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articolo su Rassegna sindacale
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  17/09/2010  11:09:51, in Nucleare, letto 41440 volte

- Pubblicato da Rassegna Sindacale il  16/09/10 

NUCLEARE/DOPO CERNOBBIO

Un’alternativa è possibile

L’Enel preme sul governo perché acceleri la costruzione delle centrali. La previsione di 10.000 nuovi posti di lavoro,nulla di paragonabile al risultato che darebbe investire sulle rinnovabili

Alfiero Grandi

Presidente del Comitatonazionale “Sì alle energierinnovabili, no al nucleare”

Un costoso studio presentato in pompa magna dall’Enel a Cernobbio (in occasione del workshop Ambrosetti, dal 3 al 5 settembre) preme sul governo per accelerare la costruzione in Italia delle centrali nucleari. A queste pressioni il governo si mostra sensibile attraverso le dichiarazioni del sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia. Lo studio purtroppo prosegue l’abitudine di fornire conti fasulli, con l’obiettivo di tenere i costi artificialmente bassi, per tentare di dimostrare la convenienza delle centrali e la conseguente diminuzione delle tariffe elettriche. Premesso che una ricerca Usa ritiene che i costi del solare siano ormai paragonabili a quelli del nucleare e che le notizie che compaiono sul web danno conto di continui aumenti dell’elettricità in Francia, malgrado sia il paese più nucleare del mondo, la realizzazione di una centrale Epr (European pressurized reactor), come quelle che l’esecutivo vorrebbe nel nostro paese, oggi è di almeno 8 miliardi di euro, anziché i 5 sbandierati. Questo maggior costo di costruzione basta da solo ad azzerare la promessa di ridurre le tariffe elettriche del 20 per cento. Se poi ai costi di costruzione si sommano i danni all’ambiente e alla salute (non solo nel caso di incidenti, ma anche per il normale funzionamento), i costi di assicurazione, lo smantellamento delle centrali e lo smaltimento delle scorie radioattive, i costi dell’energia elettrica prodotta con il nucleare diventerebbero addirittura più alti di quelli attuali. Non a caso l’Enel ha più volte chiesto garanzie sulle tariffe per l’energia prodotta per almeno 30 anni, a cui vanno aggiunti i costi per l’Agenzia per la sicurezza nucleare e altri più o meno occulti.

I posti di lavoro.

Ma oltre a quello dei costi, c’è anche il problema dell’occupazione. Con qualche ottimismo lo studio di Cernobbio parla di 10.000 nuovi posti di lavoro, fino a oggi si parlava di meno della metà. Ammettiamo che questi siano veri, nulla di paragonabile al risultato che darebbe l’attuazione di un progetto Cgil-Lega ambiente, la cui realizzazione creerebbe almeno 150.000 posti di lavoro qualificati nel settore del risparmio energetico e delle energie rinnovabili. Per di più, l’investimento pubblico sarebbe modesto. Nel 2009 con 600 milioni d’incentivazione nel solare sono stati fatti investimenti per 4 miliardi di euro. Un investimento nelle energie rinnovabili ha una capacità di mobilitare investimenti privati molto superiori e quindi eserciterebbe una funzione anticiclica formidabile, oltre a invogliare nuove aziende a entrare nel settore. Senza dimenticare che l’uranio è una risorsa destinata a esaurirsi nel corso di qualche decennio, come il petrolio, e che l’Italia dovrebbe importare le tecnologie e il combustibile, rendendo il nostro paese, da un punto di vista energetico, ancora più dipendente dall’estero. Mentre il risparmio energetico e le rinnovabili farebbero diventare l’Italia certamente più autonoma.

Dove costruire.

