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verso il 21 ottobre
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  29/10/2013  12:09:06, in Politica, letto 1672 volte

Introduzione al seminario del  21 ottobre 2013 a Roma
sul tema: "E' possibile riunificare oggi il mondo del lavoro ?"
promosso da:  Ars, Crs, network per il socialismo europeo, Fondazione della FP Cgil, con la collaborazione della Fondazione Claudio Sabattini

Il peso politico e il ruolo sociale dei lavoratori subordinati sono caduti in modo impressionante, eppure il loro numero e la funzione che svolgono non è meno importante che in passato. La fine del lavoro non c’è. Le meraviglie della tecnologia moderna non vengono usate per rendere migliore la condizione di chi lavora e neppure l’ambiente in cui il lavoro si svolge, al contrario vengono usate per rendere ancora più obbligata la prestazione, per rendere il lavoro ancora più subordinato. La disarticolazione del mondo del lavoro, le divisioni dei sindacati e la loro dimensione prevalentemente nazionale a fronte di una sfida sempre più a scala globale, il distacco delle sinistre dai lavoratori subordinati, la pressione prevalente sul lavoro per recuperare competitività, le politiche legislative che hanno picconato l’idea stessa di legislazione di sostegno e i diritti faticosamente conquistati nei decenni scorsi, moltiplicando a dismisura le forme dei rapporti di lavoro e provocando una dilagante precarietà, hanno stravolto pesantemente, in poco più di un ventennio, la condizione dei lavoratori subordinati. Una concezione unitaria del mondo del lavoro è oggi largamente smarrita. Eppure l’unificazione è indispensabile per ridare ruolo e peso nella società e nella politica al lavoro subordinato. Unificazione tra le dimensioni aziendali, tra pubblico e privato, tra chi lavora e chi non riesce a trovarlo, tra i giovani - in maggioranza disoccupati e precari - e i lavoratori occupati con maggiore anzianità. Certo in passato ci sono state semplificazioni, perfino ingenuità: pensiamo al punto unico di scala mobile. Non restano né il punto unico, né la scala mobile. Oggi è l’idea stessa di una possibile unità del mondo del lavoro ad essere in discussione. Cresce la pressione per isolare la contrattazione nelle singole aziende, lasciando a sé stesso il grande mare di lavoratori che nemmeno possono immaginare di avvalersene, schiacciando la condizione di lavoro sulle scelte dell’impresa e quindi inevitabilmente allentando i legami di solidarietà generale tra lavoratori subordinati. I lavoratori del nostro paese sono stati protagonisti di una stagione importante della contrattazione e hanno potuto giovarsi del contributo di idee e dell’appoggio di larghi settori dell’intelligenza e della cultura, che oggi sembrano invece - sia pure con lodevoli eccezioni - distanti. La tesi che la società odierna sarebbe “liquida” e quindi sarebbe impossibile unificare come in passato il mondo del lavoro subordinato ha fatto proseliti e non ha trovato un’adeguata confutazione. Questo seminario vuol tentare di contribuire ad invertire la tendenza. 2)Il mondo del lavoro subordinato nei suoi momenti migliori è stato portatore - partendo dal punto di vista del lavoro - di istanze di solidarietà (ci sono bellissime testimonianze in questo senso) e di uguaglianza, nell’ambito di un impegno per un rinnovamento profondo dell’assetto economico e politico, delle sue strutture, del loro funzionamento. L’istanza dell’uguaglianza è un tratto distintivo del movimento operaio e dei lavoratori subordinati. Qualcosa di più dell’uguaglianza delle opportunità, che pure è un passo avanti non disprezzabile. L’idea dell’uguaglianza ha infatti l’ambizione di rovesciare i rapporti di forza che vedono oggi le classi dominanti saldamente al comando. Ricordo che Buffet ha affermato che la lotta di classe esiste, ma l’hanno vinta le classi dominanti. Va riconosciuto che Papa Francesco ha il merito di avere rilanciato il valore della solidarietà. L’uguaglianza è qualcosa di più e di diverso e richiede l’iniziativa dei sindacati e dei partiti di sinistra per realizzarla, per portare nella sfera del governo le istanze delle classi lavoratrici, per fare di queste il fulcro di un rinnovamento sociale e politico con al centro la partecipazione anziché l’accentramento autoritario, così scuola e cultura, innovazione e ambiente. 