La conferenza Cop26 sul                 clima che si è svolta a Glasgow si è chiusa lasciando                 una sostanziosa delusione sulle sue conclusioni, cioè                 sulle scelte concrete per realizzare l’obiettivo                 centrale di non andare oltre 1,5 gradi di aumento della                 temperatura del pianeta. Come ha detto giustamente                 Giorgio Parisi, Nobel per la fisica, non è il pianeta a                 rischio ma la specie umana. Non si poteva fare di più?                 Si doveva osare di più? Sono interrogativi legittimi.
Hanno pesato negativamente                 sulla conferenza le pericolose tensioni politiche e                 militari tra Usa e Cina, appena attenuate dall’incontro                 tra Kerry e il ministro degli Esteri cinese a Glasgow.                 Ha pesato – non positivamente – l’assenza di un                 protagonismo dell’Unione Europea sul clima, che è                 comparsa solo nell’accordo bilaterale con gli Usa per                 proteggere acciaio e alluminio da una concorrenza sporca                 (di carbone), tanto che gli Usa non hanno sentito                 l’esigenza di allargare il confronto con la Cina                 invitando anche l’Unione Europea. Di contro, c’è stato                 l’attivismo di alcuni paesi europei, dediti ad un lavoro                 di lobbying, come la Francia sul nucleare. Sarebbe un                 errore gravissimo attendere la prossima conferenza in                 Egitto nel 2022. La speranza è di spostare le                 conclusioni di Glasgow dall’empireo rarefatto di                 obiettivi alla realtà di passi avanti concreti per il                 clima.
Altrimenti sul                   clima rischia di calare il sipario, dopo la grande                   attenzione mediatica, mentre resta la dura realtà                   degli sconvolgimenti della crisi climatica, che già ci                   accompagnano e sempre più ci accompagneranno.
In ogni paese e in ogni                 sede internazionale occorre fare vivere concretamente le                 iniziative per chiedere passi avanti e per premere sulle                 sedi politiche ed istituzionali affinché realizzino                 quanto è necessario. Attendere la prossima occasione                 internazionale sarebbe un grave errore. Un esempio: il                 2030 è una tappa fondamentale per verificare la crescita                 delle energie rinnovabili e una forte riduzione dell’uso                 delle energie da fonti fossili, compreso ridurre la CO2                 in Europa del 55%. Ancora di più, entro il 2035 dovrebbe                 cessare in Europa la produzione di auto con motori a                 scoppio. Autorevoli analisti ritengono che quanto verrà                 realizzato entro il 2025 sarà decisivo per capire se ci                 avvicineremo nelle tappe successive agli obiettivi e per                 questa tappa iniziale mancano solo 4 anni. Quanto si                 realizzeranno effettivamente gli obiettivi dipenderà da                 quanto ci avvicineremo effettivamente nei periodi                 precedenti, senza rinviare tutto all’ultimo momento.                 Quindi il qui ed ora dovrebbe essere il punto di vista                 con cui decidere iniziative e comportamenti per                 realizzare concreti passi avanti e purtroppo su questo                 c’è ragione di forti preoccupazioni.
Per questo in Italia                 occorre incalzare il governo e le strutture pubbliche                 chiamate a svolgere il loro ruolo e nello stesso tempo                 esercitare una pressione sui centri economici, in                 particolare sulle imprese per spingerle a non essere                 conservatrici degli interessi esistenti ma a scommettere                 su nuove combinazioni, nuovi equilibri sociali, sul                 lavoro. Quindi occorre rilanciare lo scenario delle                 scelte e delle decisioni che occorre prendere anzitutto                 in Italia, naturalmente nel quadro europeo, che ci sta                 aiutando, e internazionale. Per questo è importante il                 PNRR, che rappresenta il più grande investimento                 poliennale da molti anni, che può guidare la transizione                 del nostro paese da un’economia sostanzialmente ferma ad                 un’economia che si ricolloca su un fronte innovativo,                 con al centro il clima e l’occupazione (di qualità) come                 assillo fondamentale.
Per questo c’è                   bisogno di riconnettere i singoli interventi su                   obiettivi di fondo.
Il quadro decisionale                 deciso dal decreto legge che ha organizzato l’uso delle                 risorse del Pnrr (i miliardi di euro europei più quelli                 decisi dall’Italia ad integrazione) si articola in un                 numero alto di progetti di spesa e lo fa attraverso                 bandi che inevitabilmente non aiutano a costruire un                 quadro di scelte politiche. Il rischio è che gli                 interventi ritardino e che siano tendenzialmente                 scollegati. Un esempio: le scelte energetiche. Da mesi                 siamo sotto scopa per l’aumento dei prezzi del gas,                 della benzina, del gasolio, inevitabile una loro pesante                 influenza sull’inflazione e sui costi di produzione. Di                 fronte a questa scossa tellurica la reazione ha                 riguardato una parziale attenuazione degli effetti su un                 aspetto importante come gli aumenti dei prezzi per i                 consumatori, cercando di correre ai ripari anche con una                 dimensione europea, ma senza andare al cuore del                 problema. Il problema è che le fonti fossili sono                 manovrabili dai produttori e dalla speculazione                 attraverso i future che scommettono su quello che                 vogliono che accada in futuro.
