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Morti sul lavoro, una strage senza fine
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  04/03/2008  18:13:58, in Lavoro, letto 1915 volte
Morti, morti e ancora morti. E’ una strage senza fine che toglie il respiro, che stringe il cuore. Non è possibile morire di lavoro in questo modo nell’Italia del nuovo millennio. Ci sono episodi emblematici di quanto sta avvenendo. Figli che muoiono nelle stesse condizioni di lavoro in cui sono morti i padri. Lavoratori generosi e solidali che cercano di soccorrere i loro compagni mettendo a rischio la loro stessa vita. Purtroppo, questo slancio di generosità a Molfetta è costata la vita a cinque lavoratori perché la loro preparazione non era adeguata ai rischi cui erano esposti. Bisogna portare rispetto a questa generosità in un periodo in cui si teorizza che i legami sociali si sono liquefatti. Questi lavoratori sentivano profondamente il loro legame di solidarietà e, di più, anche un piccolo imprenditore è morto insieme ai suoi dipendenti. C’è veramente un’Italia che non fa notizia, trascurata dagli organi di informazione, dal sentire comune di quelli che li ispirano. C’è un’Italia che sa essere solidale e generosa e questi legami preziosi si formano anzitutto nel lavoro. Il discorso potrebbe proseguire sulla devastazione nei rapporti sociali, nella qualità del tessuto economico rappresentato dalla precarietà che riguarda milioni e milioni di lavoratori e da quanto questo mette a rischio la vita stessa dei lavoratori. Tuttavia, restiamo al tema: sicurezza per i lavoratori. Ci sono diversi aspetti da affrontare. Il lavoro non deve essere causa di morte. Ormai da molti anni il lavoratore è visto da un lato solo, quello del rendimento, dimenticando che anche questo aspetto dipende largamente dalla competenza professionale, dalla sua valorizzazione nel processo produttivo. Questa riduzione ad unico aspetto, per di più con la spinta alla precarizzazione, è il quadro in cui alcuni settori imprenditoriali spingono più o meno consapevolmente le cose fino all’esito tragico che si ripete drammaticamente. In questi casi viva Guariniello, magistrato che ha giustamente accusato di omicidio chi non ha garantito l’adozione delle misure indispensabili per evitare la morte dei lavoratori e che per di più era stato messo sull’avviso dalla compagnia di assicurazione. In questi casi basta con l’idea che occorre depenalizzare. Al contrario, una morte sul lavoro può essere né più né meno che un omicidio e che come tale va trattato. Si parla tanto di inasprire le pene per alcuni reati, in questi casi si è andati al contrario. I controlli debbono essere fatti con cura e costanza e da un’unica entità. Non si possono negare scoordinamenti tra coloro che hanno responsabilità di controllo. Non si può negare che troppe ASL hanno risparmiato anzitutto sulla prevenzione e sui controlli, questo non deve più accadere. Anche i nuovi ispettori del lavoro sono stati assunti tardi e in modo insufficiente. Ci sono voci su cui si deve e si può cercare di risparmiare. In questa materia non si può. Occorre che le assunzioni vengano fatte nel numero necessario, anche ricorrendo alla mobilità e alla riqualificazione se occorre, e occorre che poi gli ispettori del lavoro possano muoversi con i mezzi necessari e con le collaborazioni indispensabili degli altri organi dello stato. I controlli debbono riguardare tutti gli organi dello stato, non importa qual è il loro compito specifico. I controlli sul lavoro riguardano tutti. Anche il sindacato deve muoversi per ricostruire la rete dei delegati della sicurezza, che debbono essere formati e aiutati a svolgere il loro compito con un pieno sostegno pubblico. Domani il Consiglio dei Ministri varerà i decreti delegati che attuano la legge delega e che ha consegnato l’obiettivo di fare un vero e proprio corpo unico di norme più severe, più incisive. Sicuramente è una riposta importante. Occorre però anche che venga data una risposta forte “alle vedove, agli orfani, ai sopravissuti con menomazioni”. Sembra qualcosa d’antico ma è attualissimo. La compagna con figlio in arrivo di un morto sul lavoro non avrà nulla perché non regolarmente sposata. E’ una vergogna inaccettabile. Le pruderie sono un fatto privato, i sopravvissuti meritano rispetto. Anche le mogli e i figli hanno diritto a compensi che sono del tutto inadeguati, perfino nelle spese per funerali. Inail ricca, con bilancio annuo in attivo per 2 miliardi, e accumulo di 12, non può coesistere con famiglie superstiti non in grado di vivere dignitosamente, di fare studiare i figli, ecc. Non ci possono essere ragioni finanziarie superiori all’etica della responsabilità verso chi sopravvive agli incidenti sul lavoro. Questa situazione deve essere risolta subito. Anche i premi alle imprese che adottano sistemi moderni possono essere utili ma il grosso delle risorse deve andare agli esseri umani, specialmente se debbono fare i conti con tragedie come la morte dei loro cari. Allo stillicidio delle morti occorre contrapporre iniziative forti ed adeguate per cercare di interrompere questa spirale perversa e alleviare le pene di chi sopravvive. Le proposte ci sono, Inail ne ha già avanzate. Ora occorre procedere e in fretta.