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Finanza e democrazia,
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  19/07/2012  11:41:00, in Finanza, letto 1588 volte

- Pubblicato da Critica Marxista

Trovare il filo rosso. Questa è una fase politica, economica, sociale, morale confusa, come non si vedeva da tempo. Non è semplice identificare un percorso in grado di comprendere e fronteggiare la crisi e insieme costruire una prospettiva politica e sociale rinnovata.
Dopo una fase di grandi certezze, di sguardi lunghi, ora la situazione è precipitata in un affannoso giorno per giorno, con una prevalenza culturale della destra, in particolare in campo economico e sociale. La lotta di classe c’è. Ne ha parlato bene Gallino nel suo ultimo libro, ma è condotta dalle classi dominanti contro quelle subalterne.
Anche l’informazione svolge un ruolo importante in questa lotta, attraverso una sorta di dipendenza dall’informazione “usa e getta” che si consuma con sempre maggiore rapidità. Ad esempio, alla vigilia della seconda tornata elettorale in Grecia la presentazione fatta dagli organi di informazione delle scelte che erano di fronte agli elettori greci (euro o dracma) è stata omogenea e insieme mortificante, del tipo civiltà o barbarie. Identici argomenti, identica presentazione delle alternative in campo, totale subalternità all’ideologia dominante. Al punto da fingere di dimenticare che Nuova democrazia, presentata come il partito adatto a garantire la permanenza della Grecia nell’Euro, è lo stesso che in precedenza ha truccato i conti pubblici e portato quel paese nel baratro. Dovremmo ricordare sempre questa sorta di contrappasso.
Districarsi nella situazione confusa di oggi non è facile, ma occorre tentare di farlo. In particolare nel nostro paese occorre cercare di farlo prima delle prossime elezioni politiche. Per questo occorre tentare di rendere chiara la posta in gioco delle prossime elezioni. Questo non vuol dire attribuire a quell’appuntamento politico un significato palingenetico. Tuttavia una soluzione politica per un periodo corrispondente ad una legislatura può portare in Italia a derive tali, come dimostra anche l’attuale situazione, che possono spingere il nostro paese in situazioni difficilmente recuperabili.
Purtroppo il confronto tra le forze in campo, sia politiche che sociali, non sempre riesce ad affrontare, la sostanza dei problemi.
Invece la sostanza c’è, eccome. C’è qualcosa di radicale in quanto sta accadendo e questo dovrebbe spingere a fare scelte altrettanto nette per consentire agli elettori di scegliere effettivamente.
Il peso preponderante della finanza
Nell’arco di poco più di 20 anni la finanza internazionale è cresciuta a dismisura fino a diventare almeno 10 volte il Prodotto Interno lordo mondiale. Solo poco più di 2 decenni fa il complesso delle attività finanziarie era inferiore al Pil mondiale. Di questa massa enorme di capitali finanziari che vagano nel mondo in cerca di profitto, la parte rappresentata dalle borse è enormemente più limitata, inferiore al Pil mondiale, quindi meno di un decimo degli oltre 600.000 miliardi che rappresentano la mostruosa mole del capitale finanziario che è in movimento nel mondo. La descrizione che fece Balzac degli speculatori di borsa impallidisce di fronte alle dimensioni raggiunte dai giochi e dalle speculazioni finanziarie nel mondo attuale.
Questo conferma che gran parte dei movimenti finanziari sono estranei ad un qualsiasi rapporto con le attività economiche materiali e immateriali, di qualunque natura. Tuttavia le attività e le incursioni speculative della finanza hanno effetti concretissimi sull’economia e sull’occupazione e possono condannare al disastro non solo un’economia nazionale ma uno stato sovrano. La situazione attuale dell’Europa dimostra che un’intera area economica con mezzo miliardo di abitanti, tra le più avanzate del mondo, può entrare in sofferenza, sotto l’attacco della speculazione che mira a fare saltare l’Euro. Va ricordato che se lo spread con i bund tedeschi è per tanti paesi, compresa l’Italia, un incubo, per la Germania è un bengodi costituito dall’abbondante arrivo di capitali praticamente a interessi zero, come del resto avviene da tempo per gli Usa.
