, magari nell'ottica del ruolo che abbiamo oggi nel mondo e in particolare nel Consiglio di Sicurezza, venisse una spinta ulteriore a porre, un'ini­ziativa di questo tipo, nell'Agenda dell'ONU. Obbiettivo: conoscere e regolare. Quindi, attraverso la tassazione, nelle forme che sono ben note, creare le condizioni per un'operazione di aiuto nelle aree di maggiore povertà. La suggestione va avanti anche se la Tobin non è che abbiamo scoperto il paese liberato. Parlo di Tobin perché, sinceramente, la battuta "granello" a me non è mai piaciuta molto. Sono contro i gra­nelli, sono per guidare, regolare, governare i processi e, anche, nell'esperienza sindacale mi interes­sava l'accordo e non la lotta in sé, per arrivare ai risultati. Ho, però, accettato il simbolo del gra­nello, perché quello che mi interessa è che si facciano passi avanti nel governo dei processi, la glo­balizzazione così com'è non va bene, va regolata, va governata e, in questa direzione, la Tobin è una cosa modesta. Però, indica un percorso: ci parla di sedi, ci parla di regole, ci parla di modo di affron­tare le questioni e, soprattutto, secondo me, è fondamentale. Vi prego di dare un'occhiata a tutta la legislazione anti-terrorismo, perchè queste normative hanno distrutto tabù che sembravano inviola­bili, tipo:"non si può, non ci si riesce". Non è vero nulla. Si può e ci si riesce! Tra l'altro, lo ha ricor­dato prima benissimo il professor Sony Kapoor, non è questo il punto della partita: ci sono le sedi, perché nessuno manderebbe mai miliardi di euro o di dollari senza sapere se arrivano a destinazio­ne, e magari ritorna pure la ricevuta. Quindi, attenzione che per l'eterogeneità dei fini, da un altro versante, arriva la risposta che le cose si possono affrontare e, anche, in modo nuovo. Sarà la nuova Bretton Woods? È un'idea interessante, perché in effetti il mondo ha bisogno, per affrontare le contraddizioni dal sociale, di qualche suggestione grande, e Giorgio Macciotta mi ha riportato alla memoria, che, a volte, tornare a leggere anche valutazioni, fatte in termini strategici in tempi lontani, molto premonitrici, come ad esempio quelle dei due economisti che nel Trenta hanno parlato di chiesa e impero, forse va da noi riscoperta, con l'ottica con cui poi hanno fatto pro­poste, tracciando il percorso che ha portato alle idee keynesiane della Banca Mondiale del Fondo Monetario Internazionale, anche se, naturalmente, non sono mai valide una volta per tutte, come ci fa capire la lettura di Stiglitz, uno che la racconta da dentro.
La proposta di arrivare all'osservatorio la accolgo, la condivido e credo sia una buona idea. Naturalmente, è un progetto che oltre ad essere politico, con la partecipazione di tutte quelle forze che per ora si occupano di questo, e poi pian piano si allargano, ha bisogno oltre che di un budget finanziario, che oggi ancora non c'è, anche di modalità che debbono essere osservate, come a esem­pio il fatto che non può essere soltanto un osservatorio inventato tra di noi, ma deve diventare qualcos'altro, tipo una onlus, una forma associativa in grado di fare richieste, che possono essere accol­te. La presenza di Francesca Santoro mi fa immaginare che l'osservatorio, una volta che ha trovato proprie forme di finanziamento, possa, in qualche modo, entrare a far parte dell'area CNEL, cioè essere riconosciuto dal CNEL, cosa che, dal punto di vista del finanziamento, aiuterebbe molto nel­l'organizzazione di manifestazioni che hanno carattere pubblico. Un altro argomento posto sul tavolo della discussione di questa mattinata è stato l'utilizzo di risorse provenienti dalle lotterie nazionali, ma per fare questo non c'è bisogno di una norma in Finanziaria perché stiamo parlando di somme la cui destinazione ne è svincolata. Diversa è la pro­posta di Giorgio Benvenuto, vale a dire l'utilizzo delle risorse provenienti dall'estrazione del lotto. Una cosa giustissima e già si fa per tante materie, e allora perché non prendere una quota dai pro­venti dei giochi per finanziare, per esempio, le iniziative di cooperazione allo sviluppo? Va benis­simo, sono d'accordo con quest'ultima ipotesi. Patrizia Sentinelli, però, sa che qualora ciò avve­nisse, nel momento in cui redigerà il budget del Ministero degli Esteri, queste risorse non saranno aggiuntive perché da qualsiasi parte arrivino i soldi alla fine il totale non cambierà. Io, invece, sto parlando di una quota molto più limitata, che è libera, perché viene già con una legge dello Stato devoluta ad abbinamenti. Sono quote ridicole rispetto a quelle di cui ha bisogno Patrizia per il suo Ministero, non c'entrano niente, sono il primo piano di un grattacielo di trecento piani. Però sono piccole quote che per grandi operazioni come l'osservatorio possono essere utili e in que­sto caso io dico vale la pena di lavorarci, sono d'accordo con la proposta.
L'ultima questione che voglio affrontare riguarda la tassazione delle rendite con l'aliquota al 20%, a cui ha, già, accennato Francesco Tolotti. Premesso che sono d'accordissimo sul fatto che l'aliquo­ta unica delle rendite e dei profitti al 20% è una scelta politica del Programma de L'Unione e, quin­di, dobbiamo cercare di realizzarla, e dico questo facendo una critica da sinistra rispetto alla propo­sta, perché, naturalmente, io sarei affinché tutti i redditi fossero tassati con l'aliquota normale, a me non interessa il provento del reddito, interessa il modo in cui è tassato. Il 20% è, però, è già un di più rispetto all'attuale livello di tassazione al 12.5% e, quindi, da riformista radicale dico che intan­to lo porto al 20% e faccio un passo avanti e, quindi, non lo voglio mollare. Io sono convinto che noi per realizzare quest'obiettivo dobbiamo pagare anche dei prezzi di media­zione temporale cioè arrivarci con una gradualità, ecco perché a me interessa, intanto, arrivare al 20, e anche se ci arrivo tra qualche anno, non lo butto via. Purtroppo, questa mediazione non siamo riusciti a farla in tempi utili poiché il provvedimento che già doveva essere approvato entro il 31 dicembre stava li e rischiava di ammazzare tutto e, quindi, abbiamo dovuto staccare questa parte del convoglio. Resta da affrontare, ed è compito anche della parte, diciamo, Ministero delle Finanze, avanzare una proposta che sia in grado di convincere e rassicurare Camera, Senato, parlamentari e, soprattutto, gli elettori, che la tassazione delle rendite al 20% riguarderà chi avrà nuovi titoli e, con­temporaneamente, non si viene meno all'impegno preso dalla coalizione tutta, di non aumentare la tassazione a coloro che già possiedono titoli e azioni. Impegno che sta nel programma e che per il momento non riusciamo a realizzare.