La prima presentazione del PNRR italiano  fatta dal governo Conte 2 si era sostanzialmente arenata su tre  aspetti. Primo, l’uso di parte consistente dei fondi (oltre un terzo)  per interventi che avrebbero sostituito finanziamenti già previsti in  precedenza dal bilancio dello Stato, diminuendo così l’impatto per il  rilancio occupazionale, sociale ed economico degli interventi  straordinari previsti dal Next Generation EU della Commissione Europea.  Secondo, una gestione farraginosa, con la previsione del coinvolgimento  di centinaia di tecnici, con decisioni sull’uso delle risorse in gran  parte esterna alle sedi politiche naturali e cioè Governo, Regioni,  Comuni. Una sorta di circolazione istituzionale extracorporea e questo  ovviamente non garantiva la necessaria trasparenza delle decisioni di  spesa. Terzo, la raccolta di progetti già pronti di grandi aziende che  pensavano di avere trovato finalmente la fonte per finanziare progetti  di vario tipo, alcuni probabilmente utili, altri discutibili e forse  negativi soprattutto per le conseguenze ambientali.
È evidente che se raccogli i  progetti esistenti, anche selezionandoli, è difficile dare una forza  politica ed economica alle scelte pubbliche. Mentre occorreva  partire dai 6 capitoli e in particolare dalla transizione ambientale che  è certamente il capitolo che più di ogni altro può aiutare a rendere  compatibile lo sviluppo con l’ambiente, a innovare tecnologie e settori  produttivi, a qualificare ed estendere una nuova occupazione di qualità.  Draghi nel discorso alle Camere è sembrato consapevole dell’esigenza di  mettere l’accento sulle novità, a partire dal 37% delle risorse  destinato all’Italia per la transizione ecologica. Nessuna delega in  bianco. Il Governo va sfidato ad essere coerente e in particolare ad  esserlo i Ministri che sono preposti ad organizzare le scelte. Per ora  non siamo al caro amico ma nemmeno al merito delle scelte, eppure i  Ministeri stanno lavorando e a fine aprile Draghi riferirà in parlamento  sulle scelte definitive che il governo proporrà alla Commissione  Europea.
Per questo il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Sii, Nostra  hanno elaborato un documento che verrà presentato il 17 aprile in  videoconferenza, già disponibile sui siti delle associazioni, che vuole  contribuire a scegliere con nettezza. A proporre un’idea di futuro. Se  le aspettative sui risultati del piano straordinario debbono rimettere  in moto l’occupazione e l’economia dell’Italia – e debbono farlo con una  forte impronta innovativa sull’ambiente, sulla ricerca,  sull’innovazione – le scelte non possono che essere coraggiose e nette. È  un’occasione unica. Cambiare e dare ragione a tutti è impossibile,  occorrono dei Sì e dei No chiari e netti.
Ad esempio raggiungere gli obiettivi di cessazione dell’uso del carbone e dei combustibili fossili ha bisogno di tempo  ma proprio per questo richiede di partire subito, di scegliere con  coraggio ed impegno le fonti energetiche alternative. I tempi sono  definiti, ad esempio entro il 2025 il carbone deve cessare di essere  utilizzato, ma non è saggio proporre di continuare sotto altre forme  l’uso dei combustibili fossili, come il gas per produrre energia  elettrica, finiremmo con l’entrare in contraddizione con gli obiettivi  europei. Sono già disponibili modalità di produzione energetica  rinnovabile, combinata dall’estensione dell’uso delle rinnovabili  disponibili, compreso l’eolico offshore, con sistemi di accumulazione e  produzione di idrogeno da fonti rinnovabili. Certo anche la rete fondata  su grandi impianti va ripensata per consentire di usufruire di una  produzione diffusa nel territorio, anche incentivando l’autoconsumo.
