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Il movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e superare la prova di una unità
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  16/03/2022  09:04:25, in Politica, letto 997 volte
(www.jobsnews.it del 16/03/22)

È abbastanza evidente che alcuni commentatori hanno cercato di contrapporre la piazza di Firenze contro l’aggressione in Ucraina a quella precedente di Roma, cercando di perpetuare un equivoco che rischia di dividere un movimento plurale, diversificato, in qualche caso perfino con motivazioni opposte, ma che condivide l’obiettivo prioritario di fermare la guerra. Prova ne sia che l’appello ripetuto e insistito per la creazione della No-Fly zone o per la fornitura di aerei all’Ucraina è caduto nel vuoto, esattamente come nella precedente manifestazione di Roma e non poteva che essere così. Anche le rappresentanze presenti erano in buona parte le stesse. Questo tentativo di dividere il movimento o se si preferisce la grande opinione pubblica che vuole la fine della guerra in Ucraina, cercando un’intesa di pace, va indicato come pericoloso e controproducente. Perché le “piazze” per la pace hanno bisogno di estendersi e di rafforzarsi per contribuire a fermare la guerra. Il programma di chi vuole fermare la guerra è la fine dei combattimenti in Ucraina, garantendo la vita delle persone, di chi è sotto i bombardamenti, di chi oggi combatte, avviando una vera trattativa per regolare il contenzioso.

L’unità è sull’obiettivo, le motivazioni possono essere diverse, ma è un “sogno” che non ha alternative.

Trattative per fermare i combattimenti e poi per un accordo di pace sarebbero un’autentica rivoluzione, perché ad oggi l’invasore russo e chi combatte per l’Ucraina non hanno intenzione di smettere. Le trattative in sostanza non decollano. Ciascuno pensa di riuscire a vincere o punta a conquistare posizioni di maggiore forza. Non basta che si offrano per le trattative “volenterosi” capi di governo, mossi anche da interessi propri, ma è urgente che entri in campo l’Onu, da troppo tempo messo nell’angolo, ridotto a teatro delle reciproche accuse, mentre deve essere protagonista delle soluzioni pacifiche. Ormai da decenni i colpi inferti al ruolo dell’Onu, creando fatti compiuti, ne ha indebolito la credibilità, la forza, alcuni errori hanno aggiunto ulteriori difficoltà. Ma la sostanza è che le grandi potenze hanno trovato più comodo per i loro interessi aggirare l’Onu, mettendo il mondo di fronte a fatti compiuti, scegliendo spesso di imporre le loro decisioni unilaterali. Eppure l’Onu non è mai stato così rappresentativo, oltre 200 membri, ma l’indebolimento politico si fa sentire.

Questa è una grande occasione per arrivare ad un accordo nella sede propria: l’Onu, inoltre potrebbe essere l’inizio di una regolazione di problemi che da tempo chiedono di essere risolti, a partire dal rilancio del disarmo nucleare, da una riduzione degli armamenti, anziché insistere sulla follia della logica dell’aumento degli armamenti. Quando si arriverà ad una vera trattativa si potrà forse valutare meglio la differenza con quello che si poteva tentare di concordare prima della guerra, senza i lutti, le distruzioni, i danni immediati e le tossine che resteranno anche quando il clamore delle armi cesserà. Del resto l’alternativa alla trattativa e alla pace oggi è che il mondo scivoli drammaticamente verso una guerra mondiale distruttiva.

Evolvere la funzione degli stati dell’Unione Europea in fornitori di armi all’Ucraina, tanto più che era in campo da tempo la Nato, non è stata una buona idea. In più per l’Italia c’è sempre l’articolo 11 della nostra Costituzione che troppi dimenticano o di cui danno interpretazioni di comodo. La distinzione tra sede politica, di governo e quella di un’alleanza militare dovrebbe essere l’abc della politica. Mentre la scelta dell’Europa di entrare direttamente in campo con forniture di armi all’Ucraina le ha inibito un ruolo di protagonista per la pace, per di più ha dovuto autoimporsi inevitabilmente dei limiti di qualità e di quantità, lasciando cadere richieste di No-Fly Zone e di aerei da combattimento, che continuano a venire dall’Ucraina e che Usa, Nato, Europa non possono accettare senza entrare direttamente in collisione militare con la Russia, con tutte le drammatiche conseguenze del caso.