Il governo, sempre per bocca del sottosegretario Saglia – che, non dimentichiamolo, ha per ministro pro tempore Berlusconi –, ha affermato che a gennaio 2011 le aziende potranno proporre i luoghi in cui collocare le nuove centrali nucleari. Il sottosegretario risponde così alle pressioni della lobby nuclearista, che preme per accelerare le decisioni e di cui l’iniziativa a Cernobbio ha costituito solo una delle tante rappresentazioni. Queste affermazioni sono molto gravi, perché l’Agenzia per la sicurezza nucleare ancora non esiste ed è tale organo che deve stabilire dove per ragioni di sicurezza non è possibile costruire centrali nucleari (tenendo per esempio conto del pericolo di terremoti). Senza Agenzia non esistono le procedure di approvazione delle proposte, né le condizioni da rispettare. A meno che il governo non mediti la follia di adottare una procedura di costruzione delle centrali fondata sul silenzio-assenso. Ma se lo statuto dell’Agenzia non c’è, non ci sono organici, le risorse, né sono stati nominati gli organi, di cosa sta mai parlando il sottosegretario?

Quale sicurezza.

Lo studio presentato a Cernobbio afferma che le centrali nucleari oggi sarebbero assolutamente sicure. Affermazione destituita di fondamento, se perfino le tre agenzie di Francia, Inghilterra e Finlandia (tutti paesi impegnati nel nucleare) hanno messo in discussione la sicurezza degli Epr in costruzione a Okiluoto e a Flamanville. In questo contesto, il governo di casa nostra sta tentando anche una furbata, cercando di coinvolgere Umberto Veronesi come presidente della futura agenzia italiana. Veronesi farebbe bene a sottrarsi, ma anche se dovesse accettare l’incarico non dovrà meravigliarsi se gli verrà chiesto con forza un comportamento rigoroso, tanta trasparenza e il rispetto delle procedure istituzionali. Si sentirebbe chiedere cosa pensa dello studio tedesco che denuncia il raddoppio delle leucemie nei bambini che abitano nei pressi delle centrali nucleari. Si sentirebbe chiedere di rispettare il diritto delle Regioni a esprimere un parere vincolante sulle decisioni di localizzazione degli impianti, mentre il governo tenta di ignorarle. Si sentirebbe chiedere di rispettare il diritto delle popolazioni interessate e degli enti locali a far valere la loro opinione sulle proposte di localizzazione. L’idea del centro-destra di risolvere il dissenso delle popolazioni interessate con la militarizzazione dei siti è un autentico delirio.

Scorie: che fare?

Sulle scorie si stanno facendo molte chiacchiere. La Sogin verrebbe incaricata dal governo di fare quello che avrebbe sempre dovuto fare (e non ha fatto), e cioè smaltire le scorie. Basta ricordare il no secco ricevuto a Scanzano Ionico. Lo smaltimento delle scorie radioattive fino a oggi non è stato risolto, né dagli americani, né dai francesi, che dicono di essere pronti, ma in realtà stanno prudentemente soprassedendo allo stoccaggio nelle loro gallerie scavate nell’argilla. Scorie vuol dire costi enormi di smaltimento e difficoltà fino a ora insormontabili di dislocazione, perché legittimamente nessuno le vuole, perché sono pericolose, in alcuni casi per centinaia di migliaia di anni.

Garanzie politiche.

Dall’ineffabile Saglia apprendiamo che i candidati a costruire le centrali nucleari vorrebbero anche garanzie su un eventuale cambio di orientamento politico, cioè indennizzi per la mancata costruzione delle centrali, se dovessero cambiare le scelte politiche. Una specie di assicurazione pubblica sui rischi, dimenticando che è proprio la lobby nuclearista guidata da Enel ed Edf a volere a ogni costo le nuove centrali nucleari e quindi semmai sono i cittadini italiani che dovrebbero essere indennizzati da questo rischio. Atteggiamenti come questi rivelano che l’opinione pubblica italiana non è convinta e i nuclearisti lo sanno bene. È il solito capitalismo assistito, che parla molto di mercato, ma predilige la protezione pubblica a senso unico: quella a suo favore, sia quando chiede aiuti per costruire, sia quando chiede garanzie in caso di fallimento del progetto. Per questo è importante proseguire con la raccolta delle firme a sostegno della proposta di legge che dice “sì alle energie rinnovabili e no al nucleare”. Per dimostrare che un’alternativa è possibile.