Le dichiarazioni che stanno facendo esponenti importanti di aziende, anche a partecipazione pubblica,  puntano a rinviare le scelte nel tempo, sembrano non rendersi conto che  questo non solo avrebbe conseguenze sul clima, che continuerebbe nel  frattempo a peggiorare, ma creerebbe un nodo irrisolvibile rinviando le  scadenze previste per evitare il superamento dei limiti che possono  contenere il cambiamento del clima. Colpisce una dichiarazione di Giunti  di Enipower che ha dichiarato che per decarbonizzare (come se avessimo  la possibilità di non farlo) occorrono idrogeno, cattura del CO2 e  fusione nucleare, con questo schema non rispetteremo i vincoli, neppure  al 2050. Infatti prendendo la palla al balzo l’Associazione italiana per  il nucleare propone il nucleare da fissione come premessa da usare per  arrivare (un giorno, forse) a quello da fusione. In altre parole è in  corso un attacco sistematico per farsi dare i soldi del PNRR senza  cambiare la sostanza di quanto fatto sin qui e mantenendo pressoché  invariate le scelte. Quindi non solo ci sono resistenze a togliere  benefici incompatibili con l’ambiente, contraddittori con il  finanziamento di un cambio di paradigma, e si tenta di mantenere in vita  fino al limite di rottura le scelte previste. Anche in Europa in verità  qualcosa non va. Il nucleare gode di un forte rilancio da parte di un  gruppo di paesi, Francia in testa, per ottenere l’equiparazione del  nucleare da fissione con le rinnovabili (per avere i quattrini) e  candidarlo ad essere la fonte energetica per produrre idrogeno.
È quanto di più vecchio si possa immaginare,  ma è grave che il centro studi che lavora per la Commissione Europea  abbia proposto di considerare il nucleare alla stregua del fotovoltaico e  la stessa descrizione dei depositi di scorie come sicuri serve solo –  mentendo – a giustificare la scelta del nucleare da fissione. L’Italia  deve farsi sentire e bloccare questa deriva europea, non basta che ci  sia il diritto per i singoli paesi a non investire nel nucleare da  fissione, ci mancherebbe altro. Occorre impedire alla Commissione di  scivolare sul nucleare e a quanto pare anche sugli Ogm. Occorre che  entrino in campo con forza le rappresentanze dei lavoratori. Questo  scontro, per ora attutito da tecnicismi velati ha bisogno dei sindacati e  dei lavoratori che rappresentano.
In un futuro di scelte ambientali radicali ci sono spazi enormi per la ricerca,  per investimenti innovativi, per la crescita di occupazione di qualità,  in grado di compensare la caduta in altri settori. In passato troppe  volte gli interessi dei lavoratori sono sembrati in contrasto con  l’ambiente e le conseguenze sono state drammatiche per la vita delle  popolazioni e per i lavoratori interessati costretti in una ridotta  difensiva, a volte perfino corporativa. La ferita dell’Ilva, che non ha  salvato né il lavoro né l’ambiente, è ancora aperta, non è risolta e  deve essere un impegno prioritario.
Oggi una piattaforma netta può consentire di realizzare una nuova alleanza tra lavoro ed ambiente,  in cui le condizioni di vita, la salute siano coerenti con una nuova  prospettiva occupazionale. Studi hanno dimostrato che un altro futuro  non è solo necessario ma possibile, anzi indispensabile. Già in passato  il mondo del lavoro ha portato avanti obiettivi generali, basta pensare  al sistema sanitario nazionale e di welfare. Oggi c’è una nuova fase e  una nuova possibilità, per certi versi un obbligo, che è sperabile sia  compresa e raccolta per evitare che il nodo degli interessi e delle  rendite di posizione che vogliono conservare la situazione esistente  prevalga.
Per questo il modo migliore di mettere alla prova le vere intenzioni del nuovo governo è entrare in campo,  avanzare proposte, sviluppare iniziative. Per questo le associazioni  (Cdc, Laudato Sii, Nostra) hanno scritto un documento con proposte  nette, forse radicali, con l’obiettivo di discuterle, di aiutare la  creazione di movimenti e risposte all’altezza della sfida. Parafrasando,  si potrebbe dire che la transizione ecologica è un compito troppo  importante per lasciarlo al solo governo, meglio “accompagnarlo” e per  maggiore sicurezza meglio prendere le iniziative necessarie.