L’invasione russa dell’Ucraina è stata un gravissimo errore, con conseguenze umane insopportabili e distruzioni drammatiche, fino a minare le fondamenta della fiducia e della reciproca comprensione, necessaria per regolare pacificamente i conflitti. Questo ha conseguenze anche sul ruolo internazionale della Russia. Inoltre l’uso delle armi per vincere ad ogni costo diventa sempre più cruento, inaccettabile, orribile.

Gino Strada disse: la guerra come le malattie letali deve essere prevenuta: va abolita.

L’Ucraina ha scelto di resistere, in parte ci è riuscita, ma può pensare di vincere? Nei discorsi di Zelensky c’è qualcosa che va oltre la rivendicazione della fiera battaglia dell’Ucraina e punta, non a caso, a coinvolgere la Nato. Basta ricordare la richiesta della No-Fly Zone o di aerei forniti dalla Nato, che renderebbero concreto il rischio di un conflitto mondiale, oppure la richiesta all’Europa di tagliare di colpo tutti i rifornimenti di gas e petrolio. Biden non ha difficoltà ad aderire al blocco di petrolio e gas della Russia, infatti ha perfino recuperato forniture dal Venezuela, fino a poco tempo fa al bando. L’Europa non è in grado di adottare una misura così drastica e immediata, pagherebbe un prezzo insostenibile, con conseguenze sociali ed economiche insopportabili. Come ha detto Draghi, in passato una politica energetica nazionale miope ha sottovalutato la dipendenza dell’Italia (e dell’Europa) dall’estero, perché le politiche energetiche hanno puntato sui fossili anziché scegliere di investire strategicamente nelle energie rinnovabili. Continuando a investire nelle rinnovabili come nel 2010/2013 oggi, conti alla mano, potremmo fare a meno dei 2/3 del gas russo. Occorrono proposte concrete per farlo da ora e nell’arco di 5/6 anni possiamo arrivare a quel risultato, ma per arrivarci occorre un piano preciso e occorrono risorse, non basta rincorrere il vertiginoso aumento dei prezzi dell’energia che non ha alcun fondamento oggettivo

Quando la dialettica tra entità politiche si presenta nella forma drammatica del conflitto armato è ancora più indispensabile puntare alla sintesi, cioè sulla fine del conflitto armato per impedire che tutto venga inquinato, distorto, che il mondo diventi molto peggio di quello che avevamo prima, per quanto insoddisfacente.

Solo qualche mese fa l’obiettivo era fermare l’alterazione del clima contenendo l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi. Per realizzarlo occorrono distensione, cooperazione. Riprendere il filo sarà dura, ma ci sono alternative che non siano morte e distruzione?

Dopo la fine della guerra fredda, e del patto di Varsavia, il sogno era un mondo aperto, in cui confrontarsi, competere, cooperare. Oggi gli scienziati russi del Cern rischiano di essere fuori dalla ricerca, mentre la cultura è segnata dal ritiro dei dipinti di proprietà russa in mostra in Italia. Davvero vogliamo che dopo questa terribile ed orribile guerra il mondo sia preda della forza, della sopraffazione, dell’isteria?

La guerra non è la soluzione, è il problema.

Non lo è stata nella ex Jugoslavia, le cui conseguenze sono nascoste, ma ben vive, in un “sarcofago”, come Chernobyl. La guerra e la corsa agli armamenti, in particolare nucleari, non risolvono i conflitti armati, li provocano. Ha ragione Francesco, i soldi per le guerre e gli armamenti si trovano sempre, non quelli per affrontare i problemi delle persone: lavoro, equità sociale, che purtroppo sono considerati costi.

Il mondo deve riannodare il filo bruscamente tagliato da Putin, le cui responsabilità non verranno dimenticate. Ma se si tornerà a parlarsi, a confrontarsi, ad aprirsi qualcosa cambierà anche in Russia, come iniziava a cambiare prima che contenimento e isolamento da parte della Nato prendessero il posto delle reciproche garanzie, del necessario reciproco coinvolgimento.

Nel movimento per la pace c’è posto per tutti, per tutte le opinioni sulle responsabilità perché ciò che conta e deve unire è il salto di qualità dell’obiettivo di fondo: sospensione dei combattimenti, trattativa per ristabilire pace – se possibile in sede Onu – e riprendere la cooperazione tra diversi.

Per questo il movimento per la fine della guerra in Ucraina deve crescere e superare la prova di una unità tra diverse posizioni che debbono avere ben chiaro l’obiettivo principale: interrompere i combattimenti, garantire la vita delle persone (tutte), avviare vere trattative di pace, che per definizione hanno bisogno di mediazione e di composizione dei conflitti.