3)La divaricazione tra i redditi a partire dai luoghi di lavoro oggi è cresciuta a dismisura. Alcuni decenni fa la distanza tra il top dei redditi e quelli dei lavoratori subordinati si misurava in alcune decine di volte, oggi si misura in centinaia, talora anche di più. Nella scena economica ha acquisito un peso enorme la parte finanziaria, al punto che la quantità è diventata una diversa qualità del capitalismo attuale. I movimenti finanziari per almeno il 90 % sono slegati da qualunque rapporto con attività economiche materiali o immateriali e sono ormai 12 volte il Pil mondiale. Un’enorme massa di denaro che si sposta con la rapidità e la forza di uno tsunami che condiziona in modo rilevantissimo non solo le imprese ma anche i Governi e le stesse sedi sovranazionali di governo dei processi economici. Questa è l’origine della crisi attuale. Malgrado la crisi abbia rivelato l’ipertrofia di un sistema finanziario che produce denaro attraverso la creazione di denaro, facendo ricadere pesantemente le conseguenze sulla struttura economica, nulla o quasi è stato fatto per ricondurre il sistema finanziario entro limiti governabili, trasparenti e controllabili. Ho apprezzato che D’Alema oggi condivida la proposta di introdurre una Tobin tax globale, sapendo che la legge italiana approvata è cosa ben diversa. Sono state impiegate risorse enormi delle collettività per salvare il sistema finanziario dal tracollo. Risorse enormi che sono all’origine della spinta dei governi a tagliare stato sociale e investimenti, i quali non sono affatto la causa degli squilibri. Questo ruolo della finanza ha spostato pesantemente l’asse della distribuzione dei redditi ed ampliato a dismisura la forbice tra i redditi. Rendite, profitti, retribuzioni dei manager costituiscono un grumo di redditi sempre più staccati da quelli da lavoro, con il risultato che in 20 anni la quota di reddito nazionale che è andato al lavoro è sceso nei paesi Ocse dal 68% al 58% e in Italia al 53 % con un divario di 15 punti, superiore a 200 miliardi di euro. Gli Stati hanno salvato finanza e banche dal tracollo impiegando risorse enormi e ora ne scaricano i costi con tagli di bilancio, in particolare sullo stato sociale. 4)Il mondo ha fame di lavoro, in Europa i disocupati sono più di 20 milioni. E’ stato calcolato che nel mondo ci sarebbe bisogno di almeno 80 milioni di posti all’anno. Eppure la platea dei lavoratori nel mondo è cresciuta e accanto al mezzo miliardo dei paesi sviluppati oggi ce n’è un miliardo nel resto del mondo, a partire dalla “fabbrica” cinese. 5)La globalizzazione è stata gestita come un gigantesco ricatto occupazionale verso l’area di lavoratori di più vecchia industrializzazione e di più antiche garanzie. Malgrado un limitato tentativo di chiedere il rispetto dei diritti nelle aree di nuova produzione (ad esempio i “prodotti etici”) nella realtà ha prevalso una pressione per fare delle peggiori condizioni un grimaldello per abbassare le condizioni di lavoro e i diritti nelle aree di più antica industrializzazione. La modalità prevalente è stato il decentramento delle produzioni nelle aree con costo del lavoro minore. 6)La crisi iniziata nel 2007, e da cui ancora non si è usciti, ha ulteriormente appesantito la situazione e il ricatto occupazionale è diventato ancora più forte. Nel nostro paese nei lavori considerati meno appetibili, come badanti, colf, agricoltura ed anche edilizia sono tornati ad affacciarsi lavoratori e lavoratrici italiani, quando ormai da tempo gli ingressi in questi settori erano ben diversi. 7)Tutti gli aspetti della condizione di lavoro sono entrati in sofferenza. Dopo decenni di miglioramento dei redditi da lavoro da tempo è in corso un loro netto e costante ridimensionamento relativo, in parte anche assoluto, a cui si aggiunge il peso del risanamento del debito pubblico fondato su incrementi della pressione fiscale e il taglio dei servizi che incidono pesantemente sui lavoratori e sulle lavoratrici. In una ventina d’anni i rapporti di forza si sono modificati a favore delle classi dominanti in modo rilevante. Sotto pressione non ci sono solo le retribuzioni ma anche gli orari di lavoro, sempre più aderenti alle variabili necessità dell’impresa, e le prestazioni sono soggette ad un’intensificazione crescente dello sforzo psico fisico, all’incertezza sul futuro, alla derubricazione dei rischi per la salute e la vita stessa di chi lavora e dell’ambiente circostante. 