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Istat contro Ocse, Governo con Istat contro Ocse
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  14/09/2010  14:18:56, in Economia, letto 41269 volte

- Pubblicato da Dazebao  il  14/0910

- Pubblicato da Paneacqua il  14/09/10

 Sono arrivati nuovi dati sull’economia italiana e il Governo cerca di dimostrare l’indimostrabile e cioè che l’economia italiana va bene. Un episodio simile c’era già stato poche settimane fa sull’andamento del turismo. La Ministra Brambilla a descrivere l’aumento delle presenze e le rappresentanze del settore a lamentare il calo delle presenze e dei clienti.
Ora i Ministri si sbracciano a dire che l’Istat ha ragione, quando l’evidenza dice che la situazione economica dell’Italia è pesante.
La ragione è evidente, se il Governo dovesse ammettere che le cose non vanno bene dovrebbe rivedere la sua politica economica sostanzialmente fondata sul non fare nulla, spendendo il meno possibile. Tremonti si è convertito rapidamente, passando da Colbert al monetarismo e al rigorismo dei conti pubblici voluto dalla BCE.
La prova sta nei fondamentali. La cassa integrazione è ancora altissima, almeno 600.000 lavoratori coinvolti, con il risultato di una perdita di reddito annua di 4 miliardi di euro. Gli occupati non aumentano, anzi un giovane su 3 è disoccupato. I disoccupati ufficiali restano a livelli molto alti, circa 8,5 %, trascurando chi si scoraggia perché non trova lavoro e i cassintegrati senza speranza. Anche questo comporta una riduzione del reddito da lavoro e quindi meno domanda e meno consumi.
La precarietà aumenta, se è vero che il lavoro a chiamata è cresciuto di 100.000 unità.
Meno occupazione e più cattiva occupazione comportano che la domanda interna non è destinata a riprendere, mentre i prezzi interni sono in movimento e c’è il rischio - che il Governo ignora completamente - che alla quasi staganazione si accompagni l’impoverimento dei meno abbienti. In altre parole una sostanziale stagflazione.
Qualche risultato sulle esportazioni c’è, ma con le incognite di una concorrenza accresciuta e di un sistema produttivo che resta debole nella competizione, tanto è vero che il dato reso noto anche dall’Istat è di una produzione industriale in flessione
a luglio.
L’Ocse ragiona più sul futuro del nostro paese e valuta debole la capacità dell’Italia di crescere come stanno facendo, sia pure con difficoltà, altri paesi europei. Anziché negare l’evidenza il Governo dovrebbe preoccuparsi di come sostenere la ripresa, l’occupazione, difendere i redditi più bassi, incoraggiare la domanda interna.
Ma il Governo, come si sa, ha ben altre preoccupazioni. La prima è di sopravvivere e questo lascia il sistema produttivo senza guida e l’economia abbandonata a sé stessa.
I lavoratori rischiano di pagare il prezzo di questa paralisi perché molte imprese cercano di risolvere tutti i loro problemi scaricando le contraddizioni sui lavoratori. Del resto i salalri italiani sono il fanalino di coda dell’Ocse.
In un quadro di certezze e di sforzo positivo del Governo le imprese potrebbero accettare un sistema di relazioni condivisibile con i lavoratori, lasciate a sé stesse sono tentate di risolvere tutto con la linea dura. Anche se questa linea dura alla lunga si ritorcerà sulle stesse imprese che avranno alle spalle un’Italia che assomiglierà più ai paesi in via di sviluppo che a una delle più importanti economie mondiali.
La questione Fiat è emblematica e rischia di fare scuola.
La scelta degli accordi separati, la linea dura sul contratto nazionale, un sistema di relazioni sindacali fondato sulla subalternità del lavoro alle scelte dell’impresa, compresa la compressione di diritti indisponibili, è la conferma che il sistema di relazioni sindacali in Italia potrebbe subire un’involuzione molto grave. Un Governo degno di questo nome dovrebbe cercare di riportare il clima delle relazioni sindacali a livelli accettabili, purtroppo questo è creato da un manipolo di Ministri estremisti e incendiari che aggravano le tensioni, non conoscono l’arte della mediazione, colgono le occasioni dell’inasprimento delle relazioni sindacali per giocare al più uno e prendersi qualche tardiva vendetta personale.
Questo atteggiamento settario ed estremista di esponenti del Governo fa il paio con il nulla nella loro politica economica, tanto è vero che ormai da oltre 4 mesi siamo senza il Ministro per lo sviluppo.
In questo quadro poco allegro ci sono 2 avvenimenti di rilievo.
Il primo è la latente crisi del Governo. Ogni giorno sembra l’ultimo ma non è così. Trascinare questa situazione avrebbe il risultato di fare marcire una situazione che avrebbe bisogno di interventi di rilievo e di un clima costruttivo nelle relazioni sindacali. Scaiola se n’è andato per le ragioni note, tuttavia l’aspetto più grave del suo operato è avere chiuso la rottamazione all’improvviso, quasi come una ripicca, e di non averla sostituita con altri provvedimenti. Nel nulla alla Fiat ha prevalso una linea estremista, in assenza di interventi del Governo per correggere.
Il secondo è la pochezza di un gruppo dirigente di Confindustria che per ragioni di contribuzione arriva alla disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici su pressione della Fiat. I tempi dell’accordo del 93 che prevedeva un intervento di garanzia delle Confederazioni e di Confindustria per evitare l’imbarbarimento delle relazioni sindacali sono veramente lontani. Tanti aspetti di quell’accordo sono improponibili, ma lo spirito di relazioni sindacali costruttive no, quello andrebbe recuperato. Se invece il recente estremismo della Fiat fa scuola anche in Confindustria si sta aprendo una fase difficile e contrastata.
In questa fase i lavoratori metalmeccanici non possono essere lasciati soli. Si possono discutere singole scelte. Si possono anche rivolgere critiche. Ma resta un problema di fondo ed è che la linea degli accordi separati è sbagliata e controproducente, anzitutto per chi la propugna. In fondo sono i concetti espressi anche da Romiti che notoriamente non è amico della fiom, ma sa per esperienza che un clima di guerra aperta nelle relazioni sindacali in una fase difficile come questa non conviene neppure alle imprese che la promuovono.
Alfiero Grandi