Sraffa cercò di risolvere alcune contraddizioni di Marx spiegando i prezzi con la produzione di merci attraverso merci. Oggi Sraffa dovrebbe misurarsi con la produzione di capitale finanziario attraverso altro capitale finanziario. Il capitale finanziario manifesta una superfetazione di dimensioni tali che è la novità assoluta dell’epoca attuale e ha raggiunto dimensioni mostruose, fino ad essere in grado di aggredire prede che in altre epoche sarebbero state fuori dalla portata della speculazione, fino a mettere in sofferenza l’intero sistema economico mondiale.
Non a caso il battito delle ali della farfalla greca ha preoccupato molto il Presidente Obama. Eppure la Grecia non ha un peso economico rilevante per gli Stati Uniti.
La memoria smarrita della crisi del 1929
Come è avvenuto questo ? Come l’attività finanziaria ha assunto una dimensione che oggi sembra inarrestabile e ingovernabile ? Eppure la crisi del 1929 dovrebbe avere insegnato molto. In realtà non è così.
Non va dimenticato infatti che la crisi in cui siamo ancora pienamente immersi sembra non avere prodotto iniziative e reazioni all’altezza dei problemi. Nulla di sostanziale è stato risolto dal 2007 ad oggi. I problemi di oggi sono gli stessi di prima della crisi finanziaria iniziata nel 2007.
Recenti studi hanno rivelato che le attività finanziarie (sommando le diverse fattispecie) hanno superato la dimensione precedente la crisi, iniziata alla fine del 2007, e continuano a crescere ulteriormente. Ulteriore segno che il problema non è affatto risolto.
La crescita - smisurata in quanto senza parametri con l’attività economica reale - della dimensione finanziaria ha effetti pervasivi, invade e tende a permeare anche la sfera dei consumi non tradizionalmente oggetto di attenzione, delle abitudini, perfino dei valori e dell’etica. Soprattutto rappresenta un poderoso vincolo sull’esercizio della democrazia moderna e in particolare sulla possibilità di esercitare, nel suo ambito, le scelte politiche.
La democrazia è in discussione
In questa crisi abbiamo visto che la democrazia di paesi sovrani è stata pesantemente limitata, conculcata, senza tanti complimenti, senza infingimenti. La differenza nei rapporti di forza tra la speculazione finanziaria, in grado di infliggere colpi pesantissimi, e i singoli stati nazionali può essere tale da non lasciare scampo.
Contrariamente a quanto sostengono alcuni, il capitalismo ha sempre avuto un rapporto ambiguo con la democrazia e non solo nella fase imperialista. Atteggiamenti rivoluzionari e libertari sono stati fortemente presenti nelle fasi di costruzione della nuova economia capitalistica, dopo le cose sono diventate molto più complicate.
Oggi è evidente che il capitalismo a dominio finanziario ritiene le procedure democratiche una perdita di tempo e immagina che tocchi ai santuari finanziari decidere al posto della collettività e di non dovere rendere conto a nessuno delle scelte. Del resto le forme anomale di governo di questi tempi sono numerose e il ruolo dei “tecnici” ne è una conferma.
Perfino il capitalismo tradizionale, fondato sul rapporto tra capitale e lavoro, ha i suoi problemi perché l’attività finanziaria tende a limitarne l’attrattiva, a spiazzarlo.
Di fronte alle scelte possibili di allocazione del capitale la scelta finanziaria è apparsa spesso la via più allettante, più rapida, più remunerativa dell’investimento.
Da tempo la crescita finanziaria tende a spiazzare gli investimenti in attività di qualunque tipo.
La crescita della dimensione finanziaria è esplosa dopo la caduta del muro di Berlino e la sua realizzazione è avvenuta in un quadro egemonizzato dalle sedi finanziarie principali, in particolare degli Stati Uniti.