8)Il mondo del lavoro è cambiato nella sua composizione. Del resto lo dice il ridimensionamento del peso dell’industria rispetto ai servizi. Dopo la crisi che stiamo vivendo la base produttiva dell’industria in Italia sarà ulteriormente ridimensionata. Un paese essenzialmente trasformatore come l’Italia non è riuscito a difendere questo ruolo e non a caso gli acquisti di imprese e marchi italiani stanno accelerando in modo impressionante. Tuttavia il carattere subalterno del lavoro non è affatto diminuito. Le figure operaie tradizionali sono diminuite numericamente, in particolare nelle grandi aziende, ma nei settori nuovi e nella nuova organizzazione del lavoro ci sono figure assimilabili. E’ cresciuto il numero degli impiegati e dei quadri, anche se negli ultimi anni queste figure stanno subendo un ridimensionamento occupazionale, ma la sostanza è che la subordinazione resta il carattere dominante anche per tante figure che non sono definibili operaie. Soprattutto è cesciuta enormemente l’area del lavoro informale, che viene spacciato per nuovo lavoro autonomo. Una valutazione della Cgil parla di oltre 4,3 milioni di persone. C’è un vero lavoro autonomo ma è limitato e non riguarda certamente tutte queste persone. Non basta infatti una definizione giuridica per togliere il carattere di subordinazione della prestazione. La novità è che la precarizzazione, l’estensione del lavoro informale colpiscono pesantemente anche i lavoratori con maggiore scolarizzazione, che sono parte rilevante dell’area del lavoro informale e non protetto. L’area crescente del lavoro informale è il prodotto di una flessibilità sempre più spinta ormai dilagante. La flessibilità è in estensione da almeno un ventennio ed è amplificata dalla diversificazione giuridica delle modalità di lavoro, aumentando la precarietà. Vale la pena di richiamare la questione della produttività. L’allarme lanciato sul ritardo italiano dimentica che la classifica sulla produttività è fatta in realtà sul mercato del lavoro e in particolare sulla possibilità di licenziare, che non ha alcun riferimento reale con la produttività. Non si tratta quindi di lavoratori italiani che non lavorano abbastanza ma di altri criteri che vengono usati nella classificazione e che se esistono vincoli negativi sulla produttività vengono essenzialmente da un sistema di ricerca e innovazione e delle infrastrutture del tutto inadeguato. 9)Si sono fortemente manifestati fattori ideologici che hanno contribuito non poco a questo successo delle forme di lavoro definite atipiche. Definizione che ricorda l’hic sunt leones delle mappe antiche per definire ciò che non si conosceva. Una campagna ideologica che ha utilizzato prima la tesi che la flessibilità aumentava la libertà (utilizzando la presunta non subordinazione come argomento) e poi la contrapposizione tra padri e figli, che ha avuto conseguenze devastanti per gli uni senza benefici per gli altri. Il carattere subordinato del lavoro, nel senso ampio del termine, è nettamente prevalente nelle prestazioni lavorative. Non è affatto vero che è diminuita. La subordinazione rende questa area di lavoratori e lavoratrici diversa anche da chi pur muovendosi a volte in ambiti di ristretta autonomia resta pur sempre lavoro autonomo. Dovrebbe inoltre essere evidente che la definizione di imprenditore non ha lo stesso significato in una microazienda o in una multinazionale. 10)La riflessione che è al centro del seminario di oggi è rivolta all’esteso e variegato mondo dei lavoratori subordinati di ogni tipologia, prescindendo dalle forme giuridiche che hanno creato aree di ulteriore precarietà e ghettizzazione in nome della flesssibilità attraverso l’allargamento delle forme giuridiche dei contratti di lavoro. Questo anche per superare l’ambiguità delle definizioni che si riferiscono al lavoro, in alcuni casi utili ma in altri sommano figure sociali che vanno distinte. Di più: l’orizzonte deve ricomprendere anche chi è in cerca di lavoro e quindi costituisce potenzialmente parte dello stesso mondo e il lavoro nero o informale che per la sua estensione costituisce un capitolo non secondario del mondo del lavoro dipendente. La crisi ha contribuito a sedimentare barriere e diversità, chiusure, mentre il mondo dei lavoratori subordinati deve porsi come classe complessiva che aspira a giocare un ruolo decisivo nelle scelte politiche e sociali che decidono del futuro assetto economico e sociale. Non è vero che bisogna aspettare che la riconquista di un ruolo consenta