Draghi martedì                 parteciperà, accompagnato da un folto gruppo di                 ministri, ad una iniziativa organizzata da chi svolge in                 questa fase sostanzialmente una funzione di freno verso                 la transizione ecologica, Confindustria energia ed Eni.                 La resistenza organizzata da questi ed altri soggetti è                 preoccupante, perché punta a far pesare le aziende che                 producono energia, o usano energia da fonti fossili, su                 un fronte di resistenza ai cambiamenti necessari, perché                 non abbiamo un pianeta di ricambio. Sentiremo cosa dirà                 il presidente del Consiglio ad una platea riottosa che                 strumentalizza le comprensibili preoccupazioni dei                 lavoratori anziché offrire garanzie ai lavoratori e                 risposte sulla lotta al cambiamento climatico                 all’Italia. Eppure, la recente riunione del G20 a Roma e                 a ruota la Cop 26 a Glasgow hanno condiviso sia                 l’allarme degli scienziati ONU che hanno redatto una                 valutazione drammatica della crisi climatica del nostro                 pianeta, se non viene fermata in tempo, sia l’obiettivo                 di mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5                 gradi.
Da Draghi è lecito                   attendersi coerenza con le sue affermazioni fatte                   nelle due sedi internazionali. 
Certo, gli appuntamenti                 internazionali hanno dimostrato una debolezza                 preoccupante nel definire con chiarezza tempi e                 obiettivi indispensabili per mantenere entro 1,5 gradi                 l’aumento della temperatura. Obiettivo che non riguarda                 qualcuno di noi ma l’esistenza stessa del genere umano                 sul pianeta (Giorgio Parisi). È un dramma epocale e come                 tale va affrontato. Invece, concluse le conferenze in                 cui vengono lanciati gli allarmi e si discute su cosa                 fare e quando, riemergono le resistenze, i non detti, i                 tentativi di bloccare le innovazioni, quasi fossero                 scelte che si possono fare o non fare. È una classica                 miopia, di solito attribuita alla politica ma oggi                 attribuibile ancora di più ad interessi precisi, a                 settori dell’economia, a manager e amministratori                 delegati che puntano ad usare le risorse straordinarie                 del PNRR senza prendere impegni per realizzare i                 cambiamenti necessari nel tempo più rapido possibile.                 Questa sorda resistenza è forte e sostanzialmente                 conservatrice e si ammanta di motivazioni come la                 preoccupazione per quanto potrebbe accadere ai più                 deboli, ai lavoratori, all’occupazione. È evidente che                 una transizione ecologica seria pone problemi, che vanno                 risolti, pretende risposte per le aree più deboli ed                 esposte, ma questo deve obbligare tutti ad adottare i                 provvedimenti necessari nella consapevolezza che, se la                 temperatura andasse oltre, i costi economici ed                 occupazionali sarebbero molto più alti, quelli                 ambientali e umani insopportabili.
Il cambiamento climatico è                 destinato a creare problemi, a partire da quelli                 occupazionali, e occorre fornire risposte credibili,                 accompagnando le innovazioni in modo da evitare                 conseguenze sociali negative e senza regalare ai                 conservatori aree di manovra strumentale. Alcune                 dichiarazioni di Giorgetti sono illuminanti, la                 preoccupazione per le conseguenze dei cambiamenti                 diventa lo schermo per giustificare atteggiamenti di                 conservazione dell’esistente.
L’esistente deve                   cambiare o le conseguenze saranno terribili per tutti.                   Questa consapevolezza non sembra esserci in importanti                   decisori pubblici e privati.
Inoltre questi                 atteggiamenti conservatori rischiano di far perdere                 all’Italia occasioni per cambiare, innovare, diventare –                 senza ubriacature – un riferimento mondiale per                 contrastare la deriva climatica. Tutto questo ha                 anzitutto conseguenze politiche e pretende una politica                 di distensione, di disarmo e di collaborazione tra paesi                 e popoli, mentre i rumori guerreschi in questo momento                 prevalgono. È evidente che le enormi risorse necessarie                 per contrastare il cambiamento climatico sono tali solo                 se vengono considerate come aggiuntive dopo avere speso                 somme ancora maggiori per il riarmo, per produrre e                 vendere armi, per annientare, per le guerre. Contrastare                 il cambiamento climatico è oggi la priorità e attorno a                 questo obiettivo va rideterminato tutto il resto.                 Occorre fare una scelta di campo.
Alcune novità importanti.
    - Una delle grandi agenzie di rating (quelle che danno                   giudizi sugli investimenti finanziari, compresi i                   debiti degli Stati, che vanno tenuti in conto dagli                   investitori istituzionali) Deloitte ha presentato uno                   studio (Italy’s turning point) che individua nel 2043                   l’anno in cui i benefici della transizione ecologica                   in Italia supereranno i costi, a condizione che il                   riscaldamento climatico globale non superi 1,5 gradi.                   Dobbiamo muoverci, sapendo che non siamo soli e quindi                   dobbiamo farlo con altri. Lo studio di Deloitte                   prosegue affermando che se l’Italia rafforzasse                   ulteriormente il proprio impegno sul fronte della                   de-carbonizzazione, con adeguati investimenti e                   ricerca nel prossimo decennio, sarebbe uno dei primi                   paesi europei a raccogliere i benefici della                   transizione ecologica. La maggioranza dei paesi                   europei ci arriverebbe solo nel 2050. Nel decennio                   dopo il 2043 l’Italia potrebbe registrare un                   significativo aumento del Pil e una importante                   crescita dell’occupazione. Deloitte afferma che                   raggiungere la neutralità climatica è un imperativo                   economico, mentre una crescita della temperatura oltre                   1,5 gradi avrebbe conseguenze non solo ambientali ma                   economiche catastrofiche. Quindi non abbiamo scelta.                   Occorre andare avanti nelle scelte con la                   consapevolezza che occorre che tutti i paesi si                   muovano in questa direzione.
 