Il ruolo degli Usa
Rampini ha scritto, felicemente, che nella crisi finanziaria iniziata alla fine del 2007 ci sono le impronte di Clinton. Infatti il decennio della presidenza Clinton ha contribuito non poco a creare l’illusione che la crescita di valore finanziario degli immobili e in generale le attività finanziarie potessero compensare la diminuzione dei redditi da lavoro, da pensione, ecc. e ha non poco contribuito a smantellare le regole stabilite dopo la crisi del 1929 che avevano lo scopo di evitarne il ripetersi. Una decisione della Sec ha consentito ai derivati di diventare il mostro finanziario che sono oggi. Fino all’insistenza degli Usa per ottenere attraverso il WTO lo smantellamento delle difese dei paesi più deboli per consentire l’invasione dei prodotti e soprattutto della finanza internazionale.
Privatizzazioni innanzitutto, e di tutto, compresi i servizi sociali, la sanità e questo malgrado proprio gli Stati Uniti siano l’esempio vivente che non solo privato non è meglio ma è anche enormemente più costoso. Infatti il sistema sanitario americano a base assicurativa è il più costoso del mondo, e questo senza realizzare neppure la copertura generale della popolazione.
Naturalmente i repubblicani, in particolare con Reagan, sono stati i demiurghi di una fase di inversione di rotta: dalla diminuzione delle tasse per i ricchi fino alla riduzione dello stato sociale, salvaguardando ovviamente la crescita della spesa militare. Tuttavia va detto che il periodo di Clinton ha impresso un impulso sulla finanza, attraverso lo smantellamento di regole e la liberalizzazione di altre, di cui oggi vediamo le conseguenze.
L’apertura delle “dighe” ereditate da Bretton Wood, probabilmente già insufficienti per l’epoca attuale, ha portato al dilagare di una finanza a cui nessuno chiedeva più di dimostrare di avere un qualche rapporto con l’economia reale, di non raccontare balle. Anzi la parte più rilevante erano le lucrose commissioni per le banche, che hanno finito per diventare la loro linfa vitale, l’aggio per i suoi sacerdoti. Questo ha drasticamente cambiato sia la distribuzione della ricchezza che quella dei redditi che infatti si sono divaricati a dismisura. E’ vero che ci sono fondi pensione che hanno fondato le loro previsioni sui risultati degli investimenti finanziari, ma è altrettanto vero che centinaia di migliaia di lavoratori hanno semplicemente perso la pensione per il fallimento dei fondi a cui avevano affidato le loro speranze.
I referendum contro la finanziarizzazione dell’economia
Una nota va fatta su un aspetto solo apparentemente minore. I referendum che si sono svolti in Italia nel giugno 2011 sono reazioni, anche se con caratteristiche diverse, a questa dilatazione delle privatizzazioni, portata avanti con il solo scopo di aprire nuovi campi alle scorrerie della finanza. La questione dell’acqua è più immediata da comprendere: la sua privatizzazione è pretesa per aprire non solo nuovi campi al profitto privato ma ancora di più per avviarne la finanziarizzazione, al cui termine il rapporto con l’oggetto dell’attività - l’acqua - diverrebbe del tutto remoto. Anche il nucleare aveva questo obiettivo. Produrre energia elettrica da nucleare, al netto delle questioni della sicurezza - peraltro imprescindibili - e dall’esistenza di alternative energetiche validissime, è anzitutto un enorme affare finanziario, che muove appalti lucrosi, con in più una forte concentrazione nel tempo e nello spazio, perché l’empireo della finanza non ha tempo da perdere e preferisce bocconi grossi e concentrati.
Lo tsunami finanziario
L’allentamento dei controlli sulla finanza da un lato e le risposte tutte centrate sulle immissioni monetarie alle varie crisi finanziarie che si sono avute, fino a quella gravissima che è tuttora in corso, hanno creato una prateria finanziaria sterminata, senza frontiere e senza controlli di sorta, senza vincoli, senza strumenti di intervento validi. Le risposte della Federal Reserve, oggi sostanzialmente imitate dalla Bce, sono essenzialmente immissioni di liquidità, forse necessarie nell’immediato per intervenire nelle fasi di crisi acuta, per scongiurare il disastro, ma sostanzialmente orientate a ricreare le condizioni quo ante e quindi a rimettere in moto lo stesso meccanismo di prima, al netto di qualche fallimento.