di avere ambizioni politiche e sociali più generali, si potrebbe dire da classe dirigente. E’ proprio questa ambizione che può aiutare a rimuovere le difficoltà e consentire alle singole parti del mondo del lavoro subordinato di riconoscersi in punti di riferimento e in obiettivi comuni. Cosa che oggi non c‘è. L’Italia resta un paese che non offre prospettive adeguate di inserimento nel mercato del lavoro alle donne, sia perché i tagli hanno peggiorato l’offerta di servizi sociali adeguati per i figli, sia perché nella crisi i posti di lavoro per le donne si riducono ulteriormente, sia perché la parità prevista dalla Costituzione tra uomini e donne non è ancora realizzata né nelle carriere professionali né nel salario, tranne alcune eccezioni. I livelli occupazionali sono tornati indietro di 20 anni in Italia. La mancanza di occupazione costituisce una forte pressione per smantellare le tutele normative, le garanzie contrattuali, la dignità stessa del lavoro. Il ricatto occupazionale è un potente deterrente contro le richieste dei lavoratori. Basta guardare alla situazione dei rinnovi contrattuali oggi, in tempo di crisi. Milioni di lavoratori senza rinnovi contrattuali come nel settore pubblico, rinnovi ritardati e con aumenti spesso insufficienti a mantenere il potere di acquisto nel privato, tanti lavoratori subordinati senza tutele. Inoltre la crisi sta schiacciando rapidamente le aree di lavoratori con maggiore professionalità verso il basso. In sostanza assistiamo a processi che un tempo sarebbero stati definiti di proletarizzazione. La novità presente in Italia, e non solo, sono i lavoratori poveri. Già presenti negli Stati Uniti da tempo, sono ormai un buon 15 % delle figure operaie anche in Italia. In passato avere un’occupazione era garanzia di essere fuori dalla povertà, di avere una dignità sociale, oggi non è più così. 11)La disoccupazione giovanile è arrivata a livelli mai visti, il 40 % che è un livello enorme nel panorama europeo, dove pure la disoccupazione giovanile è un serio problema. Solo alcuni paesi in difficoltà hanno livelli simili paragonabili o superiori. La spiegazione strutturale sta nel fatto che malgrado l’Italia non sforni il numero di laureati di altri paesi non è in grado di offrire loro sbocchi lavorativi e non solo perché scuola e lavoro sono mondi pressochè non comunicanti, ma soprattutto perché l’organizzazione del lavoro sia privata che pubblica non offre sbocchi lavorativi adeguati. Perfino il provvedimento, condivisibile, dell’incentivo ad assumere giovani, in aggiunta agli occupati, è una goccia nel mare del bisogno e cade in modo casuale nel mercato del lavoro, senza alcune conoscenza dei processi in corso nel settore privato italiano. Per questo il messaggio che di fatto viene inviato ai giovani laureati che non cercano sbocchi occupazionali in altri paesi, come ormai avviene in quantità impressionante, è di prepararsi ad un periodo di ulteriore formazione per il lavoro, ad esempio con un apprendistato ormai dilatato ai laureati, mortificando di fatto lo studio effettuato. A questo vanno aggiunti la pochezza degli sbocchi lavorativi in un paese con un enorme patrimonio culturale che non viene valorizzato, l’asfissia nella ricerca pubblica e privata. Con in sovrappiù le misure che hanno alzato drasticamente l’età pensionabile proprio quando si chiudevano per i giovani gli sbocchi lavorativi nel privato e nella pubblica amministrazione, aggravando ulteriormente le cose. Dobbiamo ricomprendere in questa ideale riunificazione anche l’area dei lavoratori immigrati che sono indispensabili per la crescita del paese. Non solo per lo schiaffo dell’orrore delle centinaia di morti a Lampedusa, ma soprattutto perché il futuro continuerà a portare verso l’Europa masse di disperati verso i quali occorre predisporre accoglienza e integrazione e garantire i diritti dei rifugiati, sapendo che il loro contributo è indispensabile per il funzionamento dell’economia europea. 