L’unica vera strategia di                 fondo per sottrarsi dalle tensioni sui prezzi delle                 fonti fossili è realizzare il massimo possibile di fonti                 energetiche alternative, fotovoltaico, eolico                 soprattutto offshore, geotermico, rafforzando                 l’idroelettrico anche come compensazione dei vuoti di                 energia dalle altre rinnovabili, infine risparmio                 energetico. Cingolani aveva ricordato mesi fa che in                 Italia dobbiamo arrivare a 70 Gigawatt da rinnovabili e                 che con il ritmo attuale ci arriveremo alla fine del                 secolo. Dopo alcuni mesi siamo allo stesso punto e la                 fine dell’anno si avvicina. Eppure se l’Italia avesse                 annunciato e iniziato a realizzare uno sprint                 formidabile sulle rinnovabili anche il mercato attuale                 dell’energia ne avrebbe risentito. I soldi ci sono, le                 disponibilità private ad investire pure, ma ancora ci si                 chiede se le semplificazioni già decise per sbloccare le                 autorizzazioni sono sufficienti, perché non ci sono                 segni di novità. Le interessanti proposte di collocare                 offshore ben 39 parchi eolici lontani dalla costa per                 produrre 17.000 megawatt (dati di Terna) non hanno fatto                 un solo passo avanti e il fotovoltaico è fermo da 5                 anni.
Il governo deve                   svolgere un ruolo attivo, essere protagonista.                 Mentre per ora il ministro Cingolani discute di nucleare                 e sembra dimenticare di essere ministro in Italia dove                 ben due referendum popolari hanno detto no alle centrali                 nucleari. Il ministro dovrebbe invece definire con                 chiarezza quali obiettivi realizzare qui ed ora, con                 precise proposte di realizzazione delle energie                 rinnovabili e di come farlo, con quali sostegni                 necessari. Invece l’impressione è che si stia perdendo                 tempo, si stiano accumulando ritardi, con il rischio che                 questi ritardi diventino l’alibi per giustificare il                 finanziamento delle decisioni più arretrate e retrive di                 cui si sente parlare. Non ci sono miliardi di euro per                 tutto, se si investono risorse nelle rinnovabili non ha                 molto senso costruire o ristrutturare ben 14 centrali a                 gas solo perché le aste di Terna garantiscono pagamenti                 generosi al punto da convincere le aziende a investire                 nel gas naturale (fossile) per produrre energia                 elettrica. Non basta più pagare cari i certificati verdi                 per compensare l’uso delle energie fossili,                 semplicemente occorre produrre sempre meno CO2, a                 partire da subito.
Inoltre si dovrebbero                 trarre le conseguenze degli investimenti nell’eolico per                 collegarli alle produzioni di acciaio in Italia che                 nelle aziende ex pubbliche sono ai minimi termini                 proprio quando il mercato tira e questi investimenti                 potrebbero costituire una domanda di rilievo per anni.                 Fa impressione leggere che chi sta progettando un parco                 eolico al largo della Sicilia pensa di fare arrivare                 dall’estero il materiale necessario. La mano destra                 dovrebbe sapere cosa fa la sinistra e forse ne trarrebbe                 vantaggio. Certo occorre un piano, un progetto, e oggi                 il piano energetico nazionale è inservibile e non c’è un                 progetto sul futuro dell’acciaio. Eppure all’inizio                 dell’estate ben tre ministri (Cingolani, Giorgetti,                 Franco) avevano dichiarato alla stampa che l’ex Ilva di                 Taranto sarebbe diventata l’acciaieria più verde                 d’Europa cogliendo l’occasione che presto la maggioranza                 del pacchetto azionario sarà di una società pubblica.                 Tutto oggi è avvolto nel silenzio e l’impressione è che                 non a tutti dispiace se queste aziende perdono quote                 rilevanti di mercato, che altri coprono.
L’altro aspetto                   che andrebbe integrato rapidamente nel progetto è                   l’idrogeno. Anziché chiacchierare a                 sproposito del nucleare si dovrebbe preparare un                 approfondimento di una suggestione lanciata da Kerry                 qualche giorno fa e per certi versi ripresa                 dall’Amministratore delegato di Snam: l’idrogeno.                 Secondo Kerry, l’Arabia Saudita sta costruendo una                 grande struttura che avrà il compito di produrre                 idrogeno con energie rinnovabili attraverso elettrolisi                 e questo prodotto è destinato in larga misura ad essere                 esportato. Questo idrogeno nel giro di 5 anni secondo la                 Snam sarà meno costoso dei fossili attuali e potrebbe                 essere portato in Italia attraverso i gasdotti                 esistenti, che sembra siano stati già valutati, e in                 seguito distribuito a chi ne avrà bisogno. Nel Pnrr ci                 sono parti importanti che riguardano l’idrogeno, dallo                 stoccaggio all’utilizzo per trasporti pesanti, altri                 impieghi potrebbero aggiungersi per realizzare risultati                 senza produrre CO2. Il rapporto tra idrogeno e                 rinnovabili è evidente, l’impiego anche nella siderurgia                 possibile, quindi occorre procedere rapidamente.
Spiace dirlo ma il governo                 non sembra nell’ordine di idee di essere il protagonista                 di questo progetto di innovazione. Per lo meno il                 ministro appare sfasato rispetto alle urgenze e finora i                 risultati latitano. Il presidente del Consiglio farebbe                 bene a fare il punto con i suoi ministri e a pretendere                 un progetto complessivo di cui i bandi e le singole                 iniziative siano aspetti coordinati in una politica                 energetica e per il clima, per l’occupazione, che finora                 non si avverte.