Il futuro è visto come ritorno al passato. Obama aveva promesso all’inizio della crisi finanziaria delle misure che però sono state pensate essenzialmente per l’interno degli Usa, con l’effetto di lasciare alla finanza con base negli Usa piena libertà di azione all’estero. A tuttoggi anche all’interno degli Usa in realtà grandi novità regolative non sono state realizzate.
In realtà l’ottica ridutttiva, rivolta all’interno, dell’intervento di Obama ha sottovalutato l’indispensabilità di nuove regole sui mercati finanziari internazionali e questo ha finito con l’indebolire anche le iniziative all’interno. Per questo oggi gli Usa cercano essenzialmente di rimettere in moto il meccanismo che in precedenza aveva consentito un periodo di crescita. L’obiettivo è ancora una volta tornare a prima.
L’Europa ha avuto qualche velleità, a parole, ma poi i fatti non sono arrivati. L’Europa non ha avuto né la forza, né la reale intenzione di affrontare la sfida di un sistema di controlli e di un governo mondiale della finanza internazionale. Quindi anche l’Europa, che pure aveva tutto l’interesse ad affrontare il problema, si è acconciata a misure di austerità e verso tagli alla spesa pubblica per tentare di affrontare secondo classiche ricette neoliberali la crisi finanziaria, rinunciando di fatto ad affrontare la regolazione del sistema finanziario. Ai “mercati” si può solo ubbidire. L’Europa ha dedicato maggiore attenzione, sia pure con ritardi e scarsa efficacia, agli strumenti per intervenire nella crisi delle banche, dei debiti sovrani, ma sempre con misure difensive.
Colpirne uno per educarne cento
E’ fin troppo noto che salvare la Grecia all’inizio avrebbe avuto per l’Europa un costo limitato, una frazione di quanto la Germania ha speso per salvare le sue banche. Ancora oggi, malgrado il procedere della crisi abbia moltiplicato i costi, il salvataggio della Grecia è una frazione degli oneri che l’Europa dotrebbe sopportare per l’esplodere di una crisi finanziaria fuori controllo.
Sullo sfondo si avverte che l’Europa ha perduto l’occasione di costruire un diverso rapporto con le aree economiche che irrompono nell’economia mondiale. Basta pensare alla Cina che aveva proposto di superare il dollaro come base di conto per l’economia mondiale, echeggiando - decenni dopo - la proposta Keynesiana del bancor. Proposta che l’Europa ha semplicemnte ignorato. Se non c’è una visione mondiale resta solo la possibilità di tentare una linea di difesa, che nel caso dell’Europa è per di più impacciata, frantumata ed incapace di affrontare con respiro i problemi.
Colpisce che proprio ora che la globalizzazione finanziaria nell’epoca del turbocapitalismo sta creando squilibri intollerabili le forme di solidarietà politica e sociale a livello sovranazionale e mondiale siano al livello più basso. Per parlare di chi c’è: l’internazionale socialista è l’ombra di legami che precedenti, come del resto dimostra l’atteggiamento tenuto verso la Grecia. Anche il legame internazionale dei sindacati è molto al di sotto di quanto sarebbe necessario. Eppure questi sono i legami oggi esistenti. Nella maggior parte dei casi non c’è neppure questa dimensione. La chiusura difensiva, su un’area ristretta di interessi, ha un riflesso politico evidente.
La prima grande questione infatti è la debolezza di una visione di insieme di quanto accade nel mondo, che è la necessaria premessa per l’organizzazione di iniziative per avere un peso nelle scelte. Anche Occupy Wall Street e gli Indignados sembrano oggi in una fase di stanca, pur avendo goduto di una certa simpatia perché è evidente la divaricazione tra un’elite che guadagna comunque, e quindi vince anche nella crisi, e la grande maggioranza della popolazione, che invece ne subisce le conseguenze. Anche il forum mondiale, pur restando una sede interessante di confronto e di iniziativa sovranazionale, è sottotono rispetto al passato.
