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Il premierato modello Meloni è un pericoloso attacco alla Costituzione
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  01/11/2023  09:07:02, in Politica, letto 514 volte
(www.strisciarossa.it 1 Novembre 2023)

La proposta di elezione diretta del capo del governo punta a coprire i vuoti dell’azione del governo. Altrimenti Giorgia Meloni non avrebbe scelto questo abbinamento temporale della legge di bilancio con la proposta di modifica della Costituzione.

Ciò non toglie che la proposta del “premierato” sia pericolosa e grave per la Costituzione e per l’equilibrio istituzionale del nostro paese. Sarà anche un atto disperato per distrarre l’attenzione ma i suoi effetti possono essere devastanti.

Le destre al governo lanciano un messaggio netto, in particolare quella parte che non riesce a condannare esplicitamente il fascismo e che vuole cambiare questa Costituzione, le cui radici sono nella Resistenza.

Mentre Fini aveva sostanzialmente accettato la Costituzione, ora Giorgia Meloni punta a cambiarla in modo da non dovere più fare i conti con le radici e la sostanza della Costituzione del 1948. È  un obiettivo epocale per quella parte della destra che non l’ha mai accettata. Tuttavia, non si capisce perché la parte antifascista della destra accetti di appoggiare questo tentativo.

Così non nasce la terza Repubblica

Non si tratta di terza Repubblica ma di uscire dalla Costituzione con un tentativo di nascondere il revisionismo, ad esempio dando ad intendere che non saranno toccati i poteri del Presidente della Repubblica, che invece saranno ridimensionati.

Le opposizioni a questo punto hanno un ruolo storico da svolgere: contrastare questa scelta strettamente legata all’autonomia regionale differenziata di Calderoli e all’obiettivo di mettere sotto controllo l’autonomia della magistratura, a partire dalla separazione delle carriere.

La più illustre vittima della proposta del governo è il parlamento che nella Costituzione in vigore è centrale in quanto deve svolgere un ruolo di rappresentanza di elettrici ed elettori e nomina quote della Corte Costituzionale e del Csm. È del tutto evidente che un parlamento definitivamente ridotto a un ruolo subalterno porterebbe ad un capo del governo padrone del parlamento, con un potere enorme di influenza sulle istituzioni di garanzia.

Il parlamento è già oggi ridimensionato, anche per responsabilità di chi oggi è all’opposizione, con l’abuso dei decreti legge (dovrebbero essere solo per urgenze) per voti di fiducia a raffica, maxi emendamenti e regolamenti che riducono il ruolo dei parlamentari. La maggioranza di destra ha aggiunto un capitolo in questi giorni che rasenta l’eversione: ha deciso che il parlamento non potrà cambiare la legge di bilancio (la decisione di politica economica più importante dell’anno) perché il governo ne blinda il testo rispetto alla sua stessa maggioranza parlamentare.

È un antipasto degli effetti che potrà avere un futuro capo del governo eletto insieme alla sua maggioranza e praticamente inamovibile, altrimenti si tornerebbe a votare. La finta di un’alternativa interna alla maggioranza è, infatti, largamente improbabile.

Un modo per nascondere i fallimenti

Era prevedibile che gli scarsi risultati del governo nella politica economica spingesse ad iniziative di bandiera della destra come l’elezione diretta del capo del governo che, detta così, potrebbe sembrare meno pericolosa dell’elezione diretta del presidente della Repubblica ma non lo è.

Cambia la Costituzione in punti decisivi e delicati ed è dirompente perché altera gli equilibri tra i poteri dello Stato (l’equilibrio tra i poteri è cardine della democrazia) ma non affronta in alcun modo la questione dei cosiddetti contrappesi.

L’autonomia regionale differenziata nella versione Calderoli porterebbe il nostro paese sull’orlo della secessione delle regioni ricche, allargando ancora di più le differenze tra le diverse regioni e tra aree forti e deboli dentro le stesse, senza comprendere che il sistema paese potrebbe aiutare tutte le regioni, al contrario della corsa solitaria di alcune con le risorse di tutti.

La Lega pretende l’approvazione della Calderoli, quindi Giorgia Meloni punta a fare passare il premierato e Forza Italia alla separazione delle carriere nella magistratura. Sono iniziative legislative su binari diversi: legge ordinaria per l’autonomia differenziata, costituzionale per l’elezione diretta del capo del governo, e per modifiche dell’ordinamento giudiziario.

C’è sempre il referendum

Il premierato è una modifica della Costituzione e ha bisogno di una maggioranza dei 2/3 dei parlamentari per essere approvata senza possibilità di referendum popolare. La maggioranza deve sapere, come tutta l’opposizione, che si tratta di una deriva accentratrice e autoritaria e che il referendum sarà possibile e non basterà l’appoggio dichiarato da Renzi per evitarlo, se le opposizioni manterranno una netta posizione contraria.

Concentrare i poteri sul premier anziché su un rilancio del parlamento chiarisce che il nostro sistema istituzionale non sarà più fondato sul parlamento.

Giorgia Meloni punta ad acquisire maggiori poteri e di governare la sua maggioranza con un mandato diretto e forte in grado di metterla in riga. Del resto si è visto in questo anno di governo che il criterio della fedeltà, perfino familistico, è quello più gradito.

Il futuro parlamento sarà ridotto definitivamente a ratificare le decisioni del governo, per questo l’elezione diretta del capo del governo avviene insieme ai parlamentari, con legge maggioritaria, che garantisce il 55% dei parlamentari senza neppure una soglia minima di voti ottenuti, basta solo essere primi.

È già una perversione il premio di maggioranza (nascosto) in vigore che ha dato a chi ha preso il 44 % dei voti il 59 % dei parlamentari e il cui esito oggi viene usato per imporre modifiche della Costituzione alla maggioranza degli elettori che non hanno votato le destre. Con una legge elettorale maggioritaria è indispensabile rivedere le soglie di garanzia previste dalla Costituzione in modo da evitare un potere esagerato della maggioranza che potrebbe arrivare a controllare la magistratura e a influenzare gli organi di garanzia costituzionale.

Il parlamento attuale, pur malridotto, potrebbe già riprendersi i poteri ma la soggezione dei parlamentari eletti grazie alla designazione dall’alto ha creato un guasto difficile da recuperare e in futuro diventerebbe definitivamente subalterno al governo. Questa è una modifica di fondo della Costituzione.

Meno poteri al Capo dello Stato

Se il capo del governo aumenta i poteri è evidente che il Presidente della Repubblica e il parlamento li perdono.

All’elezione diretta del premier va contrapposta l’elezione diretta dei parlamentari, con metodo proporzionale e scelta diretta degli elettori. Uno dei problemi più seri della democrazia italiana è la frattura tra chi rappresenta e chi vota, non si conoscono, non ci sono rapporti di fiducia, vanno ricostruiti.

Oggi è il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio, tiene conto del risultato elettorale ma ha ampia facoltà di scelta, ad esempio potrebbe non nominare il capo dei vincenti, nel caso di dimissioni del capo del governo potrà cercare un’alternativa solo nell’ambito della maggioranza che lo ha eletto altrimenti si torna a votare.

Il disegno di legge del governo potrà essere “appesantito” durante i lavori parlamentari, aggravando il ruolo stravolgente di queste norme.

Non si deve sbagliare. La controriforma costituzionale tentata da Renzi ha aperto un varco che per fortuna si è concluso con la vittoria del No e le sue dimissioni da Presidente del Consiglio.

Ora Giorgia Meloni scopre le sue carte, le opposizioni debbono reagire per fare fallire questo attacco alla Costituzione.

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