.:: Home Page : Articoli : Stampa
Presidenzialismo e autonomia: raffazzonata sommatoria della destra
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  27/05/2023  21:23:41, in Politica, letto 1287 volte
(www.strisciarossa.it 27/5/23)

Giorgia Meloni ha sbagliato a dare il via libera alla proposta Calderoli sull’autonomia regionale differenziata. Dopo l’ok del governo il Ministro leghista è partito a razzo, presentando al Senato un progetto di legge firmato solo da lui, senza Presidente del Consiglio e Ministro dell’Economia. Forse Meloni non si aspettava questa velocità ma è un fatto che il disegno di legge sta iniziando il percorso al Senato.

Autonomia differenziata e presidenzialismo: due obiettivi contraddittori

Per questo Giorgia Meloni, quando ha capito cosa stesse accadendo, si è affrettata a ricordare alla sua maggioranza che l’autonomia regionale differenziata sta insieme al presidenzialismo. Da qui l’invito alle opposizioni ad un confronto su titoli generici come il presidenzialismo, il semipresidenzialismo, il capo del governo eletto direttamente. È stata presentata questa indecisione come disponibilità al confronto, ma in realtà era anzitutto la conseguenza del modo raffazzonato con cui è stato messo sul tavolo l’argomento.

Meloni si è resa conto che rischiava di regalare alla Lega l’autonomia e di restare con un pugno di mosche su quello che le sta a cuore, salvo scoprire che gli obiettivi sono in contrasto tra loro perché la maggioranza di destra si è accordata su una sommatoria di obiettivi contraddittori.

Ma le riforme sono la strada giusta?

Non potendo entrare in conflitto, in questa fase, con il Presidente della Repubblica in carica ha chiarito che se ne parlerà dopo la scadenza del mandato. Per di più il presidenzialismo non è in buona salute. È un sistema che non ha superato la crisi del 6 gennaio 2020 negli Stati Uniti e, anzi, ne alimenta la frattura politica.

Il semipresidenzialismo ha portato Macron ad una frattura verticale con buona parte dei francesi. La domanda senza risposta è: chi ricuce le fratture di un paese se il Presidente è il capo della fazione che ha vinto le elezioni?

Giorgia Meloni ha tentato di farsi forte del mandato degli elettori, ma non è così. Il 25 settembre ha votato il 60% degli elettori (con un aumento dell’astensione del 10%), la destra ha preso il 44% dei voti e, grazie a un premio di maggioranza di fatto del 15 %, è arrivata al 59 % dei parlamentari. Anche se tutti gli elettori di destra condividessero l’elezione diretta del Presidente o del Premier, e non è affatto provato che sia così, il 56 % non le ha dato alcun mandato, 16 milioni contro 12. Se le legge elettorale le ha letteralmente regalato la maggioranza, questo risultato non la autorizza a fare tutto e in particolare a modificare la Costituzione.

Una proposta per togliere alibi a Calderoli

Cambiare la Costituzione, dunque, richiede prudenza ed equilibrio. Destra e sinistra ci hanno già provato a turno senza riuscirci. Nel 2001 il centrosinistra ha cambiato il Titolo V, modificando in peggio il contenuto di alcuni articoli, il 116 e il 117, che oggi Calderoli usa come piede di porco per contraddire dei principi costituzionali fondamentali come il diritto all’istruzione e alla salute.

La proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per modificare gli articoli 116 e 117 della Costituzione, per togliere ogni alibi a Calderoli, ha raccolto oltre il doppio delle 50.000 firme richieste per presentare la proposta.

Il 1 giugno le firme verranno presentate al Senato, il cui regolamento, fatto approvare dal Presidente Grasso, prevede tempi certi per la discussione delle proposte di legge di iniziativa popolare. Alla Camera purtroppo non è così. La proposta di legge di iniziativa popolare verrà quindi discussa in parallelo alla proposta Calderoli sull’autonomia regionale differenziata.

La Costituzione non può essere l’alibi per le difficoltà della destra a governare: se non ce la fa la Costituzione non c’entra e non ha alcun diritto di stravolgerla.

Nessuna ambiguità dall’opposizione

L’opposizione politica e sociale deve ripartire dalla Costituzione, difenderla dagli assalti e soprattutto impegnarsi ad attuarla. Questo sarebbe un programma progressista. Le modifiche alla Costituzione vanno decise in Parlamento, che è centrale nella nostra democrazia, e va chiarito che dopo dovrà esserci il voto delle elettrici e degli elettori, con il referendum. Sarebbe grave se qualcuno dell’opposizione si prendesse la responsabilità di fare saltare la possibilità del referendum popolare concedendo i propri voti per fare arrivare la maggioranza al 66% in Parlamento per evitarlo.

Il confuso presidenzialismo di Giorgia Meloni viene presentato come la volontà di fare scegliere gli elettori, di farli votare. Argomento assurdo visto che la destra non permette di cambiare la legge elettorale in vigore che non fa scegliere i parlamentari agli elettori. Infatti, è insopportabile che i parlamentari siano scelti per fedeltà dai capipartito e non rispondano agli elettori, che peraltro nemmeno li conoscono.

La Costituzione prevede un equilibrio tra i poteri dello Stato, con regole pensate per leggi proporzionali. Oggi il maggioritario premia il vincitore con il 15% e altera i quorum previsti dalla Costituzione che non sono stati neppure adeguati al maggioritario.

Eleggere direttamente il Presidente della Repubblica, nella variante americana o francese, oppure il capo del governo porterebbe ad uno stravolgimento della Costituzione del 1948 e renderebbe il Parlamento definitivamente subalterno.

Autonomia e presidenzialismo: sommare le posizioni

La destra cerca di risolvere le sue contraddizioni sommando le sue posizioni. Autonomia regionale più presidenzialismo più separazione delle carriere dei magistrati stravolgerebbero la Costituzione.

L’opposizione deve decidersi a presentare un’alternativa chiara e netta: fare scegliere i parlamentari ai cittadini come alternativa al presidenzialismo, che porterebbe allo stravolgimento di tutta la Costituzione.

Per questo è indispensabile cambiare la legge elettorale. È stato un errore non farlo prima del 25 settembre e, visto lo stallo politico attuale, solo un referendum abrogativo può rimettere in moto la situazione e obbligare a cambiare la legge elettorale. Questo potrebbe finalmente farci uscire dal vicolo cieco di un maggioritario costruito per scegliere un Parlamento di fedeli esecutori, che ha finito con il preparare il terreno al presidenzialismo.