Eppure iniziativa e solidarietà internazionali sono necessarie. Questa ottica nell’affrontare i problemi è più che mai indispensabile. Altrimenti il capitale finanziario è mobile, senza frontiere, mentre i lavoratori sono legati, almeno in buona misura, al territorio e questo è il primo degli elementi di disparità.
Un poeta latinoamericano ha detto che i lavoratori dovrebbero pretendere di potersi muovere almeno quanto i capitali finanziari. Alla globalizzazione della finanza e dei capitali occorre creare un contraltare, con iniziative e solidarietà dello stesso livello.
Per la democrazia
E’ in questo quadro che si pone in termini nuovi la stessa questione della democrazia. Il capitale finanziario globalizzato si muove per realizzare il massimo guadagno, a qualunque costo. Mentre la risposta politica è essenzialmente fondata sul livello nazionale, per di più spesso in ritardo, contraddittoria, difensiva.
La dimensione dei movimenti di capitale finanziario arrivata a livelli mai visti ha creato una potenza enorme - e prima sconosciuta - di pressione, mentre la risposta politica avrebbe bisogno di interventi dello stesso livello. La dimensione dello Stato è insufficiente, tranne alcuni casi in cui lo Stato ha una dimensione continentale. In questo quadro l’idea di un’Europa unita aveva le caratteristiche potenzialmente necessarie, ma sappiamo che nella realtà le cose si sono rivelate ben diverse. Lo Stato nella crisi ha svolto compiti rilevanti come trovare le risorse per ricapitalizzare le banche o affrontare altri aspetti della crisi finanziaria, salvo diventare a sua volta bersaglio della speculazione finanziaria per gli squilibri inevitabili che questo determina nelle finanze pubbliche.
La dimensione dei capitali in movimento alla ricerca di un guadagno ad ogni costo ha creato una forte pressione sulle strutture democratiche dei vari paesi. In parte questa pressione è nascosta dalla prevalenza di un’ideologia neliberale che ha dominato in Europa. La risposta alla crisi è stata prevalentemente la conferma delle stesse scelte di politica economica che hanno portato alla crisi finanziaria.
Neoliberista era l’ideologia dominante prima della crisi, neoliberista la risposta. E’ abbastanza incredibile che chi ha la responsabilità della crisi possa anche candidarsi a risolverla. Tuttavia la debolezza dell’alternativa in campo ha reso possibile questo incubo. La sostanziale coincidenza tra il punto di vista dei capitali finanziari e quella dei gruppi dirigenti europei ha creato una doppia pressione sul ruolo degli Stati nazionali. Non è questione di poteri da affidare al livello europeo, ma di sovranità e poteri che vengono negati ai Governi, ai popoli, di decaloghi imposti che sostituiscono i confronti tra piattaforme politiche alternative. Come è accaduto anche in Italia con la nota lettera della Bce, che come ha rivelato Tremonti è stata in realtà richiesta alla Bce dal Governo Berlusconi.
La Grecia è l’esempio più eclatante. La Grecia non ha potuto svolgere un referendum, salvo trovarsi a un pelo da essere costretta a farlo successivamente per un cambio di umore repentino dei leader europei. La Grecia ha ricevuto un diktat per l’adozione di misure (cosiddette) di risanamento, che per di più dovevano valere con qualunque esito elettorale. In questo c’è anche qualcosa di velleitario.