12)Le relazioni nei luoghi di lavoro hanno avuto diverse fasi, il fordismo, di cui restano tracce importanti, il toyotismo, ecc. La costante oggi in crescita è un dualismo che da un lato accentra le decisioni e dall’altro punta a ridurre all’obbedienza e all’esecuzione, alla subordinazione appunto. Dopo alcuni spunti di novità sulla spinta delle lotte dei lavoratori, come la conquista dei diritti di informazione, oggi stiamo precipitando di nuovo nel dominio unilaterale delle gerachie aziendali, nel loro dispotismo, temperato dalle normative costituzionali che hanno consentito, attraverso la magistratura, di imporre alla Fiat di riassumere a Pomigliano i delegati e alla Fiom di indicare i propri rappresentanti, pur non avendo firmato il contratto di lavoro. Il tentativo di importare sistemi di relazioni sindacali mutuate da altri paesi ormai non è un’eccezione ma una tentazione forte nel mondo delle imprese. Eppure mai come ora abbiamo sotto gli occhi il fallimento di tante decisioni imprenditoriali unilaterali che erano state presentate come le migliori ed uniche possibili, salvo trasformarsi in enormi buchi finanziari per la collettività sia per il costo dei salvataggi che per le misure di sostegno al reddito. All’unilateralità delle decisioni va contrapposto un processo di democratizzazione delle relazioni sindacali nei luoghi di lavoro il cui presupposto è il riconoscimento dell’autonoma soggettività dei lavoratori subordinati. Nell’impresa esistono 2 soggettività che debbono trovare un punto di equilibrio ma che sono tra loro diverse come la proprietà e i lavoratori. Un primo tema da affrontare nell’ambito di una proposta volta alla riunificazione del mondo del lavoro è proprio individuare i cardini di una moderna legislazione di sostegno in grado di garantire informazione e partecipazione dei lavoratori nel processo decisionale dell’impresa, a partire da quelle di maggiore dimensione. 13)La legislazione di sostegno attuale è sotto forte attacco. Spesso viene presentata come un inutile ciarpame, una perdita di tempo, sulla strada delle decisioni dell’impresa. In questi anni sono state introdotte normative che hanno fortemente lesionato il quadro della legislazione esistente. L’attacco continuato e ripetuto allo Statuto dei diritti dei lavoratori, in particolare all’articolo 18, ha ottenuto un risultato di rilievo e oggi il reintegro nel posto di lavoro non è più così certo, ma viene visto come l’eccezione quando si dimostri la mala fede dell’impresa e nemmeno in questo caso il reintegro è del tutto certo. L’ultimo Governo Berlusconi in particolare ha fatto approvare misure legislative che hanno gravemente indebolito la legislazione di sostegno e fomentato apertamente le divisioni sindacali, tolto diritti. Pensiamo a quel famigerato articolo 8 che consente agli accordi aziendali di derogare dai contratti nazionali e ancor peggio dalle leggi, come richiesto da grandi aziende come la Fiat. La lista dei guasti è lunga e va ricordata in questa sede anche la restaurazione di Brunetta contro la contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico. 14)Proprio per risalire la china affermando processi di partecipazione e di esercizio dei diritti nei luoghi di lavoro è necessario risolvere la questione della rappresentanza e della rappresentatività sindacale. In questi anni troppe volte sono stati imposti accordi ai lavoratori grazie alle divisioni tra i sindacati che hanno consentito alla parte imprenditoriale di scegliere l’interlocutore, perfino minoritario. La legislazione deve risolvere positivamente questo punto. L’accordo raggiunto tra confederazioni e Confindustria su rappresentanza e rappresentatività è positivo e rappresenta una novità rispetto a quanto avvenuto anche nel recente passato. Non tutto è risolto dall’accordo perché per i contratti nazionali di lavoro è necessario che si proceda all’attuazione coerente dell’accordo. Tuttavia non si può correre il rischio che questo passo in avanti resti alla mercè dei cambiamenti dei rapporti di forza e degli umori mutevoli dei protagonisti. L’approvazione di una legge in materia di rappresentanza e di rappresentatività sindacale è un importante aspetto di riforma istituzionale, non meno importante di altri. Questo dovrebbe essere il secondo aspetto di una nuova era della legislazione di sostegno, in grado di favorire anche la definizione delle modalità di partecipazione dei lavoratori. 