LA CGIL E LA RACCOLTA DI FIRME PER UNA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

Il nostro sostegno alla campagna

Guido Iocca

Abbiamo accolto positivamente il progetto, in quanto vicino alla nostra sensibilità sul tema delle energie rinnovabili”. Antonio Filippi, responsabile energia della Cgil nazionale, spiega i motivi per cui la confederazione di corso d’Italia sostiene e partecipa alla raccolta di firme (necessaria alla presentazione in Parlamento) per la proposta di legge di iniziativa popolare sulle energie rinnovabili, elaborata dal Comitato nazionale “Sì alle energie rinnovabili, no al nucleare” e depositata in Cassazione il 7 giugno scorso (i primi riscontri certi sul contributo Cgil alla campagna parlano di migliaia di firme a oggi raccolte: 500 solo a Roma – nel corso della festa “Piazza bella piazza”, dal 3 al 12 settembre – e 1.100 a Rimini, a partire dal 30 agosto). Una scelta perfettamente in linea con gli orientamenti espressi da anni dal suo gruppo dirigente, quella della Cgil, in prima fila nella battaglia per una vera politica energetica, che rispetti gli obiettivi – indicati dall’Unione europea – del nuovo pacchetto 20-20-20 da raggiungere entro il 2020, ossia: ridurre di almeno il 20 per cento le emissioni di gas serra, abbattere del 20 per cento i consumi energetici e aumentare del 20 per cento il consumo di energia da fonti rinnovabili. “Non ci sono alternative – prosegue Filippi –: se vogliamo che il pianeta e con esso la specie umana sopravviva, occorre agire adesso, ribaltare questa tendenza, abbattere le emissioni inquinanti, investire di più per le tecnologie innovative, sviluppare le energie rinnovabili. Quello dell’Ue è un obiettivo ambizioso e allo stesso tempo obbligato, da perseguire senza incertezze se vogliamo stare dentro il nuovo modello di sviluppo, cogliere le opportunità offerte dalla ricerca scientifica, creare nuovi posti di lavoro nell’ambito della green economy”. Fortemente critica la posizione della Cgil nei confronti della politica adottata in materia dal governo, che vuole un ritorno a una tecnologia vecchia e costosa come il nucleare e che non è in grado di dare una risposta ai problemi della sicurezza. “Riteniamo sbagliato e non veritiero – continua il sindacalista – il programma dell’esecutivo sull’utilizzo del nucleare in Italia, con la promessa di 4-5 nuove centrali in funzione entro il 2020. Innanzitutto, per via dei costi esorbitanti: 30-40 miliardi di euro oggi sono difficilmente reperibili, se non rimettendo una tassatariffa sulle spalle dei cittadini. Ma anche per l’utilizzo di una tecnologia che proviene dalla vecchia generazione e che non ha risolto l’annosa questione delle scorie, che rimarranno radioattive per diversi secoli”. Senza dimenticare che puntare con decisione sull’energia rinnovabile significa far crescere le opportunità di lavoro: come ha dimostrato il recente rapporto di Svimez, nel Mezzogiorno, nonostante la forte crisi economica, la green economy è l’unico settore che cresce, creando occupazione. “Consideriamo gli investimenti sulle rinnovabili – conclude Filippi – come la vera chiave di sviluppo dei territori. I finanziamenti, in parte pubblici e in parte privati, erogati fino a oggi nel Centro-Sud per le energie alternative sono pari a diversi miliardi di euro – soprattutto in Puglia, che vanta il primato nazionale dell’eolico e del fotovoltaico – e hanno creato centinaia di posti di lavoro stabili e fortemente professionalizzati”. •