Gli interventi della tecnocrazia europea e dei capitali finanziari si muovono nella stessa direzione e cioè tendono ad imporre condizioni imprescindibili ai Governi e ai popoli: prendere o lasciare. Quindi le procedure democratiche, gli organi statuali sono sotto scacco e debbono adeguarsi pena subire l’attacco della speculazione. Non c’è un altro livello per le scelte democratiche che vengono imposte dalla tecnocrazie. Si fatica a capire dove finisce il carnefice finanziario e dove inizia la subalternità politica europea e nazionale. La pressione dei capitali finanziari, che si muovono senza limiti e senza regole, modifica la sostanza del funzionamento democratico degli stati, mentre dovrebbe esssere il contrario. Dovrebbero essere le istituzioni democratiche a definire un sistema di regole tali da evitare l’erraticità dei movimenti finanziari per regolare le caratteristiche dei mercati. Anche la cura finanziaria impostata dall’Amministrazione americana e poi ripetuta dalla Bce immettendo liquidità in quantità enormi nel sistema per evitarne il blocco non va alla radice dei problemi, ma offre metadone in quantità elevate a chi è già drogato, rinviando la crisi di astinenza, senza porsi il problema di come andare alla radice del problema.
La questione democratica è il problema enorme messo in luce dalla crisi innescata dalla finanza internazionale.
La democrazia rischia di essere la vittima di questa crisi. La Grecia è stata il laboratorio di questa crisi democratica. L’imposizione di durissime condizioni, la richiesta di impegni immodificabili a prescindere dalla volontà popolare, la pressione incredibile per condizionare i risultati elettorali (un vero e proprio ricatto) sono tutti elementi che confermano che si pone una questione democratica nella crisi e anche i paesi che non hanno subito le stesse imposizioni della Grecia, in realtà hanno girato lo sguardo altrove nel timore di subire lo stesso trattamento.
La risposta non può essere semplicemente difensiva, cercando di restaurare l’esistente che non è stato in grado di fronteggiare la crisi. Tuttavia un’idea di un nuovo ordine è anzitutto una questione di istituzioni e di regole e insieme naturalmente anche di contenuti ed obiettivi da realizzare.
La dimensione dei movimenti finanziari ha un inevitabile effetto pervasivo perché la mole è tale che non può che pervadere tutto quanto della vita delle persone, in quanto ha continuamente bisogno di nuovi campi di iniziativa.
La pressione per privatizzare le aziende degli enti locali si spiega anche in questo modo. L’obiettivo è rendere tutto oggetto di finanziarizzazione, di potenziale speculazione e guadagno. E’ un errore avere pensato che fine della storia e pensiero unico fossero ormai concetti tramontati, al contrario hanno bene identificato il tentativo egemonico del neoliberismo tuttora in corso.
Un’alternativa è possibile ?
In realtà la crisi finanziaria attuale ha aperto contraddizioni ed interrogativi e sono sorti movimenti contrari alle idee dominanti. Se i rappresentanti politici e i Governi avessero reagito con coerenza nella fase in cui gli Stati hanno dovuto svenarsi, mettere tasse e tagliare spese per fronteggiare la crisi finanziaria, salvare le banche e i mercati finanziari, le misure di controllo e regolazione avrebbero potuto essere approvate. Il capitale finanziario e le stesse banche per un periodo difficilmente avrebbero potuto organizzare una reazione di fronte ad un’opinione pubblica fortemente ostile, che cercava gli untori. Interventi drastici avrebbero potuto essere approvati, come nazionalizzazioni e misure per mettere le attività finanziarie in condizioni di non nuocere. Purtroppo adottate le misure di emergenza, trovati i quattrini attraverso le tasse e i tagli alla spesa pubblica, passata la rabbia popolare, pian piano banchieri e finanzieri hanno ripreso forza e coraggio e si sono rimessi a fare il loro lavoro come e più di prima e la speculazione è ripartita alla grande, proprio contro la mano che l’aveva salvata per evitare il blocco del sistema economico.
Se vogliamo dirla in termini più generali, il neoliberismo che ha dominato direttamente attraverso le manovre finanziarie e indirettamente attraverso l’influenza che ha esercitato anche nel campo della sinistra - ha portato alla crisi, ma poi visto che non c’era candidatura alternativa credibile si è anche candidato a risolverla.
Questa è la particolarità di questa fase. La permanenza delle stesse ricette neoliberali prima e dopo la crisi finanziaria rischia di blindare la situazione contro qualunque alternativa politica ed economica. Con una conseguenza che sembra tuttora fortemente sottovalutata.