15)I processi di unificazione del mondo del lavoro subordinato richiedono la convergenza di diversi fattori soggettivi, a partire dalla consapevolezza di sé e del proprio ruolo dei lavoratori, l’unità delle maggiori organizzazioni sindacali, un’attenzione politica forte alla condizione di chi lavora e un impegno al sostegno delle esigenze del lavoro subordinato nell’iniziativa politica. Molti ricorderanno l’episodio di Berlinguer ai cancelli della Fiat, anche chi è critico con quella scelta non può non riconoscere in quel gesto la manifestazione di un’attenzione alle problematiche dei lavoratori. Oggi la mortificazione della condizione di lavoro, la scarsa efficacia degli strumenti tradizionali di lotta (basta pensare allo sciopero in una fase di crisi), una scala sociale capovolta, la difficoltà di una risposta collettiva ai problemi, sono tutti elementi che portano i lavoratori a contare molto meno di quanto potrebbero e dovrebbero visto che sono larga maggioranza della popolazione attiva. 16)E’ giunto il momento di superare apertamente schemi di interpretazione rigidi e contestare tesi come quella dell’impossibilità di ricostruire i fondamenti di un’appartenenza. Dobbiamo dedicare la nostra attenzione a tutta la classe lavoratrice, a tutto il lavoro subordinato. Lavoro subordinato che per di più subisce ormai da tempo un vincolo di continuità di appartenenza anche per i discendenti, se è vero che la percentuale di laureati provenienti dalla classe lavoratrice è la stessa di 3 decenni fa. Recedere da una visione complessiva del lavoro subordinato porterebbe ad una subalternità senza speranza. Naturalmente tenere insieme mondi diversi non è semplice, eppure è necessario. Non è un dato di partenza, ma può essere un punto di arrivo. Il mondo del lavoro subordinato, se riuscirà ad essere classe per sé, dovrebbe porsi necessariamente la collocazione del cambiamento della propria condizione in un quadro diverso dell’economia e dei rapporti sociali. In altre parole un nuovo modello di sviluppo. Altrimenti il rischio serio è che un mondo del lavoro subordinato senza una prospettiva, una speranza possa vedere come unico sbocco la protesta, il populismo, perfino la destra. 17)La scommessa politica che vogliamo proporre con questo seminario è che unificare a certe condizioni è possibile. La condizione lavorativa subordinata è spesso invivibile, i modelli di gerarchia sociale invitano alla fuga individuale o a nascondersi in modo rassegnato. L’unica speranza di emancipazione è riprendere il filo unitario dell’intera classe del lavoro subordinato. La latitudine dell’unificazione possibile è anzitutto quella di cercare e di ricostruire i fili di unità nella condizione di lavoro, fondata sulla consapevolezza che quanto accade ad una parte riguarda tutti. E’ un traguardo per ora lontano, non c’è dubbio, ma in passato traversate del deserto simili ci sono già state. L’unificazione che non avviene più per l’effetto di trovarsi a migliaia, a decine di migliaia nello stesso luogo, può avvenire attraverso l’unificazione di una piattaforma comune. Anche lo scorrere del tempo è cambiato rispetto a tappe lavorative fisse nella vita. Quindi solo una maggiore consapevolezza collettiva e una condivisione possono realizzare questo obiettivo. La globalizzazione costituisce una sfida che rende molto più difficile la risposta a livello nazionale. Quindi in parallelo occorre superare anche le chiusure nazionali, perdenti di fronte alla sfida globale. Per questo è preoccupante che i legami sovranazionali dei sindacati si siano allentati proprio nel momento in cui occorreva rispondere alla sfida della globalizzazione e ancora di più sono del tutto inadeguati, quando non inesistenti, i legami internazionali dei partiti della sinistra. Le sedi internazionali sono inadeguate al confronto con le sfide della globalizzazione. Le prossime elezioni europee potrebebro essere un’occasione per iniziare a cambiare. 18)Non è quindi di poco conto valutare se la sfida che la classe in sè diventi classe per sé è un orizzonte credibile. Il presupposto è che la dimensione del problema sia affrontata in tutta la latitudine del lavoro subordinato. Questo non vuol dire che le situazioni del lavoro siano tutte uguali. Non lo sono. Le differenze esistono e sono anche rilevanti ma l’unico riferimento che può portare novità consistenti è uno sguardo d’insieme, che comprenda tutto il lavoro subordinato, anche con le sue contraddizioni. 19)Il sindacato è decisivo perché non si può compiere questa traversata nel deserto senza ricostruire l’unità a partire dai luoghi di lavoro, dentro le contraddizioni reali. Il sindacato è oggi molto indebolito ma ricostruendo un rapporto di fiducia con i lavoratori, che in qualche misura ancora esiste, la speranza di una nuova fase è l’orizzonte necessario. Per questo le regole democratiche della rappresentanza e della rappresentatività sono un punto decisivo per aiutare a dirimere le contraddizioni e le diversità con procedure riconosciute. 