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Nucleare civile: il governo tenta il colpo di mano incalzato da Confindustria
.:: Alfiero Grandi Pubblicato in data:  28/07/2025  19:21:37, in Nucleare, letto 110 volte
(www.strisciarossa.it - 28 luglio 2025)

È in pieno svolgimento una potente azione di lobby per rilegittimare il nucleare civile in Italia, dismesso dopo il referendum del 1987 in cui ha vinto il NO. Dismissione del nucleare civile confermata dal referendum del 2011 che ha bocciato il tentativo Berlusconi-Scaiola di ribaltare con una nuova legge il referendum del 1987.

In pressione sul governo e sull’opinione pubblica è entrata in campo anche Confindustria con un progetto per la reintroduzione del nucleare civile in Italia, mentre un recente studio della Banca d’Italia arrivava a conclusioni prudenti, molto diverse.
Prima di entrare nel merito delle proposte in campo alcuni problemi vanno esaminati in via preliminare.

La Corte costituzionale: impossibile riproporre una legge abrogata dal referendum

La Corte costituzionale con la sentenza 199/2012 (relatore Tesauro) ha chiarito che una legge abrogata per via referendaria non può essere riproposta nelle modalità precedenti, ma deve introdurre nuovi elementi e una nuova proposta. Tanto che la relazione illustrativa del progetto di legge del Consiglio dei Ministri, approvato nel febbraio scorso, ripropone l’introduzione del nucleare civile insistendo molto sulle nuove e diverse caratteristiche che avranno le nuove centrali, dimostrando di essere consapevole che un referendum che è riuscito ad ottenere la maggioranza delle elettrici e degli elettori non può essere ignorato.

Si pone quindi un problema di natura democratica a costituzionale. Elettrici ed elettori progressivamente si sono allontanati dal voto, a partire dalle elezioni nazionali. Chi ha a cuore le sorti della democrazia italiana, della partecipazione attiva dei cittadini non può che essere preoccupato dalla crescita dell’astensione di settori sempre più ampi che pensano che il loro voto non è tenuto in conto, anzi spesso si lavora per aggirarlo.

Due referendum che hanno ottenuto la chiusura del nucleare civile dovrebbero essere trattati con attenzione, da tutti. I referendum abrogativi sono previsti dall’articolo 75 della Costituzione ed è attuato con modalità decise dalle leggi. La possibilità di promuovere un referendum incontra limiti e vincoli nell’esercizio del diritto, in primis il quorum che è del 50% più un elettore per la validità, restando inteso che occorre la maggioranza per abrogare.

Negli anni 70 ci sono stati referendum abrogativi in cui ha vinto, per fortuna, il No come divorzio e aborto. I risultati hanno confermato le leggi approvate garantendo un’evoluzione positiva dei costumi e della civiltà del nostro paese.

I referendum abrogativi, ex articolo 75, come quelli sulle modifiche della Costituzione, ex articolo 138, sono occasioni importanti per l’esercizio della partecipazione diretta dei cittadini alle scelte. È stato recentemente usato l’argomento che sarebbero potenzialmente divisivi. Anche la Corte costituzionale è sembrata agire sotto l’impulso di questo timore nella sentenza 10/2025 quando ha bocciato il referendum abrogativo sull’autonomia regionale differenziata, pur criticata pesantemente dalla sua sentenza 192/2024, rigettando perfino la scrittura del quesito referendario fatta dalla Cassazione.

La questione giuridica e politica è se sia corretto che il governo dopo 5 mesi non abbia ancora depositato la sua molto annunciata proposta di legge. Risulta dalla stampa che i tempi per approvare i decreti attuativi verrebbero dimezzati da 24 a 12 mesi per imporre un ritmo serrato, allora perché perdere 5 mesi? Nel frattempo il governo ha preso impegni internazionali che non hanno una base legislativa nazionale, ha preso impegni con le parti sociali e gli interessi del settore come se avesse già in tasca l’approvazione della legge approvata, ma non è così.

Il governo dimentica di essere un esecutivo che deve agire sulla base di un mandato del parlamento, quindi dopo l’approvazione della legge, non prima.

Il problema irrisolto delle scorie

Inoltre il governo ha cambiato linea sui 2 depositi delle scorie nucleari radioattive, che dovrebbero riguardare sia quelle ad alta radioattività, con durata di millenni, e quelle a radioattività medio bassa, cioè centinaia di anni. Per di più stanno per tornare le scorie inviate in Francia e Gran Bretagna per essere riprocessate, che si aggiungeranno ai 95.000 mc esistenti. Nessuno oggi sa dove finiranno le scorie radioattive e il governo scriverebbe nel suo pdl che i depositi andranno costruiti entro il 2039, allungando i tempi di almeno 10 anni e disconoscendo il lavoro fin qui fatto da Sogin per individuare le localizzazioni.

Basta andare sul sito Sogin per avere conferma che il compito istitutivo è risolvere il problema delle scorie. Ora è tutto in aria di nuovo? Il Ministro ha detto che potrebbero essere depositi regionali, oppure 3, o altro ancora, secondo la sede in cui ha parlato.

È questione centrale, perché prima di qualunque decisione futura sul nucleare il governo deve risolvere il problema delle scorie esistenti, tanto più che nuove centrali ne produrrebbero di aggiuntive e che si sommeranno alla dismissione delle vecchie centrali vecchie che produrranno altre scorie radioattive.

Neppure è stata risolta la crisi dovuta alla sentenza del Tar del Lazio che ha azzoppato il decreto del Ministro sulla localizzazione degli impianti delle energie rinnovabili. Le Regioni sono in panne, le imprese non sanno cosa le aspetta, avremo ancora ritardi nel rispettare gli obiettivi di riduzione della CO2.

Il governo procede come se avesse già una nuova legge alle spalle, per quanto discutibile e che potrebbe rischiare un 3° referendum, ma in realtà non ha ancora presentato la sua proposta alle camere. Parla di “nuovi” impianti elettronucleari SMR, che non distribuiscono noccioline, di cui finora nessuno ha visto un prototipo nella realtà, indispensabile per valutarne l’affidabilità, la sicurezza, i costi reali di costruzione e di produzione dell’energia elettrica. Sono più piccoli di quelli su cui puntava il governo Berlusconi ma sono pur sempre paragonabili alla potenza delle prime centrali italiane, oggi in smantellamento e il sistema di fondo non è cambiato, non basta attribuire una nuova generazione, la sostanza è sempre quella.

Su tutto questo grava la cappa delle dichiarazioni di Rafael Grossi, capo dell’Aiea che denuncia i rischi che corre la centrale nucleare di Zaporigia (la più grande d’Europa) per i bombardamenti che la bersagliano. Non basta che le centrali proposte siano entro i 300 Megawatt, guerra e terrorismo sono una dimensione moderna con cui dobbiamo fare i conti, in aggiunta ai rischi tipo Chernobyl e Fukushima, cioè errori umani e di realizzazione.

Il governo ha un dovere di serietà verso l’Italia, deve dire al parlamento cosa propone, così almeno anche Pier Capponi potrà suonare le sue campane.

Alfiero Grandi e Vittorio Bardi

 

 

 

 

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