    - L’inviato speciale sul clima di Biden, Kerry, ha                   suggerito all’Italia di puntare sull’idrogeno come                   fonte per produrre energia elettrica e mobilità non                   inquinante. L’Arabia Saudita sta realizzando un mega                   impianto che funzionerà con energie rinnovabili per                   produrre idrogeno, che potrebbe arrivare in Italia                   sfruttando le condutture costruite per portare gas.                   Inoltre l’amministratore delegato di Snam ha                   dichiarato che l’idrogeno diventerà conveniente entro                   5 anni e che le condutture esistenti per il gas sono                   in grado di trasportare idrogeno. Senza dimenticare                   che il PNRR già prevede investimenti per realizzare                   idrogeno in Italia e stoccaggi che possono consentirne                   l’utilizzo.
 
    - Il nuovo governo tedesco è alla vigilia                   dell’insediamento. Ci sono programma e attribuzione                   degli incarichi ministeriali. Il 6 dicembre dovrebbe                   ottenere il voto del parlamento. Le due settimane                   mancanti all’inizio del dopo Merkel non sono prive di                   pericoli perché la Francia, alla testa di una                   pattuglia di paesi europei, sta spingendo per ottenere                   il riconoscimento del nucleare come energia                   rinnovabile, quindi finanziabile dal Next Generation                   Eu. Purtroppo la presidente della Commissione Europea                   ha aperto verso questa scelta, ma il ruolo dei governi                   resta decisivo. I meccanismi decisionali europei sono                   complessi e prevedono maggioranze qualificate. Bisogna                   evitare che in questa transizione tedesca, tra vecchio                   e nuovo governo, arrivino forzature sul nucleare. Con                   il nuovo governo in carica difficilmente la Germania                   accetterà la scelta di finanziare il nucleare con i                   fondi europei e la Francia dovrà autofinanziare il suo                   costosissimo rilancio del nucleare. Il nucleare non è                   né può essere spacciato per un’energia rinnovabile                   come il fotovoltaico, l’idroelettrico, l’eolico, ecc.                   e questo vorrebbe dire che chi lo vuole usare dovrà                   finanziarsi – con crescente fatica – sui mercati.
 
    - Ormai è noto che le rinnovabili sono oggi una parte                   importante della produzione di energia e il loro costo                   è ormai inferiore alle altre fonti. Tuttavia Terna con                   la motivazione che l’erogazione delle rinnovabili non                   è abbastanza costante ha indetto delle aste (capacity                   market) per avere a disposizione energia in caso di                   necessità, soprattutto in alcune fasce orarie. Le                   aziende produttrici hanno partecipato alle aste                   impegnandosi a garantire la fornitura dell’energia                   elettrica necessaria alla rete e per questo pensano di                   rimettere in funzione vecchie centrali a combustibili                   fossili. L’ amministratore delegato dell‘Enel Starace,                   che ha ridicolizzato i tentativi di riproporre il                   nucleare in  Italia, ha affermato qualche giorno fa,                   riferendosi a Civitavecchia, che “Enel non è                   affezionata alla decisione di riconvertire a gas                   naturale la centrale ed è aperta a qualsiasi soluzione                   alternativa da valutare insieme all’operatore di rete                   (Terna)”. La scelta di usare il gas per la transizione                   anziché puntare direttamente sulle rinnovabili è un                   errore, perché il gas naturale produce CO2, meno del                   carbone ma ne produce, e per di più la sua dispersione                   in atmosfera è molto più inquinante della stessa CO2.                   La disponibilità di Enel va verificata rapidamente dal                   governo, che dovrebbe coordinare i diversi attori in                   campo, a partire da Terna.
 
Il problema torna                   tutto politico e riguarda il governo. 
Il governo deve decidere.                 Il ministro Cingolani continua a dissertare di un                 nucleare che è stato escluso in Italia da ben due                 referendum popolari. Dovrebbe invece chiedersi se non è                 il caso di prendere spunto dal programma del nuovo                 governo tedesco. La Germania uscirà dal carbone entro il                 2030, conferma l’uscita dal nucleare nei tempi previsti,                 lancia un programma di investimenti per ben 200 GW nelle                 rinnovabili, conferma che entro il 2035 non verranno più                 prodotte auto con motori a scoppio. Sappiamo invece che                 in Italia con questo ritmo i 70 GW di rinnovabili li                 avremo a fine secolo. Quali sono gli interventi                 straordinari del governo, quale il suo piano? Quanti gli                 investimenti e quando? Il PNRR gestito per bandi senza                 una visione politica di insieme, per obiettivi, non                 funziona.
Terna procede per conto                 proprio, indicendo aste senza qualificare la fornitura                 come esente da fossili, mentre dovrebbe coordinare i                 suoi interventi in un progetto nazionale. Eni verrà                 chiamata a rivedere i suoi piani che prevedono il gas                 per decenni a venire anche dopo il 2050? Enel e altri                 grandi gruppi verranno invitati a scegliere di investire                 sulle rinnovabili in Italia e non solo all’estero?
Visto che Draghi parlerà                 ad un’assemblea che non è esattamente il portabandiera                 dell’innovazione per contrastare la crisi climatica                 dovrebbe cogliere l’occasione per rispondere ad alcune                 domande come quelle precedenti, altrimenti il PNRR                 rischia di finanziare la conservazione dell’esistente,                 di sprecare una grande occasione.