20)Partiti. Difficile oggi parlare di partito. Non molto tempo fa si è teorizzata la scomparsa del partito, basta ricordare il passaggio dal pds ai ds, la differenza è la scomparsa della parola partito. E’ curioso che oggi ci sia rimpianto per il Pci. La difficoltà per i partiti della sinistra oggi sta nel non riconoscere di dovere rappresentare l’emancipazione dei lavoratori subordinati, per di più in un orizzonte che non può essere solo nazionale, o nell’essere troppo deboli per poterlo fare. La richiesta di fiducia alle elezioni deve essere finalizzata ad un disegno di cambiamento che riguarda il cambiamento delle condizioni di lavoro, cosa possibile nel quadro di un diverso sviluppo. Tronti ha scritto che non si può rappresentare questo popolo nella semplificazione di un nome sulla scheda, ha aggiunto che la sinistra soffre perché non ha nulla da dire, perché è stata svelta a buttare via le idee del passato e a prendere le parole dal vocabolario dell’avversario. Riassumo con parole mie la conclusione: ci vuole un nuovo soggetto politico o uno profondamente rinnovato che si candidi a rappresentare un corpo sociale che oggi non è più politicamente rappresentato. 21)Per questo occorre organizzare una piattaforma unificante, partecipazione, rappresentanza, salario minimo, salario nelle fasi di non lavoro e per il lavoro, reddito sociale per impedire lo scivolamento nella povertà, tutti i redditi con le stesse regole fiscali e con una vera progressività adeguata, stato sociale garantito sulla base dei presupposti della Costituzione, definendo con chiarezza i diritti dei cittadini: salute, pensione, obiettivi solidali come la riduzione dell’orario, estensione dei diritti di informazione, conciliando le esigenze del lavoro con la salute e con l’ambiente. Due esempi. Il sistema sanitario nazionale è forse la realizzazione più forte della pressione del movimento dei lavoratori che ha pensato ad obiettivi generali, per tutta la società. Il sistema pensionistico è oggi fortemente colpito nella sua essenza: il rapporto tra il lavoratore e il suo risultato pensionistico è messo in crisi, paradossalmente proprio perché è stato rotto un rapporto di solidarietà generale che agiva come garanzia della tenuta del sistema nel tempo. In questi ed altri casi occorre ricostruire un disegno unificante per tutto il lavoro subordinato. 22)Per questo gli obiettivi sociali unificanti sono in larga misura attuazione del dettato costituzionale e prefigurano un altro modello di sviluppo a partire dall’ambiente cha va visto come risorsa e condizione per la vita. L’alternativa politica è l’orizzonte e insieme il catalizzatore necessario per un’operazione politica di grande forza e certo difficile. L’alternatività politica e culturale è fondata sul presupposto della critica alla società, per realizzare un mondo diverso e migliore. Un altro mondo è possibile, senza questo l’economia politica si riduce a tecnologia, ad amministrazione dell’esistente. Senza l’ambizione di una diversità economico sociale, da realizzare nella democrazia, e - va detto senza ambiguità - senza ripetere errori antichi, anche la riunificazione del mondo del lavoro rischia di essere impossibile. Il ripiegamento è diventato una slavina quando è venuta meno la speranza di un mondo diverso e più giusto in cui le classi lavoratrici potessero avere l’ambizione di diventare classe dirigente. Se è vero che abbiamo 10 anni per salvare il pianeta, se è vero che senza mettere sotto controllo e ridimensionare la finanza l’economia mondiale è condannata ad altre devastanti crisi future, ne consegue che un altro modello economico è necessario comunque, ma potrebbe venire alla luce senza il contributo decisivo delle istanze del mondo del lavoro subordinato e della sinistra e questo non sarebbe un bel giorno perché la destra populista potrebbe raccogliere la disperazione creata da una cieca politica neoliberale di austerità che prima ha consentito alla crisi di esplodere in nome della superiore capacità del mercato di auroregolarsi, cosa che non è, e poi si è candidandata a guidarne l’uscita con i risultati che abbiamo sotto gli occhi.

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Ciao , Vedo il tuo sito web ww...
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Lo chiamo sig. DIDIER GOMESSE....
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