L’ideologia e la pratica neoliberale hanno in programma di portare fino in fondo le scelte. La crisi è un monito per tutti. Tutti capiscono che solo con provvedimenti importanti si può affrontare una crisi di questa portata. Naturalmente questo è ben chiaro anche alla finanza e ai neoliberali. Per questo le misure che vengono proposte e portate avanti hanno l’ambizione di blindare la sitazione per decenni. Ad esempio il patto che vien definito fiscal compact avrebbe per l’Italia conseguenze per almeno 2 decenni visto che l’Italia dovrebbe arrivare ad un debito pubblico pari al 60 % del Pil. Anche la ripresa economica per alcuni paesi è rinviata nel tempo per molti anni a causa delle misure di risanamento. Se si presta attenzione agli orientamenti prevalenti nel paese leader dell’Europa, la Germania, si avverte che gli obiettivi proposti non sono in sé nuovissimi, ma la differenza è che questa volta si vuole portare il disegno fino in fondo, blindare il futuro. Ad esempio l’Europa dovrebbe alzare nello stesso modo l’età pensionabile; dovrebbe avere la stessa privatizzazione delle attività economiche e sociali e così portare fino in fondo la loro finanziarizzazione; dovrebbe avere le stesse regole per la spesa pubblica riducendone l’estensione il più possibile; dovrebbe ridurre il lavoro a mera subalternità; dovrebbe avere la stessa ideologia dominante, basta pensare alla modifica dell’articolo 81 della Costituzione italiana. La Costituzione italiana è stata modificata con una fretta degna di miglior causa, malgrado importanti segnali contrari di economisti e giuristi, dando prova di una grave subalternità, anzitutto culturale.
In questo modo si punta a mettere in moto un percorso europeo con caratteristiche rigidamente neoliberali e, nel disegno dei proponenti, sostanzialmente immodificabile in futuro da parte dei popoli coinvolti.
Un’ideologia come quella neoliberale non solo vuole essere dominante, farsi stato, ma condizionare il futuro, senza riguardo alcuno alle regole democratiche e in questo è coincidente con gli interessi della finanza globalizzata.
Appare chiaro che senza una visione alternativa, che è fatta di una diversa analisi e di una diversa proposta di futuro economico e finanziario non si arriverà lontano.
Eppure Gallino nel suo libro dimostra con chiarezza che cresce la base sociale potenziale di una moderna lotta di classe. Lotta di classe più che mai in corso, anche se rovesciata, contro il basso.
Già Marx chiarisce che la condizione sociale e di classe, di sfruttamento, di per sé non porta alla ribalta un’alternativa. Per arrivare ad un’alternativa occorrono alcune condizioni culturali, politiche e sociali.
La prima è un’analisi critica dell’esistente.
La seconda è un programma politico alternativo in cui le difficoltà non siano rinviate alla futura presa del potere, che per di più - vista l’esperienza - porterebbe immediatamente a reazioni negative.
La terza è la democrazia. Per quanto riguarda l’Italia occorre ripartire dall’attuazione della Costituzione italiana, non limitandosi alle regole sovrastrutturali ma impostando fondamenti economici e sociali, necessari per una diversa società
La quarta è la ricostruzione di legami internazionali per arrivare ad una visione europea e mondiale di un’alternativa possibile. In questa direzione può aiutare sviluppare interazioni, affrontando con senso del limite il problema dell’uso delle risorse che sappiamo esauribili, della crescita della popolazione mondiale, in sostanza dell’esigenza di un nuovo modello di sviluppo.
La crisi non solo mette in luce tratti autoritari verso stati e popoli ma sta facendo correre seri rischi alla democratizia. Colpisce che alcuni commentatori più sensibili abbiano cercato di capire se in un paese come la Grecia, ridotto allo stremo, sia possibile ricadere sotto il tallone di un golpe. La pressione esercitata sui cittadini greci è talmente forte ed odiosa che almeno l’interrogativo è bene porselo e poiché la pressione non riguarda solo la Grecia è bene che un’attenzione ai rischi per la democrazia sia vigile e presente ovunque.
Alfiero Grandi